Audrey
illustrazioni di Roberta Zeta
testi di Lorenza Tonani
Hop Edizioni, 2017
euro 18,00
Poteva forse mancare Audrey Hepburn nella nuova collana “Per aspera ad astra. La forza delle donne”, dedicata da Hop Edizioni ad alcune tra le figure femminili più iconiche del Novecento? Chi meglio di lei, capace di imporre il proprio personalissimo stile nella recitazione e nello star system, e poi di ritirarsi dalle scene all’apice del successo per dedicarsi alla famiglia e alla beneficenza, poteva entrare nel novero delle artiste più significative del secolo appena trascorso? Roberta Zeta è riuscita nel non semplice compito di illustrarne la biografia in quaranta bellissime tavole, e lo ha fatto con grazia e intensità, in perfetta armonia con il carattere della donna – la Audrey figlia, moglie, madre – e il temperamento dell’interprete – la Hepburn che, ancora agli esordi, non accettò di cambiare il proprio cognome in reverenza alla già affermata collega Katharine.
Le premesse perché il connubio tra Audrey Hepburn e Roberta Zeta fosse dei più felici c’erano tutte: da una parte un’icona insuperata per stile, classe ed eleganza; dall’altra un’affermata illustratrice, nonché content editor per il web magazine Picame (www.picamemag.com), i cui lavori sono stati inclusi alla Triennale di Milano nella recente mostra “Il nuovo vocabolario della moda italiana” a cura di Vittorio Linfante e Paola Bertola (il catalogo è stato pubblicato nel 2015 dall’Editrice La Mandragora). E se il risultato sa andare oltre una stanca ripetizione delle pose più classiche dell’attrice – quelle delle fotografie puntualmente utilizzate in qualità di corredo visivo a qualsiasi scritto la riguardi – è perché l’artista ha saputo accordare ai brevi testi di Lorenza Tonani una tecnica mista vincente, dosando alla perfezione matita su carta, colore ad acquerello, disegno vettoriale e pittura digitale.
Givenchy mon amour_Illustrazione di Roberta Zeta |
La stessa vicenda biografica si avvantaggia di una selezione precisa, che non si accontenta di celebrare i più noti cliché del “personaggio” Audrey e che anzi ripercorre con intenzione anche gli anni poco conosciuti ma decisivi dell’infanzia e dell’adolescenza in Europa, tra Belgio, Olanda e Inghilterra, segnati dall’assenza della figura paterna e dalla seconda guerra mondiale, le cui privazioni furono causa di una grava malnutrizione che segnò per sempre il fisico dell’attrice, origine ben poco poetica di quella magrezza che più tardi avrebbe contribuito a distinguerla dalle più note “maggiorate” del grande schermo. Nelle tavole che Roberta Zeta dedica a queste età della vita, Audrey appare come una bambina dall’espressione mite e malinconica, trascurata da una madre brillante ma poco affettuosa, al punto che l’orso di pezza che stringe a sé mentre guarda con nostalgia la foto che la ritrae sorridente a passeggio con il papà sembra condividerne il broncio. Fanno tenerezza i ritratti della bimba di spalle, sia mentre cerca di farsi tutt’uno con il verde di un giardino che pare lì solo per i suoi giochi solitari, sia mentre guarda attraverso i vetri di una grande finestra la marcia dei soldati tedeschi entrati in città, presenze minacciose dipinte ad acquerello, una massa indistinta come confusa da fantasticherie infantili; incubi che diventano realtà quando per sfuggire a una cattura Audrey si rifugia in uno scantinato e ci resta per giorni e notti: è anche così che ci tocca vederla, al centro di una pagina tutta nera, rannicchiata su se stessa e di nuovo senza volto, sotto una piccola finestrella che sembra rappresentare la fatidica e simbolica luce in fondo al tunnel.
Il coraggio di una bambina_Illustrazione di Roberta Zeta |
A guerra finita, il potere salvifico della bellezza entra con maggiore incisività nella vita di Audrey attraverso la danza classica, studiata con dedizione già da bambina, quasi nel presentimento di come l’arte, se vissuta con consapevolezza e non per sola vanità, avrebbe potuto rappresentare il più efficace antidoto contro le brutture dell’esistenza, fonte di gioia ma anche di dolore: un concetto che Roberta Zeta esprime al meglio quando sceglie di mostrare il dettaglio ingrandito delle scarpette da balletto accostato a una fila di letti nel convalescenziario di Amsterdam in cui l'aspirante étoile volle prestare assistenza come infermiera dopo la liberazione; le stesse scarpette che ritornano poco dopo tra le mani di una Audrey disillusa, che scopre di non poter mai diventare ciò che aveva sognato.
Le illustrazioni dedicate alla successiva attività teatrale e cinematografica dell’attrice portano con sé tutto il fascino del mito e del glamour, a scandire i momenti precisi di un’epopea personale attraverso i quali, da ragazzina, Audrey diventa donna, stella e infine leggenda. La vediamo appena sbarcata negli Stati Uniti per interpretare Gigi a Broadway (era stata la stessa Colette a indicarla per la parte), esile rispetto al grande piroscafo alle sue spalle, una silhouette femminile stagliata contro l’inconfondibile skyline sullo sfondo, troppo piccola nella grande città così come , in seguito, troppo sola nelle stanze d’albergo, circondata da un’infinità di valige e di bauli.
New York, New York_Illustrazione di Roberta Zeta |
La contempliamo mentre, con i grandi occhi pieni di ciglia sempre sgranati su ciò che la circonda, misura a sua volta il set fotografico o cinematografico. La ammiriamo, finalmente, in alcune tavole dedicate ai film più celebri, nelle quali l’illustratrice, pur rifacendosi a pose molto note legate alle immagini promozionali delle pellicole, è bravissima a non ricalcare gli stereotipi, anzi a vivacizzarli, personalizzandoli con scelte stilistiche suggestive: ecco Audrey nei panni della principessa Anna in incognito, abbracciata a Gregory Peck nella celebre scena della Vespa in Vacanze romane (film del che le valse l’Oscar), con il Colosseo acquerellato sullo sfondo; eccola nei panni più eleganti di Sabrina, tra i profili altrettanto inconfondibili di Humphrey Bogart e William Holden, o mentre balla e canta con Frank Sinatra in Cenerentola a Parigi; ed eccola, forte del suo incantesimo, nelle pose divenute iconiche di Colazione da Tiffany, con il tubino nero sciallato e il lunghissimo bocchino o con il turbante di spugna tra i capelli, mentre canta la struggente Moon River di Henry Mancini accompagnandosi con la chitarra, seduta sul davanzale della finestra. Quando poi la fa apparire nel meraviglioso vestito bianco di pizzo di My Fair Lady, Roberta Zeta ci regala forse una delle illustrazioni migliori di tutto il volume, in cui l’abito è sintetizzato in un’unica silhouette candida sulla quale spiccano i nastri neri e lo sbuffo di piume scure sul grande cappello, mentre il viso dell’attrice viene ritratto con un espressivo e dettagliatissimo grafismo.
Vacanze romane_Illustrazione di Roberta Zeta |
A intervallare le tavole più narrative concorrono alcune illustrazioni dedicate allo stile di Audrey: in una, significativamente vuota della sua presenza fisica, figurano tutti i capi di abbigliamento che ancora oggi rimandano al sua cifra più classica, effortlessy chic, mentre in un’altra la si vede in sella alla sua bicicletta a spasso per Beverly Hills, un cucciolo di cerbiatto nel cestino anteriore e l’aria sbarazzina da eterna fanciulla: coda di cavallo, camicetta annodata in vita e pantaloni modello Capri. In un’altra tavola ancora, da un grande baule firmato Louis Vuitton escono fuori servizi di piatti, stoviglie, dischi e libri, oggetti che l’attrice amava portare con sé per contrastare l’atmosfera neutra e straniante dei grandi alberghi; in quella ambientata a Paisible, la casa in Svizzera dove Audrey comprese il suo amore per la quiete domestica, la scena è dominata dai dettagli dei toast, delle uova al tegamino, delle melanzane in carrozza e della torta al cioccolato che amava preparare per la sua famiglia (le sue mani da cuoca spuntano affusolate dall’inconfondibile marinière bianca a righe nere per afferrare una tazza colma di tè). Curiosa la scelta di dedicare due pagine agli uomini con cui Audrey ebbe delle relazioni importanti, talvolta causa di grandi sofferenze: i loro ritratti appaiono incorniciati come quadri appesi a una parete, e tra questi vi sono l’attore Mel Ferrer (padre del primo figlio, Sean), lo psichiatra italiano Andrea Dotti (da cui nacque Luca), e Robert Wolders, che non divenne mai suo marito ma che lei considerò il più grande amore della sua vita.
Più si va avanti a sfogliare il volume, e più le immagini concorrono al ritratto di un’attrice meno eterea di quanto si potrebbe pensare: emblematica in questo senso la tavola in cui, di fronte a un tipico specchio da camerino, la Audrey di spalle osserva la Audrey nel riflesso che si copre il viso con le mani in un momento di sconforto. Forse non del tutto casualmente, la stessa posa di spalle ritorna a segnarne i momenti del debutto e del congedo dalle scene: la osserviamo da dietro le quinte mentre raccoglie i primi applausi per la lodata prova teatrale di Gigi, e la guardiamo a pochi passi di distanza dentro la sua casa romana, dopo l’addio alla recitazione a soli 38 anni, mentre piuttosto che affacciarsi su un palcoscenico o a favore di camera preferisce volgere lo sguardo sulla meraviglia del panorama offerto dalla città eterna, che l’illustratrice tratteggia con un verde acquerellato colmo di speranze.
L'UNICEF_Illustrazione di Roberta Zeta |
La Audrey della maturità è radiosa come quella fanciulla, nonostante le rughe e i segni d’espressione che non sfuggono alla matita di Roberta Zeta (l'attrice sarebbe morta a soli sessantaquattro anni per un cancro al colon): nella tavola che la ritrae mentre abbraccia un bimbo somalo in qualità di ambasciatrice Unicef il suo sorriso ha la stessa dolcezza di quando stringe il primogenito Sean, arrivato dopo il dolore di due aborti spontanei. Nell’ultimo disegno, tuttavia, Audrey ritorna giovane, di nuovo tra le volute del cancello di ferro battuto in cui la si vede nell’illustrazione di apertura, in cui sembra invitare il lettore a seguirla: il caschetto dalla zazzera corta e la semplice silhouette nera sono scomparsi, sostituiti da un’acconciatura elegante e da un abito rosa che la immortalano per un’ultima volta nei panni della principessa Anna, mentre lei fu senza dubbio una “principessa senza favola”, un “angelo bello” qui sulla soglia del suo personale Paradiso.
Cecilia Mariani