di John Williams
Fazi editore, settembre 2017
Traduzione di Stefano Tummolini
€ 18 (cartaceo)
pp 410
Chissà cosa direbbe Williams di questo straordinario successo tardivo della sua opera: le lodi della critica, l’interesse del pubblico, i riconoscimenti di cui solo in minima parte ha potuto godere nel corso della sua carriera. Stoner, divenuto il suo romanzo più celebre a quasi cinquant’anni dalla prima pubblicazione, caso letterario del 2013 e da allora oggetto di letture approfondite, studi, dibattiti dentro e fuori le aule accademiche. Ho molto amato quel romanzo, lirico racconto di una vita ordinaria, un omaggio alla bellezza, alla letteratura, all’arte. E finora, come molti, lo consideravo, la sua opera migliore: finché non ho letto Augustus. Un’opera ambiziosa, ricchissima di spunti di riflessione, in cui Williams riversa tutta la sua abilità narrativa riuscendo a superare i limiti imposti dal romanzo storico per restituire al lettore il ritratto intenso e profondamente umano dell’imperatore Cesare Ottaviano.
Pubblicato per la prima volta in italiano nel 2013 da Castelvecchi (e recensito da Marco Caneschi), Augustus torna proprio oggi in libreria per Fazi editore – che, con questo testo, può vantare in catalogo la bibliografia completa di Williams - nella nuova traduzione di Stefano Tummolini, che si misura, quindi, con un testo complesso, composto di frammenti di lettere, diari, rapporti militari, brani in versi. Un testo polifonico, che sovverte le regole fondamentali del romanzo storico, annunciando, fin dalla breve introduzione autoriale, il desiderio di rinunciare ad una narrazione che segua un preciso ordine cronologico, che si avvale di numerose licenze poetiche con cui rimaneggiare il materiale storico vero o presunto. Perché, come sottolineato dallo stesso Williams, Augustus è «opera d’immaginazione»: è la storia di un uomo chiamato a cambiare il mondo, ma di cui lo scrittore sceglie di rappresentare il lato più umano, intimo e complesso, stregando il lettore con la prosa ricchissima, l’eco degli eventi storici di quella Roma dilaniata da guerre civili, corruzione, intrighi e lotte di potere, il peso dell’essere uomo e imperatore.
“Forse allora non sarei riuscito a dirlo con chiarezza, ma sapevo che un solo destino mi attendeva: quello di cambiare il mondo” Cesare Ottaviano
Williams affida il racconto alle voci di uomini e donne che in qualche modo hanno intrecciato la propria vita a quella di Cesare Ottaviano, amici o rivali: Mecenate, Marco Agrippa, Marco Antonio, Cicerone, Nicola di Damasco, la figlia Giulia, le mogli, le amanti e molti altri, fino ad Ottaviano stesso, restituendo ad ognuno di loro voce distinta e personale visione sugli eventi narrati. È evidente, quindi, quanto poco conti alla fine l’accuratezza storica della narrazione: la forza di Augustus risiede proprio nell’umanità conferita al protagonista, l’anima e il cuore dell’imperatore del mondo scandagliata con la consueta abilità di Williams nella costruzione psicologica dei suoi personaggi. Ed è, ancora una volta, un testo che offre molteplici chiavi di lettura, interessante dal punto di vista tematico e strutturale, per la polifonia e la tecnica narrativa scelta, per la complessità psicologica del personaggio, i molteplici ruoli che è chiamato ad interpretare: è Ottaviano ragazzo, il figlio adottivo di Giulio Cesare ed erede designato, il giovane uomo alla guida di un impero, deciso a vendicare l’assassinio del padre e portare ordine e prosperità a Roma; ma è, soprattutto, l’uomo costretto ad indossare di volta in volta una maschera diversa, i desideri privati che si scontrano con i doveri pubblici, è il padre affettuoso, il marito e l’amante, l’imperatore celebrato come un dio, seppur mortale. E un uomo profondamente solo, schiacciato dal peso delle responsabilità, dalla ragion di stato, dalla perdita e dagli addii, che Williams riesce a tratteggiare con straordinaria intensità, al punto che per un attimo è facile dimenticare il personaggio storico, gli eventi di cui è stato protagonista, ed osservarlo semplicemente come un uomo, eroe del Bildungsroman di Williams.
È il ragazzo, la cui vita cambia per sempre quel giorno ad Apollonia, quando la notizia dell’assassinio di Giulio Cesare lo investe di tristezza e responsabilità:
“Cosa proveranno gli altri? L’avranno capito anche loro?
Avranno capito che davanti a noi si apre una strada che ci condurrà alla morte o alla grandezza? Queste due parole si rincorrono nella mia testa, e girano senza sosta, fino a diventare una sola.”
Ottaviano abbraccia il suo destino e da quel momento diventa Cesare: sfida coloro che dubitano delle capacità di quel giovane taciturno, conosce presto le insidie della nuova posizione, gli intrighi e la corruzione dilagante, i nemici, il sapore del sangue e della battaglia. Sono gli anni del triumvirato insieme a Marco Antonio e Lepido nel tentativo di sconfiggere in Oriente le forze dei cospiratori Bruto e Cassio, il desiderio bruciante di vendicare l’assassinio del padre adottivo, riportare l’ordine a Roma. Le divergenze con Marco Antonio che sfoceranno in guerra aperta, due personalità diametralmente opposte che Williams tratteggia abilmente, i nemici, le congiure, le alleanze necessarie, la relazione tra Antonio e Cleopatra, infine la vittoria di Cesare Ottaviano ad Azio. Ma, come accennato, più degli eventi storici, è l’attenzione per il cuore dell’uomo a conquistare il lettore confermando ancora una volta la peculiare capacità di Williams nel descrivere con efficace realismo luci ed ombre dei suoi personaggi. Molteplici, si è detto, le possibili chiavi di lettura per questo romanzo, ma alcuni aspetti risultano a mio avviso particolarmente affascinanti: il rapporto di Cesare Ottaviano con l’amatissima figlia Giulia, a sua volta personaggio carico di contraddizioni, le riflessioni sul ruolo della donna nella Roma del tempo, il potere e la solitudine che comporta.
Il mondo è degli uomini e il potere si esercita anche mediante alleanze strette dal matrimonio: non c’è spazio per i sentimenti, per i desideri di una donna se non vi è spazio neppure per quelli dell’imperatore. E Cesare Ottaviano ha votato la sua vita a Roma, non importa quale prezzo se ne dovrà pagare.
“Ciò che chiamiamo matrimonio, tu m’insegni, è solo una schiavitù necessaria; e talvolta penso che perfino l’ultimo degli schiavi abbia conosciuto più libertà di noi donne.” Ottavia, sorella di Cesare Ottaviano
Roma, che finalmente conosce pace e prosperità, non può sapere il prezzo privato che questa comporta, le rinunce, le alleanze, i matrimoni, l’intima sofferenza. E la solitudine dell’imperatore, acuita dalla perdita prematura degli amici fidati, quelli che lo conoscevano quando era semplicemente Ottaviano. C’è in questo una riflessione sul potere che trascende il tempo e lo spazio: osserviamo il cuore di un imperatore, vi leggiamo i dubbi e le angosce, i doveri a cui è chiamato a piegarsi, e, così come le passioni che spingono l’uomo non sono poi molto mutate nel corso del tempo, in maniera molto simile non lo è il prezzo talvolta altissimo che il potere comporta.
Le pagine in cui Cesare Ottaviano cessa di essere l’imperatore del mondo per rivestire il semplice ruolo di padre sono probabilmente le più intense ed intime, in cui aleggia, anche alla luce della realtà storica che conosciamo, una profonda malinconia e sensazione di perdita che è difficile ignorare. Giulia, bellissima ed intelligente, figlia amatissima, che non smette di cercare l’uomo dietro i doveri dell’imperatore:
“[…] quando fu abbastanza vicino da riconoscerci, lui spronò il cavallo superando i soldati con cui marciava, e mi prese tra le braccia, ridendo, e poi strinse anche Livia: così era mio padre. Quella fu forse l’ultima volta in cui riuscii a vederlo come un padre qualsiasi.” Giulia
Non è un padre qualsiasi, naturalmente, e la personalità travolgente di Giulia mal sopporta le imposizioni derivanti dalla sua posizione di figlia di Cesare: ma pagherà a caro prezzo il proprio desiderio di libertà, l’insofferenza verso codici comportamentali e aspettative paterne. Se fosse semplice personaggio letterario, Giulia avrebbe il fascino assoluto dell’eroina ribelle, donna libera ed emancipata: tre volte sposa per convenienza, innumerevoli amanti e le compagnie libertine con cui si accompagna, le feste, il piacere di essere considerata al pari di una dea. E, non da ultimo, la scoperta dell’amore: Iullo Antonio, l’uomo a cui si abbandonerà completamente e che la condurrà alla rovina. Ad emergere dalla pagina con intensità è, ancora una volta, il ritratto intimo dell’uomo dietro l’immagine pubblica di Cesare Ottaviano, i suoi silenzi, la delusione, la profonda ferita per il tradimento di chi era a lui più vicino, il complicato rapporto con quella figlia amatissima:
“Spesso mi sono chiesto se mia figlia abbia mai confessato a se stessa la misura della propria colpa. L’ultima volta che la vidi, confusa e addolorata per la morte di Iullo Antonio, non fu in grado di farlo. Spero che non lo sia mai, e che viva gli anni che le restano convinta di essere stata vittima di una passione che la condusse alla rovina, piuttosto che complice di una congiura che di certo avrebbe comportato la morte di suo padre, e molto probabilmente la distruzione di Roma. La prima eventualità avrei potuto consentirla, la seconda mai.”
Il destino di Roma, sempre, la cosa più importante a cui sacrificare tutto, perfino sé stessi, perfino la propria figlia. Salvarle la vita, almeno, seppur condannandola all’esilio. E, di nuovo semplice uomo, celare agli occhi del mondo il dolore privato di quella perdita, che rende insopportabile vederla e perfino sentire il nome di Giulia.
“Padre», gli domandai, «ne è valsa la pena? La tua autorità, la Roma che hai salvato, che hai costruito in tutti questi anni... Valevano davvero i tuoi sforzi?».
Mio padre mi fissò per un lungo istante, e poi distolse lo sguardo. «Devo credere che sia così», disse. «Dobbiamo crederlo entrambi».”
La ragione di stato, i sacrifici e i compromessi, le solitudini e le contraddizioni di un uomo destinato a reggere il mondo: nel ritratto intimo e tragico di Cesare Ottaviano, Williams costruisce pagine di straordinaria bellezza, che avvincono il lettore e spingono ad interrogarsi su scrittura, passioni, desideri e la natura stessa dell’uomo.
Debora Lambruschini
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