di Davide Bacchilega
Las Vegas edizioni, 2017
pp. 300
€ 15
Un romanzo sul calcio. Per me, che sono un
tifoso della Fottuta Signora Football Club. Sì, caro Davide Bacchilega, a te
che hai ribattezzato in questo modo la Juventus per tutte la pagine, a te che ti sei
divertito a dividere il mondo esattamente in due, sono certo con il
sorriso, tra quelli che la amano e quelli che la odiano, devo dire una cosa: io
sto nella prima metà, abito nell’universo opposto a quello del tuo titolo. Ci
abito non in una maniera qualsiasi, ma come contagiato da una malattia in stato
di metastasi. Dunque, ecco un primo appunto. Avevi una duplice scelta, sempre
per il titolo. Visto che le alternative pesano parimenti 50 e 50. E hai optato
per quella che mette in risalto il negativo di tutta la faccenda.
D’altronde, non potevo aspettarmi qualcosa di
diverso da chi mette in bocca all’allenatore della Juventus, seppur nella
finzione di un romanzo, le parole dell’allenatore della squadra rivale per eccellenza
degli ultimi anni: il Napoli. Capitolo 64, in vista di una partita della Juve, la
chiamerò così, io, per prepararla come si deve l’autore utilizza la tesi di
Maurizio Sarri al corso di Coverciano. Ma non basta: il Napoli, così
scopriremo, vincerà perfino lo scudetto alla fine del campionato di serie A
raccontato nel libro giusto per poche giornate iniziali. Va be’, c’è
chi gli scudetti li vince di cartone, chi a luglio e chi li vince nei libri.
E c’è la Pro Vercelli
che vanta i titoli di Roma, Fiorentina e, appunto, Napoli messe insieme. Sto
sorridendo anch’io.
Altre cosette, cercando di essere serio.
Siamo sicuri che l’autore non si sia lasciato un po’ prendere la mano?
Intendiamoci, lo sappiamo che del mondo del calcio va scrostata la patina
luccicante. E che dietro il giro ufficiale dei soldi, oltre gli account dei
giocatori sorridenti che ballano la musica preferita, al di là dei titoli a
nove colonne dei quotidiani e delle foto su instagram, esistono fondi d’investimento
sovrani di difficile identificazione, le scommesse illegali, la malavita e i
fascisti nelle curve. C’è del marcio ben oltre la Danimarca , direbbe un
Amleto pallonaro. E se qualcuno si crede assolto, sbaglia prospettiva.
Ma il mondo della serie A descritto nel
romanzo potrebbe essere buono per un torneo governato da oscure cricche o,
mi viene da fare un esempio del genere, per la Serbia del fu Milosevic. E questo,
per legittima scelta narrativa, intendiamoci, ruota attorno alla Juventus. Sì,
c’è qualche altra squadretta che non dà un bell’esempio, a causa dei suoi
tesserati che truccano le partite o dei suoi ultras che somigliano alle tigri
di Arkan, ma, insomma, della Vecchia Signora si parla e alla Vecchia Signora si
arriva. Anche solo per una questione di proprietà transitiva. Del tipo: il
procuratore è un magnaccia da romanzo
criminale, il giocatore simbolo di cui cura gli affari, oltre a essere un
bevitore da movida sessualmente impotente, è l’attaccante bianconero più in
vista, quale squadra viene da associare?
Che cosa sia la Juventus ce lo spiega il
presidente, ultimo erede dell’unica aristocrazia rimasta in questo paese oramai
piccolo borghese. Cito il dialogo con l’allenatore prescelto per risollevarne
le sorti. Peccato che questo allenatore odi la Juve con tutte le sue forze. Salvo poi cedere e
accettare.
«Noi siamo
qualcosa di più profondo di una squadra di calcio.»
«Sarebbe a
dire?»
«Noi incarniamo
un’idea.»
«Che idea?»
«La vittoria.»
«E che idea sarebbe?»
«È tutto ciò che manca alla gente» fa il
Rampollo di Famiglia.
«Tutto ciò per cui è disposta a pagare.»
Fra la Juventus e l’allenatore
anti-juventino, Vincenzo Sarti, s’instaura una dialettica piuttosto accesa. È la parte migliore del libro, un dare e
avere in cui a un certo punto Sarti dirà:
«Credete che le vostre prodezze o i vostri
fallimenti non abbiano
conseguenze sullo stato d’animo di chi vi
segue? Oppure peggio,
pensate che non abbiano influenza sulla
memoria collettiva?»
Così si rivolge ai giocatori in un momento di
connivenza con la filosofia societaria, seppur ammantando le frasi di un alone
che tira in ballo psicologia e zeitgeist. Vincenzo Sarti è un personaggio stuzzicante e l’autore riesce a fare
di questo protagonista il perno di riusciti dialoghi. Si sente che
Bacchilega padroneggia l’argomento. L’ispirazione, ce lo confessa, viene dai
santoni del calcio mondiale di varie epoche: Guardiola, Lobanovs’kyj, Menotti,
Michels, Sacchi, Valdano. Lo sforzo ulteriore è quello di sfaccettare Sarti,
costruirgli i suoi scheletri nell’armadio nonostante sia un apparente
concentrato di coerenza. Tuttavia è in ottima compagnia e il romanzo si
sviluppa come una gara a chi ha l’ombra più lunga da nascondere. In ogni
ambito, sia in quello calcistico vero e proprio sia nel cosiddetto indotto, che
è amplissimo e va dal giornalismo al marketing.
Ma anche Sarti finisce per farsi
trasportare, a livello narrativo, verso una deriva dove sembra di stare all’epoca
dei Medici o dei Borgia. Non quella delle fiction televisive. Manca solo il
morto, magari per avvelenamento, poi il quadro sarebbe completo. So benissimo
che quanto scritto sopra è frutto delle mie ferme convinzioni per cui come
gesto di sportività, invero in me rarissimo e di conseguenza da apprezzare,
concludo dicendo che mi piacerebbe leggere qualcosa proveniente da chi si trova
a suo agio nella parte di mondo contenuta nel titolo.
Marco Caneschi
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