Novecento d'Europa. L'illusione, l'odio, la speranza, l'incertezza
di Simona Colarizi
Editori Laterza, 2017 (prima ed. Economica Laterza)
pp. 482
€ 15,00
Un giochino. Lungi dall’avallare qualsiasi
conflitto tra saggisti – giacché sembrano bastare quelli “tra facoltà” di cui
scriveva Immanuel Kant – sarebbe interessante osservare i metodi con cui gli
autori di manuali decidono di raffigurare la materia storica. Un argomento tra molti, nient'altro che una suggestione: il Sessantotto, che ritrova in Gilles Deleuze e Felix Guattary la più interessante delle configurazioni teoriche. Tale, la descrizione del patricidio politico del celebre “Storia Contemporanea – Il
Novecento”, che gli universitari hanno fraternamente battezzato come “Sabbatucci-Vidotto” dai
cognomi dei due autori (Laterza, 2007).
La contestazione nei confronti della società del benessere trovò la più larga eco proprio fra coloro che di quella società potevano considerarsi i figli: i giovani nati nei primi anni del dopoguerra. L’opposizione alla civiltà consumistica si espresse dapprima in forma di rifiuto delle convenzioni, di vera e propria fuga dalla società industrializzata […] e quindi nella creazione di una cultura alternativa […]. A partire dal ’66-’67 – e con un apice nel ’68, “l’anno degli studenti” – la rivolta giovanile si estese ai maggiori paesi dell’Europa occidentale (e anche al Giappone), dove prese forme più radicali e ideologizzate, ispirandosi ora alle correnti radicali del marxismo, ora a modelli “terzomondisti”, ora all’esempio della “rivoluzione culturale” della Cina di Mao Tse-tung.
Diversamente eppure similmente – questa la tesi che il giochino desidera
sostenere - invece, un secondo manuale, edito da Il Mulino e redatto dallo
storico Raffaele Romanelli.
Esplosero i colori. I giovani erano “figli dei fiori”. […] La controcultura hippie raggiunse il suo apice in un concerto improvvisato, all’aperto, nell’area di una fattoria affittata allo scopo, a Woodstock […] nel 1969. L’onda lunga della mobilitazione americana [quella dei giovani contrari alla guerra in Vietnam, ndr] raggiunse l’Europa alla fine degli anni Sessanta. […] Nel maggio, in seguito alla chiusura dell’università parigina della sorbona […] la protesta dilagò nella città […]. Nelle strade di Parigi tornarono le barricate. […] “Vietato vietare”, gridavano gli studenti. […] In alcuni paesi europei le proteste studentesche coinvolsero le fabbriche.
Terza, la penna di
Simona Colarizi in “Novecento d’Europa”.
L’ondata di protesta esplosa nel 1968 in tutte le università dell’Europa occidentale va naturalmente fatta risalire alla rivoluzione dei costumi dei valori innescata nel boom economico, che aveva avuto il suo massimo impatto sulle generazioni dei giovani e dei giovanissimi. […] All’antica richiesta della parità uomo-donna nelle libertà, nei diritti, nei doveri, nell’accesso alle professioni e nelle retribuzioni si aggiungeva adesso anche la rivendicazione alla diversità femminile […]. La produzione letteraria e soprattutto cinematografica e teatrlae di questi anni ha narrato con incisività il vuoto, la solitudine, il dolore e le incomprensioni […] che investiva famiglie e unioni coniugali – celebre Scene da un matrimonio di Ingmar Bergman (1973) – ma spezzava anche l’armonia dei rapporti d’amore e di sesso nella crescente incomunicabilità esistenziale tra gli amanti descritta dai registi Michelangelo Antonioni, Alain Resnais, Francois Truffaut. […] Nell’ondata di contestazione giovanile esplosa nel 1968 in tutte le accademie europee, questa rivoluzione del costume si esprimeva negli slogan antinomici intonai dai manifestanti […] Gli Angry Young Men (i giovani arrabbiati), poeti, romanzieri, drammaturghi inglesi avevano già messo sul banco degli imputati la società del benessere appena conquistata.
Che farsene, insomma, di quel relitto che ha nome di storia
contemporanea? Cercare ginocchioni, da bravi archeologi, il bagliore d’un
manufatto di cui far fruttare l’utile economico? Le macerie di tale
architettura ancora pesano sulla schiena dell’epoca: nei rigurgiti
d’ideologie fortunosamente annientate, nelle apologie dei loro arti ancora
palpitanti. Pessima, la critica che necessiti della contingenza per descrivere
le istanze d’un testo, eppure non è la storia stessa a recludere la realtà in un
presente eternizzato? Nessuno citi ciò che i manuali annotano a
proposito dell’Eterno Ritorno dell'uguale del dinamitardo Nietzsche, dove l’ontologia
incorpora nel proprio carattere più ubuesco persino i precetti della
contingenza.
Le architetture per mezzo di cui sovente si cerca di descrivere
istanze universali – Potere, Storia – abbracciano configurazioni
immediatamente particellari. Ancora, è lo storico Paul Veyne a
descrivere della materia il carattere reticolare che ne conforma il profilo,
durante la lezione inaugurale al Collège de France dell’anno accademico
1976-’77, distinguendo l’evento dal documento. Naturale che la profilazione
della storia, per mezzo di una totale sistematicità della stessa nella forma che esordisce nel documento – la fonte – e verso il documento si risolve – in un approdo, ad esempio,
divulgativo – divenga quella di una narrazione che tradendo l’evento, di fatto
lo restituisce. «L’eruzione del Vesuvio nel 79», precisa Veyne, rivolto
all’auditorio, «fatto fisico trattato come un evento. Il governo
Kérenski nel 1917: evento umano […] fenomeno miratamente particellare. Se si
confonde il fatto con l'evento è perché lo si giudica da solo degno
d’interesse; se ne si osserva il carattere particolare, non è che un
pretesto per scoprire una legge». Il riferimento permette di
osservare con sospetto la narrazione storica, il pretesto d’una legge
universale; eppure la storia non esiste che dentro la trama, sovente angosciosa,
di quella narrrazione. Non privo d’interesse, dunque, il metodo di cui Simona
Colarizi, docente di Storia Contemporanea all’Università “La Sapienza” di
Roma, si serve per la redazione del manuale “Novecento d’Europa. L'illusione, l'odio, la speranza, l'incertezza”, che Laterza
pubblica tra i testi della collana economica.
La metafora rizomatica, mutuata naturalmente dai
“Millepiani” dei citati Deleuze-Guattary ma che già trovava precisa rappresentazione bibliocentrica dentro “Le parole e le cose” di Michel Foucault per cui l’esistenza stessa dell'individuo umano si assoggettava alla configurazione autentica del documento, è piuttosto utile nella descrizione del lavoro di Colarizi. In esso, infatti, si
incontrano non soltanto quei fatti confusi per eventi cui accenna Veyne –
l’assassinio, ad esempio, dell’arciduca Francesco Ferdinando per mano di
Princip – ma pure ciò che riesce a trascendere le istanze per
l’edificazione di congegni inediti: letteratura, musica, cinema. Lo sguardo
della storia diviene, per il lettore, quello di chi osserva un’opera d’arte. Prova per la ragnatela tracciata dalla storia, l'opera “La Libertà che guida il popolo”, che nel 1830 Delacroix dipinge non lesinandone il seno scoperto
e circondata di istanze storiche, filosofiche, estatiche. Le pennellate del
pittore sulla tela; il fanciullo che prenderà ne “I miserabili” di Hugo il nome
di Gavroche e per la cui condizione, come pure per la morte “la colpa è di Voltaire/ la colpa è di Rousseau”; il
regime monarchico di Carlo X di Borbone ma pure la Rivoluzione del 1789 e
finanche i volantini che Charles de Gaulle – ignorato, certo, dal pittore
ottocentesco - distribuisce ai francesi
in seguito alla liberazione dall'occupazione nazista.
Ognuno degli elementi del
saggio di Colarizi sembra lavorare per ancorarsi al tempo senza possibilità
d’evasione. Alla storia, insomma, uno sguardo reticolare.
Antonio Iannone
Social Network