Trionfo dei populismi, aspirazione all’autarchia, censura dell’informazione, “nazione”: sono parole che sembrano appartenere al passato, o quanto meno ad altre coordinate geografiche. Sono concetti che sembrano relegati nel mondo dell’impossibile, del “qui non può succedere”. Ma sarà poi vero?
Comincia da qui il lungo incontro con Federico Rampini, giornalista e scrittore, corrispondente di Repubblica da New York. L’autore ha presentato il suo ultimo libro, Il tradimento (Mondadori, 2016), nella Sala conferenze del Dipartimento di Giurisprudenza di Taranto. Una presentazione sui generis, una complessa analisi dello scenario politico ed economico occidentale, condotta tra citazioni ad altri scrittori e alle loro opere.
Il primo riferimento è stato proprio ad It can’t happen here (1935), romanzo di fantapolitica di Sinclair Lewis, che immagina la fine della democrazia in America e l’instaurazione di un presidente populista. A distanza di ottant'anni, quell’ipotesi che “non può accadere” nella società americana, sembra essersi avverata con l’elezione di Donald Trump. “Uno shock”, nelle parole di Rampini, reso possibile dal concorrere di diversi fattori: alle responsabilità del sistema elettorale Usa (che ha premiato il candidato che ha ricevuto meno voti) vanno aggiunti gli errori (il tradimento, appunto) di una sinistra troppo lontana dalla popolazione.
Così se The Donald, bancarottiere e politicamente ignorante, ha saputo parlare alla pa
ncia del Paese, cavalcando l’onda della crisi economica e del razzismo, gli avversari democratici si sono rinchiusi in una torre di valori e ideali distanti da problemi e preoccupazioni quotidiane dei loro elettori.
L’esempio lampante, secondo il giornalista, si è avuto con le due stragi avvenute durante la campagna elettorale, quelle di San Bernardino e Orlando: né Obama e né Clinton hanno voluto parlare di terrorismo islamico. Il risultato è stato un eccesso di politically correct che ha finito per danneggiarli. Lo stesso è accaduto tutte le volte che la parte dem si è issata sulle barricate dei diritti delle minoranze, atteggiamento che ha determinato una sorta di rovesciamento: la percezione che si parlasse di tutte le minoranze e si ignorasse la maggioranza, la classe bianca operaia. Il gruppo più danneggiato dagli shock economici degli ultimi anni, gettato sul lastrico, senza un lavoro e senza una casa.
È questo girarsi dall’altra parte che dà il titolo al libro di Rampini, quel tradimento delle élite nei confronti delle maggioranze esasperate. Private di sicurezza e persino di voce, queste persone hanno finito per sentirsi Strangers in their own land, dal titolo di un’opera di Arlie Russell Hochschild, e convergere verso il candidato che più gli somigliava: bianco, americano, arrabbiato.
Qualcosa di simile (ri)accade in Europa con il rafforzarsi di tendenze populiste (la Lega, il Front National, il partito pro Brexit e i sostenitori di Orban, per citarne alcuni).
Secondo Rampini all’origine di queste tendenze (tra le quali la più singolare è il rafforzarsi, in Occidente, della popolarità di Putin) ci sarebbero gli stessi due fattori, in un circolo vizioso: rabbia, tradimento (inteso come distacco della politica dal Paese), ancora rabbia. E così la reticenza a parlare di alcuni temi, a chiamare talvolta le cose con il loro nome, il politicamente corretto che offre il “la” a infinite discussioni sul nulla, finisce per generare un allontanamento dai valori che la sinistra dovrebbe rappresentare, orientando l’elettorato verso forze diverse. Il che a sua volta genera un ulteriore tradimento, quando il leader sinistroide ricorre a clamorosi dietrofront e contraddizioni (in primo luogo nei confronti dell’immigrazione, oggi il principale ago della bilancia elettorale) per racimolare qualche voto.
Ma non solo di politica si parla, se è vero che gli organi di informazione spesso eccedono in prudenza e reticenza.
Per cui il lettore medio, che non si sente informato, converge verso il tono gridato, il retroscena, il titolo sensazionalistico, quando non incappa nelle fake news. Ed ecco che il mondo sembra impazzire. La rabbia si sfoga con proteste violente, la tendenza populista si rafforza, si cerca un leader forte, chiudendosi dentro confini sempre più ristretti. Si aprono scenari inquietanti, che sembravano scongiurati da sessant’anni di diplomazia. E mentre in Italia si torna a parlare di fascismo, la domanda rimane: davvero non può (più) accadere?
Francesca Romana Genoviva