I pensieri di Braciola
di Aldo Gianolio
Robin&sons, 2017
pp. 162
€ 10,00
I pensieri di Braciola è un libro impastato di lambrusco, bestemmie (invero assenti, ma se ne coglie in sottofondo l’eco, il liberatorio, alticcio e ragionevolmente astioso borbottio) e divagazioni comiche e sottilmente malinconiche.
Non è propriamente un romanzo; non è un diario e non è una raccolta di aforismi. Come spiega il titolo, quelli contenuti all’interno del volume sono i pensieri di Braciola, amico del narratore, fedele compagno di pranzi consumati alla mensa e apprendista campanaro.
Le sue sono brevi osservazioni sghembe sulla realtà, ispirate a un buonsenso che, però, troppo spesso è da molti completamente dimenticato. Persino il limitato orizzonte di considerazioni tutto sommato elementari (e, talvolta, di luoghi comuni) entro cui si muove Braciola guadagna spessore e diventa un territorio di riscatto, di ricerca di piccole verità negate dalla grancassa mediatica, dalle mode e da una pesante coltre di conformismo contro cui Gianolio si scaglia.
In queste righe, leggere di una leggerezza nobile che rimanda alla migliore tradizione umoristica, emerge e si ripropone continuamente la crassa idiozia del politically correct.
Braciola la rileva in molteplici ambiti e inchioda senza pietà i suoi ossequiosi seguaci.
Tra questi incontriamo, ad esempio, il sassofonista bianco Franco Negro, musicista «talmente politically correct che aveva cercato a tutti i costi di cambiarsi il nome da Negro a Nero» (p. 27), peraltro senza riuscirci.
Il protagonista scorge lo stesso spirito conformistico e superficiale in certo pseudofemminismo à la page, pronto a farsi coinvolgere da questioni formali trascurabili o, in ogni caso, assai meno incisive rispetto a rivendicazioni sostanziali che potrebbero e dovrebbero essere promosse (penso, ad esempio, alle infinite battaglie sul genere dei sostantivi – ministra e non ministro, sindaca e non sindaco – , come se realmente la necessaria parità di genere passasse da qui).
«Oggi, col politically correct imperante», leggiamo, «Se questo è un uomo, Primo Levi l’avrebbe dovuto intitolare Se questa è una persona». Forse, aggiungo io, avrebbe fatto ancora meglio a intitolarlo Se questo è un* essere: il Dio del politicamente avrebbe apprezzato di certo.
Più in generale, le parole di Braciola sono piccole e giocose cariche esplosive innescate contro tutto ciò che è assurto a dogma o a moda (il footing e certo salutismo esasperato sono ottimi esempi). Gli esperti di qualsiasi campo, i medici, gli intellettuali e gli scrittori, sono sfidati a duello tra un bicchiere di vino e una partita a biliardo.
Naturalmente, non di rado le contestazioni all’opinione comune rilanciata quotidianamente da giornali e tivù si rivelano esse stesse vuote considerazioni semplicistiche e nostalgiche, restie ad accettare realtà di fatto indubitabili. Non tutto ciò che diventa un ritornello mediatico può essere rifiutato e rispedito al mittente. I cambiamenti climatici sbertucciati a inizio volume sono, ovviamente, una tragica realtà.
Del resto, la saggezza popolare non è così saggia, se – come leggiamo più volte nel testo – per ogni proverbio che invita a comportarsi in un modo c’è n’è un altro che ingiunge di comportarsi nella maniera esattamente opposta: «Sibillo il cinque maggio aveva detto: chi ha tempo non aspetti tempo. Il giorno dopo aveva già cambiato idea e diceva: la fretta è cattiva consigliera» (p. 68).
La stessa cosa avviene nelle dichiarazioni dei dottoroni di turno («Fra questi continui ravvedimenti degli esperti [...] sto aspettando con ansia la rivalutazione del burro. Secondo me, arriva presto» (p. 20).
Anche la cucina ha i suoi dogmi, le sue false certezze. Con un spirito anti-intellettualisticamente liberatorio che ricorda la stroncatura comica più celebre d’Italia («La corazzata Potëmkin è una cagata pazzesca!», dell’indimenticabile Fantozzi), l’autore mette in bocca a un ortolano una dichiarazione che ha il tono di una verità sempre negata giusto per darsi un tono, giusto perché si deve: «lo sanno anche gli asini che il tartufo nero, da sempre, non sa di niente, ma proprio di un bel cazzo di niente!» (p. 69).
Merita infine di essere menzionata l’onomastica dei Pensieri di Braciola. Ogni personaggio è indicato tramite un soprannome che ne disvela, trasparentemente, i tratti principali. Gianolio si è sbizzarrito nel creare un universo di nomi, uno più divertente dell’altro, che accentua ulteriormente l’incontestabile forza comica del libro. Compaiono dunque Braciola (fieramente sovrappeso, dopo aver effettuato un’insolita ricerca statistica sul giornale locale e aver scoperto, consultando i necrologi, che i deceduti magri erano più dei deceduti grassi), Sterminio (che lavora in un azienda di derattizzazione), Sordone, il muratore Piastrella, Mortadella, Trivella, Sibillo, il sergente Spirito, Spaventa e altri nomi di tal fatta.
In uno stile colloquiale, volutamente ed efficacemente trasandato e talvolta al limite della sciatteria, lo scrittore dà vita a un libro divertente, leggero senza essere banale, che trova un suo punto di forza proprio nella sua forma frammentaria e apparentemente svagata. I pensieri di Braciola segna, a mio parere, un netto passo avanti rispetto al precedente Ottavio il timido. Vi sono alcune sbavature e qualche momento di stanca che non inficiano la buona riuscita del testo. La speranza è che Gianolio prosegua su questa via. Non gli mancano le ottime letture e proficui riferimenti letterari, e ha dalla sua un piglio dissacrante prezioso e sempre più necessario. Lo aspettiamo con curiosità e fiducia alla prossima pubblicazione.
Marco Giorgerini
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