Del dirsi addio
di Marcello Fois
Einaudi, 2017
pp. 296
€ 20,00 (cartaceo)
Del dirsi addio, l’ultimo romanzo di Marcello Fois, è un noir sulla fragilità delle apparenze e degli equilibri, dominato fin dalle prime pagine da un senso grave di separazione, di rottura. Perché da quando il piccolo Michele Ludovisi scompare nel cuore della notte in una piazzola di sosta, mentre è di ritorno da una cena con i genitori Gea e Nicola in un ristorante nei pressi di Bolzano, le cose, e soprattutto le persone, iniziano a franare su se stesse, a cadere a pezzi come tessere di mosaico. Non solo quelle che fanno parte del suo quadretto familiare di presunta perfezione, ma anche quelle che si ritrovano coinvolte nell’indagine per il suo ritrovamento: a partire dal commissario Sergio Striggio, a cui il caso viene affidato, e che viene colto dalla notizia in un momento delicato della sua vita privata. Suo padre, difatti, rimasto vedovo per la terza volta, sta arrivando da Bologna per trascorrere del tempo con lui, e mentre Sergio studia il modo migliore per metterlo finalmente al corrente della sua relazione stabile con Leonardo, non sospetta certo che anche il genitore abbia a sua volta un’importante notizia in serbo. In più, il caso di cui deve occuparsi, e che ha scosso nel profondo la quiete fatata della provincia bolzanina, sembra avvolto in un mistero più fitto dei boschi che impreziosiscono la cartolina di quel territorio meraviglioso: nessuna logica, nessuna traccia, nessun testimone utile, a parte gli stessi Ludovisi e l’uomo (un sacerdote) che ha prestato loro i primi soccorsi al momento della sparizione nel nulla del ragazzino…
Che fine ha fatto Michele? È stato rapito? È stato ucciso? Da chi? A che pro? Oppure è scappato volontariamente e si è nascosto da qualche parte? E perché? Mentre il tempo delle indagini sembra trascorrere senza particolare costrutto, a contendersi con prepotenza l’attenzione e l’inquietudine del lettore ci saranno le dinamiche e le criticità che regolano le relazioni umane: tra genitori e figli, tra marito e moglie, tra amanti clandestini, tra colleghi. Come se Fois, mettendo alla prova legami apparentemente perfetti e sottoponendoli a prove dolorose determinate da eventi imprevedibili e incontrollabili, volesse mostrarne tutta la fragilità, e soprattutto l’inutile fatica riposta nella ricerca del consenso e del plauso. Perché Del dirsi addio è un romanzo in cui tutti sembrano impegnati a rovinarsi la vita cercando l’approvazione dell’altro con una tenacia al limite dell’autodistruzione: la cerca Sergio, fin dalla sua “inadeguata” pubertà, da parte del padre Pietro, senza mai sospettare che anche in quell’anziano signore, ex poliziotto di razza, possa albergare da tempo il seme della comprensione e dell’indulgenza; la cercano i Ludovisi da parte della comunità in cui vivono, mentre la loro quotidianità, per anni e forse dal loro primo e fatale incontro, si è nutrita di un’attrazione ferale e poi di un’insofferenza reciproca fitta di sospetti e di segreti inconfessabili, fino alla rivelazione dell’odio; la cerca l’Ispettore capo Elisabetta Menetti nel suo commissario Striggio, il diretto superiore nei confronti del quale prova il tipo di attrazione tante volte deleteria nelle gerarchie lavorative. A ben guardare, a quanto pare di capire, l’unico che non cerca approvazione e che, di fatto, non ne gode – come può goderne in un contesto privo di indulgenza (ma prodigo di enclaves) nei confronti dell’imperfezione? – è proprio Michele, bambino troppo “speciale”, troppo “impegnativo”, troppo spontaneamente perso nei suoi mondi di passioni e di nozioni maniacali per limitarsi a un ruolo di pargolo adorabile e di perfetto comprimario nel quadretto di famiglia. Sarà per questo che quando scompare i suoi genitori sembrano ricavarne un beneficio abominevole? E sarà per questo che Sergio prende così a cuore il suo caso, quasi identificandosi in lui, nella sua sofferenza di bambino “al limite”, incomprensibile e dunque incompreso?
Del dirsi addio è un romanzo in cui si sente forte il peso dell’insincerità: tutti mentono, o sono tentati dal farlo, e a se stessi prima che agli altri, con l’ostinazione di chi vuole nascondere e dimenticare un passato scomodo, drammatico o inglorioso rivestendolo con la patina dorata di un presente riparatore. Inutilmente: la verità – nuda, scabrosa, comunque liberatoria – alla fine emergerà da sotto le unghie, con la potenza incontrastabile di un’energia naturale. E forse non è un caso, in questo senso, se Bolzano, i suoi dintorni e l’ambiente in senso lato, ovvero gli elementi naturali intesi come potenze primigenie, assumono un valore decisivo, che va oltre l’esigenza di una cornice spaziale – o per così dire meteorologica –, con simbolismi e contrappunti di memoria quasi deleddiana (ma del resto il protagonismo dei luoghi è una costante in tutti i romanzi di Fois): basti pensare al nome “parlante” di Gea, la madre di Michele, ma anche, in modo più macroscopico, alla stessa suggestiva titolazione delle quattro parti in cui è articolata la narrazione: Terra, Fuoco, Acqua e Aria.
A chi o a che cosa, dunque, si dice “addio” in questo romanzo? A chi parte e si diparte, certamente. A chi lascia la vita, muore, e non è più. Ma anche a chi si era e non si è più. A un’idea di condotta e di mondo. A un’illusione di realtà perfetta e possibile. A un’ipotesi di apparenza ipocrita ma tuttavia confortevole e rassicurante. A un passato di bugie e malintesi. Si dice addio, e lo si fa dando importanza anche e soprattutto al come questo accade. Le vecchie relazioni – con le persone, ma anche con le cose, le abitudini, le strategie, le filosofie – possono giungere al termine: tutto sta poi nel capire su che presupposti sviluppare quelle nuove. Una risposta, tra le righe del romanzo – anche tra le righe degli elenchi di cui Del dirsi addio è interpolato – è che il senso più autentico e più sincero dei rapporti sta tutto nelle cose che si conoscono l’uno dell’altro: cose il più delle volte minime eppure determinanti, esclusive e privatissime, le stesse per le quali ci si ama e ci si assolve senza scampo, oppure ci si odia per sempre, senza perdono.
Cecilia Mariani