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#VivaTabucchi: una festa milanese, un viaggio nei luoghi di Tabucchi

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Il 16 e 17 settembre l'editore Feltrinelli ha organizzato a Milano #VivaTabucchi, una due giorni dedicata ad Antonio Tabucchi, per omaggiare lo scrittore ripercorrendo la sua opera, per ricordarne insieme l'attualità, la profondità, la grandezza. 
Hanno partecipato autori, studiosi e lettori uniti dalla passione per Tabucchi, accomunati da quella particolare sensazione di avere - almeno una volta - viaggiato insieme a lui. 
Anche noi domenica siamo andati alla Fondazione Feltrinelli per ascoltare le testimonianze, le letture, i ricordi di chi ha amato Tabucchi conoscendolo e leggendo i suoi testi.  

Il viaggio è iniziato con Paolo di Paolo che ha ricostruito la mappa europea di Tabucchi. 
Ci siamo mossi su una carta geografica fisica - il familiare atlante De Agostini - e ideale, ripercorrendo il peregrinare dell'autore, materia preziosa e fondante della sua produzione. Aveva una percezione dello spazio così peculiare e profonda, con i soli limiti del corpo umano a fare da confine, quel corpo che c'è "ma non trova riparo". 
Il punto di partenza è Vecchiano, il borgo toscano delle estati d'infanzia, la casa. Da quel cortile in cui giocava da bambino (l'eco della "favola popolare" Piazza d'Italia) alle campane e alle bancarelle di Parigi, dalla Lisbona di sogni e fantasmi (quella dell'amato Pessoa e del surrealismo, ventilata e sfavillante) all'isola di Creta che somiglia a una finestra spalancata sul mare, la stessa del racconto Il fiume. E ancora, dalla Bombay di Notturno Indiano alla Ginevra delle letture di fronte al lago.

Nell'atlante di Tabucchi l'Europa è un continente vecchio, narrato sempre in modo nuovo, è uno spazio che si fa tempo, a volte così tangibile, altre incorporeo come l'aria. D'altronde, come ha detto Di Paolo, "Tabucchi è l'unico scrittore capace di scrivere un racconto con l'aria". 
Nei luoghi percorsi insieme a #VivaTabucchi abbiamo ritrovato le storie dei suoi libri, ma più di tutto quel senso del tempo che cambia i luoghi con noi, fino a non farci più riconoscere. È l'eco del cantore Pessoa che scrive Un’altra volta ti rivedo (Lisbona) ma, ahimè, non mi rivedo!
Nella sua vita Tabucchi si è spinto lontano, ha trovato nuove case, seguito le tracce degli autori che ha letto nella sua prima biblioteca, ha tracciato una linea geografica di bellezza e di malinconia che alla fine è anche la linea dei ricordi, della lingua madre. È la voce di una zia quasi addormentata che gli chiede "ti ricordi com’era bella l’Italia?”.

Dopo l'introduzione di Paolo di Paolo sono saliti sul palco altri scrittori: Adrien Bosc, Lisa McInerney, Paolo Cognetti e Michele Mari. Abbiamo continuato a viaggiare, e ancora in Europa. Insieme hanno condiviso impressioni e letture di Tabucchi, tutti in qualche modo legati alla sua lingua, ai suoi luoghi. 
Bosc ha raccontato le sue letture, McInerney ci ha portati nella sua Cork per spiegare come i luoghi possono diventare personaggi dei romanzi, Cognetti ci ha svelato la montagna come luogo fisico e ideale, Mari ha ricordato lo spirito caustico di Tabucchi, animatore di confronti, ostile all'idea di una letteratura ferma, che tranquillizza le coscienze. 
Un momento di confronto per indagare cosa significa oggi essere scrittori europei, quale appartenenza e immedesimazione esiste nel vivere l'Europa, nello scrivere l'Europa oggi. 

Nel pomeriggio siamo andati ancora più vicini all'uomo Tabucchi, conoscendolo attraverso i ricordi di Jorge Herralde, fondatore e direttore editoriale della casa editrice Anagrama, che ha pubblicato tra gli altri anche Tabucchi. Con la voce piena di emozione,  la voce di un amico, Herralde ha raccontato la fortuna delle opere tabucchiane in Spagna, sempre così vive, soggette a riletture e riproposizioni. Lo ha descritto come un "intellettuale clandestino che sentiva il dovere di indagare con la scrittura ciò che non è dato conoscere". Ne ha rievocato l'attitudine da conversatore, il carattere estremo, mercuriale, l'ipersensibilità emotiva. 

E, infine, un altro ricordo, un altro omaggio quando sono saliti sul palco Andrea Bajani e Norman Manea che hanno parlato dell'esilio come storia, ma anche come condizione insita nella scrittura. 
Bajani ha citato Notturno indiano - ancora un viaggio, ancora una prima persona - come il libro che più di ogni altro gli ha fatto capire che qualsiasi artista ha dentro di sé una parte inaccessibile ed esiliata. Ha definito Tabucchi come uno scrittore capace di mettere in discussione il mondo come lo conosciamo, di esiliarsi e di ritirarsi dentro una dimensione diversa da quella della realtà conosciuta, per poi tornare tra di noi. E raccontare. 
Norman Manea, autore rumeno che ha vissuto il campo di concentramento e il regime totalitario, ha conosciuto personalmente Tabucchi, evento che ha definito il più bello del suo esilio. Introdotto da Bajani ha continuato la sua analisi sull'esilio come condizione insita nella scrittura, sin dal momento in cui l'autore ha davanti a sé la pagina bianca. 

#VivaTabucchi ci ha ricordato perché Tabucchi ci manca come scrittore e come intellettuale, il perché la sua assenza ha lasciato un vuoto letterario e morale. 
Non è facile trovare altri viaggiatori come lui, che cercano la vita a occhio nudo: "né troppo lontana né troppo vicina, ad altezza d'uomo."



Claudia Consoli