La parabola dei tre anelli
di Roberto Celada Ballanti
Edizioni di Storia e Letteratura, 2017
Pp. 235
€ 18
Raramente un sottotitolo è stato tanto foriero di informazioni. La parabola dei tre anelli di Roberto Celada Ballanti, pubblicato dalle Edizioni di Storia e Letteratura infatti, riporta come sottotitolo Migrazioni e metamorfosi di un racconto tra Oriente e Occidente. Già proprio così, questo approfondito studio va proprio a ricercare, tra i meandri della Storia, le spire della Letteratura e i flutti, ovviamente, del Mar Mediterraneo non soltanto l'origine di una storia così significativa per la nostra civiltà ma anche stimolante per un futuro decisamente migliore tra società e civiltà diverse.
Da una parte abbiamo la terza novella della prima giornata del Decameron di Boccaccio, ovvero quella di Melchised giudeo e la storia dei "tre anella" e, dall'altra, il dramma teatrale Nathan il Saggio di Lessing: in mezzo ci sta tutta una serie di origini, ora manifeste ora più arcaiche, della storia primigenia, rimandi incrociati che vanno, senza soluzione di continuità, dalla Spagna mozarabica alla Baghdad dei Califfi con significative tappe nella Gerusalemme culla di religioni. Ovvero questa storia, nata molto probabilmente da un dialogo tra Timoteo I e al-Mahdi nella Baghdad del VII secolo, lega indissolubilmente le tre grandi religioni del Libro. Unite, chiaramente, nelle differenze e nelle somiglianze.
Roberto Celada Ballanti, con un linguaggio accademico e altamente forbito (pure troppo a volte) analizza la vicenda della traditio, leggasi "trasmissione", della storia dei tre anella servendosi di numerosi studi, facendo quindi ben comprendere la grandezza della questione che si ha di fronte. Tre anelli (o anche due a seconda della tradizione) di cui solo uno però dotato di particolari poteri: proprio questo sarebbe la prova, o meglio il dono, che un padre benevole consegna al più meritevole dei suoi figli. Questo anello magico e autentico (gli altri anelli consegnati ai fratelli sono dei falsi infatti) simbolizza, nell'interpretazione allegorica e filosofica della vicenda, la vera, unica e autentica fede: il più delle volte questa è rappresentata dal Cristianesimo, come ne il Novellino, ma non sempre è così.
La religione scende a terra per tornare in cielo forte di una nuova coscienza: quella per cui non c'è verità senza impurità, senza mescolanza con il limite, l'errore. L'orizzontalità terrestre che appartiene al Decameron non è senza emendatio in verticale. Ma qui, anche, si apre l'alternativa tra la sciagura di una violenza senza armonia e la sapiente comprensività di una veritas che si traduce in varietas.
Da questo iniziale discorso di commistione culturale e religiosa il libro, con grande eleganza va detto, via via si eleva per arrivare al punto fondamentale della questione: non soltanto la ricerca dell'origine e dell'autentico a tutti i costi è un po' fine a se stessa ma anzi questa "vuotezza" dell'origine è proprio uno dei più importanti insegnamenti della vicenda (ma non ancora quello "risolutore"). Questo poiché, parimenti alla tre religioni del Libro, anche in tal caso non c'è una origine "più vera del vero" ma proprio nell'eterna varietà sta la grandezza dell'umano essere. Tutto ciò viene ben rappresentato dalla metafora dell'anello.
L'origine come sfera, o anello, linea incurvata su di sé, quasi un peso la piegasse, quasi, all'occhio investigante che le indaga, le radici fossero sempre radici di altre radici, traslate, erranti e, anziché, esibire la purità dell'archetipo, mostrassero interni ingorghi, cespugli, intrichi di intrichi, mescolanze di mescolanze, osmosi di altri processi osmotici. L'origine non è mai una. Se si cerca di fissarla la si espone al suo doppio. L'anello, in tal senso, è la cifra per eccellenza dello sprofondare dell'origine nell'infinita e ricurva ripetizione di sé.
Ci stiamo avvicinando al senso ultimo di questo, non facile ma ricco di spunti, volume. Infatti quando Roberto Celada Ballanti, che ricordiamo insegna Filosofia della Religione e Filosofia del dialogo interreligioso all'Università di Genova, introduce la riflessione su Nathan il Saggio ecco che da un semplice, diciamo così, libro di critica della letteratura o di storia della letteratura questo diventa un manuale del buon vivere al giorno d'oggi.
Si consuma in Lessing, scrive Gerardo Cunico, il passaggio dalla tolleranza come concessione dall'alto (per mera grazia o compassione) alla tolleranza come diritto (per dovere di rispetto) e si preannuncia il totale svuotamento del concetto di tolleranza, nella misura in cui questo presuppone un'identificazione del potere statuale con una confessione dominante considerata come norma in forza della sua presunzione di verità assoluta ed esclusiva.
Così come c'è un'oggettiva impossibilità a fermare un'origine unica per la storia dei tre anelli così anche il primato tra religioni non si può stabilire e quindi cosa fare se non esercitare la tolleranza come diritto e non come concessione, un po' come, in determinati momenti, si è fatto sulle varie sponde di questo nostro Mediterraneo?
Sì, la parabola degli anelli pende sull'abisso, ma se lo tiene a fianco come vertigine incombente, senza lasciarsi irretire. Non annulla la verità nell'universale impostura ma, all'apposto, la dissemina per renderla indistinguibile. La strategia della parabola è la disseminazione, non la desertificazione della verità. Non fa della storia una rete di inganni, ma un campo di beneficio illimitato: un solo Dio ma infinite benedizioni.
Raramente libri di questo tipo contengono una carica etica così squisitamente possente. Uno degli svariati per leggere e rileggere, nonostante l'impervio linguaggio a tratti, questo magnifico La parabola dei tre anelli.
Mattia Nesto
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