#IlSalotto - «Se si coltiva la propria originalità si piace di più a se stessi e, alla fine, anche agli altri»: intervista a Fabio Genovesi

Elena Sassi e Fabio Genovesi

Abbiamo letto e recensito in anteprima l’ultimo libro di Fabio Genovesi: Il mare dove non si tocca e ci sono venute in mente molte domande per Fabio, così, durante una sua presentazione, lo abbiamo invitato a bere un caffè e abbiamo fatto una lunga e piacevole chiacchierata.
Fabio è stato molto disponibile e, oltre a parlare del suo ultimo libro, ci  ha raccontato aspetti della sua vita che ci permettono di sostenere che, oltre ad essere un bravo scrittore, è una gran bella persona!

Quanto c’è di autobiografico in Il mare dove non si tocca?
Molto, quasi troppo. Si parte dalla vera storia della mia infanzia ed era così assurda e interessante che mi sembrava piacevole da raccontare. Lo zio di cui si parla nel libro è venuto veramente a scuola, così come tutti  i miei zii erano persone  eccentriche nella realtà di tutti i giorni. Spesso mi venivano a prendere a scuola e mi portavano via, non ero mai certo di restare a scuola fino alla fine della mattinata.

Cosa pensi dei romanzi di formazione? Credi che siano superati?
Credo che quasi tutti i romanzi siano romanzi di formazione, dal momento che di solito il protagonista parte in una situazione e arriva in un’altra. Il bello del romanzo è vedere come cambia la vita, cosa succede e deve  succedere qualche cosa, altrimenti non avrebbe senso nemmeno il libro. Spesso l’errore è  nel credere che si possa parlare di  formazione solo  quando siamo bambini, invece siamo sempre in formazione (o deformazione), anche a 80 anni.

In questo senso, quali romanzi consiglieresti?
Io consiglio sempre Marc Twain,  invito a rileggere Tow Sawyer per la  profondità del testo  e per la precisione stilistica, riletto da adulti si assapora ancora di più.
Per ragazzi un po’ grandicelli e adulti, invece, consiglio American Dust di Richard Brautigan, una storia appassionante e che fa riflettere.

Cosa pensi della tendenza di molti autori di parlare dei classici ai giovani con un lessico diverso?
Credo sia interessante e importante. Avvicinare i giovani ai classici e anche ai libri in generale andrebbe sempre fatto, è  utile farli sentire vicini in qualche modo a quello che loro conoscono. Far percepire che nei classici c’è qualche cosa può interessare, è un modo per avvicinare alla lettura anche i ragazzi magari più scettici, dire solo “leggere fa bene” sono parole al vento che non aiutano di certo chi non è appassionato di lettura.
Restano, comunque, i puristi che, a mio avviso, portano però a leggere i classici sempre di meno.

Nel tuo libro spesso si fa riferimento al destino, che ruolo ha il destino nella tua vita?
Per me è quasi tutto e ritengo che questa visione delle cose sia affascinante. Nella vita si ha la tendenza ad organizzare e pianificare, ma poi sappiamo che tutto è in mano al caso. Quasi sempre siamo colpiti da momenti imprevedibili meravigliosi o tremendi e perdiamo tempo ad organizzare, poi alla fine la vita è tutto che ci succede mentre noi ci organizziamo. Però talvolta dobbiamo far finta di non saperlo, perché altrimenti vivremmo tutto troppo “a caso”.

«La paura non ha senso, è una stronzata», si legge nel libro; e per te, Fabio, cosa è la paura?
Talvolta io ho paura, ma cerco sempre di ricordarmi quanto è tutto meravigliosamente casuale e cerco così di contrastarla. Mi sforzo di pensare al presente, a quello che mi meraviglia, al mondo naturale, alle piante, ai fringuelli che fischiano in modo diverso in ogni regione… La vita è piena di meraviglie imprevedibili, quindi non serve avere paura, bisogna affidarsi. Più che pensare alla paura, cerco un vivere vicino alla realtà. Rimuginare troppo e avere paura crea una gabbia e, visto che pensare difficilmente aiuta nelle scelte della vita, meglio evitare. Mi sforzo di vivere le cose fino in fondo senza starle ad anticiparle.

E la solitudine ?
È la mia condizione naturale, vivo da solo, viaggio da solo, mi piace pescare nel silenzio e stare da solo mi piace proprio. Anche da piccolo alle feste ci andavo volentieri, ma dopo un’oretta volevo tornare a casa. Questo non vuol dire che non abbia amici, a loro dedico del tempo, magari un pomeriggio intero e do il meglio di me,  ma poi ritorno a casa solo.

«La normalità è la stranezza più grande che ci sia»: è vero per te?
La normalità non esiste, è un calcolo matematico, è una media di tante persone strane. Quando penso che una persona sia normale, mi concedo almeno altre due cene perché so che non può essere così! Tutti siamo strani, l’importante è essere se stessi,  appassionati e accettarsi nelle proprie stranezze. Se si coltiva la propria originalità si piace di più a se stessi e, alla fine, anche agli altri.

Fabio, come nascono le tue storie?
Non ho uno schema e nemmeno una struttura, man mano arriva da sé. La storia che si racconta deve essere simile alla vita, imprevedibile. Io ho in mente solo il singolo capitolo, mai quello dopo, lascio che i personaggi possano vivere liberi e sorprendermi. Se sapessi già cosa succede a pagina 120 non potrei raccontare con passione e stupore, toglierei trasporto alla storia stessa. Prima che la storia parta davvero prendo appunti, in treno, scrivo di cosa succede alle persone, all’inizio è tutto sparso, ma poi gli elementi si intrecciano nella mente e via!

«Alle feste dell’Unità si lavorava per salvarci adesso, in chiesa per salvarci nell’Aldilà». Sei credente?
Sì credo nell’aldilà, sono cristiano. Del resto il mondo è così magico,  è essere atei che  sarebbe un atto di fede. Tutta la magia della vita non è spiegabile solo con la scienza. Io vivo pensando all’esistenza di qualche cosa di più grande, di misterioso. Anche se Gesù fosse stato solo un uomo lo avrei seguito, sarebbe stato il più grande degli uomini, da credente quindi ha ovviamente un’ importanza fondamentale per me.

Su CriticaLetteraria parliamo di libri; tu cosa stai leggendo?
Leggo circa 10 libri in contemporanea, ovviamente di genere diverso, ad esempio un romanzo, un saggio, una graphic novel… Al momento ho in lettura una serie di racconti dedicati alle mummie (l’horror è la mia passione), la graphic  novel Providence,  poi sto  rileggendo il Conte di Montecristo, che rileggo, peraltro, ogni 10 anni.

Ai lettori, comunque, dico sempre di non finire un libro se non piace. Si deve avere la libertà di leggere quello che piace davvero, ci sono così tanti bei libri che per non vale la pena spendere del tempo nel leggere un determinato libro per forza.


Intervista a cura di Elena Sassi