Preghiera d’acciaio
di Angela Bubba
Bompiani, 2017
pp. 223
€ 17,00
Preghiera d'acciaio è un'opera complessa, per cui è vano qualsiasi tentativo definitorio. Imbarcarsi nell'impresa è tuttavia un obbligo per il lettore che sia giunto alla fine e desideri provare a mettere ordine nell'intrico caotico dei pensieri, a sondarne con dita leggere la matassa alla ricerca di un capo. Che dire dunque?
Quello di Angela Bubba è un romanzo difficile da iniziare e difficile da concludere. Si entra nella storia col passo prudente del cacciatore, si esce con l'impressione di aver osservato qualcosa di privato e non completamente accessibile.
È un romanzo difficile anche da ricordare: se ne trattiene un'impressione vaga, qualche parola, qualche frase affilata, meravigliosa da trascrivere nel proprio quaderno delle citazioni.
È un romanzo fatto di suggestioni più che di trama: impera lo sperimentalismo stilistico, il preziosismo lessicale alternato ad immagini grottesche e spietate, il variare dei punti di vista, degli interlocutori, dei piani del reale. Si passa dal sonno alla veglia, dal presente al passato, dalla realtà all'ipotesi senza soluzione di continuità, costringendo il lettore a ritornare continuamente sui suoi passi, a fare mente locale, a riannodare i fili dell’intreccio. L’esito è quello di uno scritto dalla forma variegata e incerta, in cui coesistono e talora si scontrano narrazione, diario, epistolario, dramma dialogico.
È un romanzo improbabile, popolato da improbabili personaggi, con improbabili destini.
È un romanzo allegorico, che parte però da fatti concreti e violenti: l'abuso perpetrato da un medico ai danni di un gruppo di bambini, un assassinio a lungo premedidato.
È un romanzo in cui la vendetta viene trasfigurata in occasione di redenzione e rinascita, ma solo per chi la sa affrontare con lo spirito giusto, con la consapevolezza che non bisogna mai confondere il bersaglio con l'obiettivo ("Il mio obiettivo sarebbe non finire in galera?" "Il tuo obiettivo è la tua vita, la tua identità"). È per ritrovare la propria identità che la narratrice, unica senza nome tra tutti i comprimari, affronta il suo personale viaggio negli inferi. Un viaggio, come quello dantesco, che non può prescindere dalla presenza di spiriti guida portatori di sapienza e da incontri che sconvolgono e segnano indelebilmente. Non sappiamo molto di questa ragazza, se non quello che di lei dice chi la incontra: che ha vent'anni, "l'età dei viaggiatori, l'età dei traditori" (120); che è mite nell'espressione dell'intelligenza, ma che può vantare un'intelligenza che mite non è affatto, pronta a divampare in incendio; che è forte senza saperlo, che sembra “sopravvissuta a due o tre apocalissi”; che dispone di qualcosa che agli altri - a Maria, a Leo, ad Andrea, a Cecilia ed Eric - manca: una possibilità di evasione nella fantasia e nel sogno. Lei ha accesso a un'arma più potente e decisiva del fucile che porta con sé, la scrittura. Per lei, la vendetta può essere il libro:
"Che significa?" dissi avvicinandomi. "Scrivere un libro vuol dire uccidere qualcuno?"
"Qualcuno o se stessi, o entrambi. Muore in ogni caso qualcosa" (123).
Al lettore è permesso di intravedere il frutto di questo percorso che la protagonista intraprende alla ricerca di sé, in uno scavo che ferisce, distrugge e non lascia nulla intatto:
“Come farò a sapere se funzionerà o no?”
“Quando avrà rotto tutto ciò che poteva rompere dentro di te. Quando gli permetterai di abbandonarti, ma dopo averti cambiata. Racconta una storia solo se questa riesce a essere un miracolo, una purificazione, un dono. Non è obbligatorio che rivolti il mondo, ma è necessario che lavori nel tuo cuore con tutta la forza del mondo” (192).
Quello che non è dato ad alcuno di sfiorare è la risposta che la narratrice trova, il modo in cui sopravvive, la vita che si reinventa. Cioè, forse, tutto ciò che servirebbe per ricostruire dopo la decostruzione, per dare forma all'informe. È una scelta deliberata, quella dell’autrice, che lascia il suo pubblico in sospeso su una pagina bianca, su cui una penna verga parole che non è dato conoscere, ma solo intuire, immaginare, sognare. Questo, in fondo, si può dire di certo sul romanzo: che è suggestivo e che parla di sogni, anche se di sogni tesi e taglienti come lame (“Ogni tuo sogno è una preghiera. Una preghiera d’acciaio”). Per poter funzionare, deve quindi rischiare l’effetto contrario, mantenendo il mistero, lasciando strade aperte. Sarà poi il lettore a decidere.
Carolina Pernigo