di George Saunders
Feltrinelli, settembre 2017
Traduzione di Cristiana Mennella
pp. 347
€ 18,50 (cartaceo)
Ci sono colpi troppo pesanti per coloro che sono troppo fragili
Un padre, la perdita del figlio, i doveri pubblici e il dolore privato; un limbo di anime sospese tra la vita che è stata e l’incapacità di lasciarla andare. Lincoln nel Bardo, il primo romanzo di George Saunders, celebrato autore di short story per la prima volta alla prova con questa forma narrativa, è probabilmente l’opera più particolare degli ultimi mesi, preceduta da critiche entusiastiche e grande attesa di pubblico. Aspettative altissime che lo scrittore americano ripaga consegnando ai lettori un romanzo struggente, dalla particolare forma narrativa, ricchissimo di spunti e chiavi di lettura. Magistralmente tradotto da Cristiana Mennella, Lincoln nel Bardo non è un testo semplice e nemmeno immediato, ma capace di avvincere il lettore per la trama intrigante e l’abilità di un narratore esperto nel costruire un racconto corale, frammentario, in cui testimonianze storiche – reali o solo verosimili – si mescolano all’invenzione letteraria pura, in un’alternanza di toni e stili sorprendente. E immagina, a partire da un particolare storico, il dolore del Presidente Lincoln di fronte alla perdita del figlio undicenne Willie, l’incredulità, il senso di colpa, il distacco impossibile da accettare, mentre al dolore privato si intreccia la Storia, in un Paese tormentato dalla Guerra Civile, i detrattori che giudicano severamente ogni scelta – pubblica o privata – del Presidente. Ma è il dramma dell’uomo il cuore del romanzo: è Lincoln il padre devastato dalla perdita dell’amatissimo figlio, che si aggira nella notte per il cimitero di Georgetown, il volto una maschera di sofferenza e, come raccontano alcune testimonianze dell’epoca, sfila la piccola cassa in cui è custodito il corpo di Willie per rivederlo ed abbracciarlo ancora una volta e, forse, prendere coscienza dell’ineluttabilità della perdita.
L’uomo sfilò la cassa dalla nicchia nella parete e la posò sul pavimento.
E l’aprì.
[…] E lì, pianse.
Non aveva mai smesso.
Lanciò un unico, straziante, singulto.
[…] Nel ricordare d’improvviso ciò che aveva perduto.
È, quindi, il ritratto intimo e tormentato di un uomo, un padre, che non si da pace di fronte alla morte del bambino, e si interroga sulla fragilità della vita umana, sull’amore e la perdita, su fede e ragione. Ma Saunders non si “limita” ad immaginare il dolore del padre e l’incapacità di venire a patti con la perdita: no, crea un limbo, il Bardo di derivazione tibetana, in cui si trovano quelle anime ancora troppo attaccate alla vita di prima ed incapaci di lasciarla andare, di proseguire, perfino di ammettere l’irreversibilità della loro stessa condizione. E tra queste “anime in stallo”, c’è anche Willie, incredulo e disperato, che non accetta di lasciare andare suo padre. Intorno a loro, un coro di voci ed anime, ognuna tratteggiata con grande maestria, a costruire un racconto corale, frammentario, intenso, in cui dramma ed ironia si alternano, spiazzando il lettore. Willie, che come tutti loro, non chiede che altro tempo da passare con chi ha amato:
[…] il dono più grande e più caro di tutti:
Tempo.
Altro tempo.
Ma tornare indietro è impossibile, perfino se tuo padre è il Presidente degli Stati Uniti: lì, tra i marmi e il loro carico di dolore, Lincoln è solo un uomo. Tormentato, incredulo di fronte alla caducità della vita, che deve fare i conti con il senso di colpa, con i doveri di stato che non può mettere da parte nemmeno per un dolore tanto straziante. Saunders avrebbe potuto raccontare il dramma per la perdita di un figlio inventando un personaggio letterario, percorrendo forse una strada più facile, costruendo una trama e una modalità narrativa lineari: ma la grandezza della sua scrittura risiede proprio nelle scelte non convenzionali alla base di questo romanzo, in cui è difficile entrare, certo, e che necessita di una lettura più lenta e accorta. Ognuno di noi, poi, troverà tra le pagine la propria chiave di lettura, il punto da cui interpretare la storia tutta, di un romanzo interessante dal punto di vista tematico quanto strutturale. C’è il dolore per la perdita e l’incapacità di accettarla, un padre ed un figlio che non riescono a lasciare andare l’altro: e siamo spinti ad interrogarci sulla terribile fragilità della vita umana, sull’amore e su ciò che resta di quel sentimento, sul dolore che spezza le ossa e rende impossibile immaginare la vita che continua, nonostante tutto, ad andare avanti, un respiro via l’altro, un giorno dopo l’altro.
Provi così tanto amore per i tuoi bambini, tanta trepidazione per tutto il bello che conosceranno nella vita, tanto affetto per quell’insieme di caratteristiche che ciascuno manifesta in maniera così unica: l’eccesso di spavalderia, di vulnerabilità, quel certo modo di parlare, di storpiare le parole e così via; l’odore dei capelli e della testolina, la sensazione di quella manina nella tua… e poi il tuo bambino non c’è più! Te lo portano via! Ti stupisci che un oltraggio così violento sia avvenuto in quello che prima sembrava un mondo buono. Dal nulla era scaturito il grande amore; ora che la sua fonte si è estinta, quell’amore, che la cerca e sta male, si tramuta nella sofferenza più abissale che si possa immaginare.
E, di un’intensità straziante, il ritratto di quel figlio, un bambino, che non riesce a separarsi dal padre e aspetta che lui – è il Presidente dopotutto! – lo salvi, lo riporti indietro, o almeno si accorga che è ancora lì: non in quel corpo ormai freddo, ma accanto a lui, che brama per sentire ancora la carezza benevola del padre. Sono frammenti di straordinaria intensità, che Saunders abilmente interrompe ed alterna a toni più lievi, ironici, grotteschi, sorprendendo e un po’ destabilizzando il lettore con un’altalena di emozioni. Intorno a Willie e suo padre, si muovono infatti numerosi personaggi, ognuno con la propria voce e storia, una folla di anime erranti in quel limbo da cui non riescono a staccarsi e, nei loro racconti, ci sono le vite di uomini e donne di diverso ceto sociale ed epoca storica, spaccato dell’America e delle sue contraddizioni. Sono anime tormentate, legate a ciò che erano in vita e che in quel luogo, quindi, portano i segni, talvolta estremamente evidenti, delle scelte compiute, i tratti caratteriali esasperati, i tormenti, la rabbia, i sentimenti. Un limbo dai forti echi danteschi, in cui tre anime in quella folla di spiriti si assumono il compito di guidare il piccolo Willie ed aiutarlo a lasciare andare la vita che era, perché soprattutto i bambini non dovrebbero sostare a lungo in quel posto. Tre personaggi, ancora una volta ognuno con la propria storia e voce, che si commuovono di fronte all’attaccamento tra padre e figlio e tentano con ogni mezzo a loro disposizione di aiutarli in questo percorso difficile. Accanto alla storia di Lincoln e Willie, quindi, Saunders costruisce numerose microstorie che non sono solo semplice corollario, ma arricchiscono la trama di nuove sfumature, spunti, temi, su cui il lettore attento posa lo sguardo e si lascia guidare pur senza perdere di vista il cuore pulsante della vicenda.
E se, a mio parere, tra gli aspetti più interessanti del romanzo vi è la scelta di immaginare il lato più umano, fragile e lontanissimo dalla leggenda del Presidente Lincoln che normalmente siamo abituati a pensare, un’opera di questo genere non poteva avvalersi di una struttura narrativa tradizionale: Saunders sceglie, quindi, di costruire il testo per frammenti, brevissimi brani a metà fra epigrafi – perfettamente intonati all’ambientazione principale della storia – , stralci di testimonianze storiche reali o immaginate, dialoghi serrati, punti di vista spesso discordanti su una stessa vicenda – emblematico il capitolo dedicato alla descrizione della luna la sera in cui il piccolo Willie si aggravò, che ogni testimone dell’epoca ricorda in modo diverso – , voci e modalità espressive differenti dietro cui intuiamo l’arduo lavoro di traduzione, intervallati da lunghi brani che portano il lettore tra i pensieri più intimi e disperati del Presidente, fra il tormento di fronte alla perdita del figlio e le preoccupazioni per il proprio Paese devastato da una Guerra Civile che sta provocando un numero inimmaginabile di vittime. Il padre, il Presidente, il dolore privato e la ragion di stato; il dolore accecante per la morte di uno, il numero altissimo di vittime, di giovani uomini chiamati a morire per il proprio Paese, per la causa di Lincoln.
Un testo ambizioso, non facile, che a tratti non soddisfa pienamente le attese ma poi regala attimi di pura meraviglia di fronte al potere della letteratura, quella che ancora non ha timore di osare e destabilizzare. E parla dritta al cuore, toccando corde scoperte, lasciando senza fiato per il miracolo della parola e di un sentire condiviso.
Debora Lambruschini
Debora Lambruschini