Un piede in due scarpe
di Bruno Morchio
Rizzoli, 2017
pp. 262
€ 18 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Tracciare la differenza tra giallo e noir non è così immediato. Spesso i due generi si confondono l'uno con l'altro o, ancor peggio, si considerano la stessa cosa. Come già evidenziato su queste pagine, il giallo (o poliziesco) si focalizza sulla soluzione di un enigma (trovare il colpevole di un delitto) che ha sovvertito l'ordine delle cose. Si tratta di una sfida intellettuale, che solo a tratti ha come obiettivo la consegna di un criminale alla giustizia, ma che alla fine della narrazione riporta l'ordine precedentemente sovvertito. Nel noir, invece, il delitto appare sempre più spesso un pretesto per avviare un'indagine critica sulla società che ne metta in discussione lo status quo. La soluzione del caso non riporta l'ordine, che era già sovvertito ancor prima del crimine, ma anzi constata con amaro disincanto le contraddizioni del nostro vivere e del nostro tempo, che appaiono insolubili. Vi sono anche altre peculiarità che caratterizzano il noir: le atmosfere, l'anatomia del male e dei lati oscuri dell'essere umano, l'ambiente urbano, ecc. A volte elementi noir ed elementi polizieschi si mescolano e danno vita a narrazioni ibride, noir più gentili o polizieschi particolarmente audaci.
Tuttavia, esistono esempi che riescono a essere più chiari di qualsiasi spiegazione teorica. Un piede in due scarpe, di Bruno Morchio, recentemente pubblicato da Rizzoli, è uno di questi, soprattutto se messo vicino alla fortunata saga noir dello scrittore genovese, quella avente come protagonista Bacci Pagano.
Paolo Luzi è uno psicologo sulla soglia dei quarant'anni, solo e dilaniato dal dolore, che riceve la visita di una nuova paziente, Teresa Gorrin. Costei fa al protagonista una strana richiesta: farla desistere dall'ammazzare il suo amante, Luca Latorre. Luzi, che è afflitto da una strana patologia in grado di fargli riconoscere quando una persona mente, non crede alla giovane donna e la liquida in pochi minuti. Il caso vuole che pochi giorni dopo Luca Latorre venga ucciso con due colpi di pistola e la Gorrin inserita nel registro degli indagati come unica sospettata dal commissario Ingravallo della Questura di Genova. Luzi, sicuro dell'innocenza di Teresa, si mette a disposizione della polizia e inizia un'indagine congiunta che porterà alla scoperta dell'assassino e alle dinamiche di amicizia di un gruppo di ragazzi e ragazze, gli inseparabili, che dall'epoca del liceo non avevano smesso di frequentarsi.
Un piede in due scarpe è un giallo in piena regola. L'indagine viene condotta per ragionamenti di causa/effetto, vengono fatti errori prontamente corretti e la soluzione rivelata in forma teatrale con l'investigatore che espone a un pubblico di astanti, tra cui il colpevole, le sue deduzioni. Tuttavia, Morchio costruisce attorno alla trama gialla una riflessione di più ampio respiro sull'amore, l'amicizia e il loro costante intrecciarsi e confondersi. Parimenti, le microstorie dei pazienti del dottor Luzi fanno da contraltare alla trama principale raccogliendone frammenti e permettendo al lettore di guardare a un determinato aspetto delle relazioni d'amore/amicizia tra gli esseri umani da una prospettiva diversa da quella fornita dall'indagine. È il caso della storia del caporeparto dell'Ansaldo, i cui problemi di relazione con i genitori riflettono la sottomissione della moglie della vittima nei confronti della madre; oppure, nella storia della Professoressa Olcese, che si innamora di un suo studente, si rispecchia la nostalgia, il ricordo e il desiderio di un tempo perduto, la gioventù, in cui sembrano imprigionati gli inseparabili. Inoltre, da segnalare la ricchezza di citazioni e riferimenti letterari, sia nei nomi dei due principali investigatori (oltre al gaddiano Ingravallo, ricordiamo che il cognome di Paolo Luzi rimanda chiaramente al poeta Mario), sia nei richiami a Kafka, Borges, Landolfi, Leopardi e Dante, tra gli altri. Sono questi ingredienti che danno alla trama poliziesca un valore aggiunto e permettono alla narrazione di avere un orizzonte più ampio.
Il lettore affezionato di Bruno Morchio noterà alcune differenze tra quanto scritto finora dall'autore genovese e Un piede in due scarpe.
In primo luogo, il protagonista alter ego dell'autore, Paolo Luzi, è profondamente diverso da Bacci Pagano, ma non meno affascinante. Si tratta di un uomo solo, con alle spalle un lutto di una gravità tale che ancora dopo dieci anni non è riuscito a superare. Ha deciso di vivere appartato sulle alture genovesi, ma allo stesso tempo vicino abbastanza alla città vecchia da poterci andare a piedi ogni mattina scendendo una creuza (Morchio qui evidenzia una caratteristica fondamentale di Genova, la verticalità). Non è un uomo impulsivo e passionale, ma allo stesso tempo la sua calma e capacità di ragionamento costituiscono un motivo di attrazione. È un uomo normale, nel quale chiunque si può identificare, e lontano anni luce dall'investigatore hardboiled in stile mediterraneo alla Bacci Pagano. Lo stesso si può affermare del commissario Ingravallo che si inserisce in una tradizione poliziesca precisa (il cognome rimanda al Pasticciaccio di Gadda), quella del poliziotto riflessivo, che valuta, soppesa e solo quando ha tutti gli elementi sul tavolo si pronuncia. Un commissario alla Maigret più che un investigatore alla Carvalho. Sembrano, infatti, cambiati i modelli utilizzati da Morchio per questo romanzo.
In secondo luogo, dal punto di vista stilistico, anche la prosa di Morchio ha subito una temporanea metamorfosi in Un piede in due scarpe. Più posata, meno affettata e meno lirica, la scrittura sembra adeguarsi al cambio di genere e al temperamento più pacato del protagonista alter ego. Ma non solo. Se consideriamo Fragili verità, l'ultimo romanzo della serie Bacci Pagano uscito nel 2016, possiamo notare già delle avvisaglie, segnalate in un intervento di circa un anno fa. Viene da chiedersi se è questa una tendenza dell'autore negli ultimi anni e se dobbiamo aspettarci un andamento simile anche nei prossimi romanzi della fortunata serie Pagano. Sia chiaro che non è questa una critica nei confronti di Morchio, che anzi dimostra di muoversi bene nelle trame poliziesche classiche.
Infine, il tema che forse mi sta più a cuore della narrativa morchiana: Genova. In Un piede in due scarpe siamo nel capoluogo ligure durante il suo annus mirabilis, il 1992, quando in città si respirava una speranza di cambiamento dopo anni di stagnazione. Speranza regolarmente tradita, come del resto successe nel 2004. Chi si aspetta una Genova protagonista rimarrà qui deluso: Genova è lo scenario in cui si svolge la vicenda e le sue peculiarità non si evidenziano nelle descrizioni liriche a cui Morchio ci ha abituati (il primo 'viaggio' descrittivo nella città vecchia ci viene regalato solo a pagina 220). Tuttavia, vi sono alcuni cliché della Genova profonda che emergono nei tic dei personaggi o rimangono in penombra, sembrando quasi ammiccamenti dell'autore allo zoccolo duro dei suoi lettori. Ne sono un esempio la Marchesa Federica Brignole Sale, nobildonna decaduta che vive in un'agiata oculatezza in piena città vecchia, in un palazzo fatiscente, già parte del sistema dei Rolli, quindi aristocratico, ma dominato dall'incuria. Incuria che svanisce quando entriamo nell'appartamento della Marchesa e scopriamo una casa museo, con dipinti di valore e marmi d'epoca. Come a dire che Genova i suoi tesori li nasconde: allo stesso modo sembra qui che Morchio nasconda la sua città nelle pieghe della sua prosa e nelle ombre dei suoi personaggi. Senza il timore di esagerare nella contraddizione con quanto affermato poco fa, Un piede in due scarpe è il più genovese dei romanzi di Morchio: è talmente imbevuto nel capoluogo ligure da non avere bisogno di metterne in primo piano le sue peculiarità più note. Qui Genova si respira in ogni singola lettera.
Chiudo questa nota di lettura con quello che forse è il vero file rouge di tutta la narrativa morchiana: il rapporto con il passato. Tutti i personaggi che si avvicendano nelle pagine di Un piede in due scarpe hanno in qualche modo una relazione di conflitto con la loro storia: che siano gli inseparabili chiusi in una bolla di sicurezza che non permette loro di approdare all'età adulta, che sia la nostalgia inguaribile delle montagne trentine della sua infanzia del commissario Ingravallo o che sia il lutto elaborato solo in parte del dottor Luzi, ogni essere umano deve in un certo momento della sua vita prendere il largo. Mollare la cima dal porto nel quale è attraccato e continuare il viaggio su acque incerte, sì, ma che costituiscono l'unica alternativa per dare seguito alla propria vita e uscire dallo stand-by in cui spesso ci areniamo:
Paolo pensò che anche gli uomini fanno come le barche: aspettano il momento favorevole per lasciare il porto e muovono alla volta d’un confine remoto che, per quanta strada percorrano, resta sempre ugualmente lontano e irraggiungibile. (285)
Alessio Piras