di Igor Patruno
Ponte Sisto Edizioni, 2017
157 pp.
13,50 €
«La nostra generazione ha attraversato il romanzo con incolpevole leggerezza. Di fronte al primato della politica, il romanzo è apparso come una forma espressiva inefficace per affrontare la contraddizione di classe».
Parte da questa riflessione l'interessante lavoro di Igor Patruno, giornalista e scrittore. Il libro, una raccolta di interviste ai più grandi scrittori italiani degli anni 70, preceduta da una parte di ambientazione storica (talmente evocativa da sembrare essa stessa un romanzo), nasce da un'osservazione intorno alla quale Patruno, evidentemente, per molti anni, ha lavorato: come mai da un'epoca così intensamente vissuta, come lo furono gli anni 70, da un periodo attraversato da tensioni fortissime, sfociate in rivolte sociali, in manifestazioni, in espressioni di dissenso, fino ad arrivare alla dissennatezza del terrorismo, ma attraversato anche dal sogno condiviso da moltissimi giovani vani di cambiare il mondo... ecco, come mai da un'epoca del genere che, apparentemente, aveva molto di che raccontare, non è uscito un romanzo generazionale? Patruno ha pensato così di chiederlo proprio a loro, agli scrittori che vissero in quegli anni movimentati. Nomi dello spessore di Alberto Moravia, Aldo Rosselli, Dacia Maraini, Barbara Alberti, Franco Cordelli, Umberto Eco.
Certo, i narratori che hanno ambientato i loro romanzi fra il 1968 (la nascita di nuove speranze) e il 1977 (la perdita dell'innocenza) sono molti: da Piero Elia a Marco Bigi, da Silvia Bonucci a Paolo Pozzi, Bruno Arpaia, Silvia Ballestra fino al recentissimo romanzo di Francesca Capossele, ma è una narrativa quasi sempre ex post. Nessuno di coloro che allora vivevano dentro quello «strano movimento di strani studenti»,, ha avuto la forza, secondo Patruno, di raccontare, dal di dentro, quella generazione. E questo è il motivo per cui si può parlare di romanzo perduto.
Molto interessante è il percorso letterario che Patruno traccia dell'Italia del tempo. Il panorama delle lettere usciva da quella che era definita la Neoavanguardia, del Gruppo 63: un insieme di giovani scrittori e critici, ma anche artisti, pittori e intellettuali di vario genere, che rifiutava il romanzo, inteso come forma espressiva tipica della società borghese. Il narratore onnisciente che muoveva i suoi personaggi come un burattinaio, alla maniera ottocentesca, non aveva più senso di esistere. Era necessario sperimentare nuove forme di espressione e questa ricerca sperimentale coinvolgeva sia la lingua che i contenuti. Anzi, la nostra stessa lingua era messa sul banco degli imputati, in quanto la costruzione semantica propria dell'italiano, secondo questi nuovi narratori, conteneva tutta una serie di elementi che già rispecchiavano la distinzione gerarchica tra classi. Ecco che nelle manifestazioni del tempo si potevano sentire i giovani gridare che loro non avevano bisogno di narratori, di racconti, di romanzi, ma quello che interessava davvero era il «concatenamento collettivo di enunciazioni». Collettivo... una parola che a quell'epoca risuonava ovunque. E nella quale il narratore, come espressione di un Io, e prodotto dell'industria editoriale di massa, non poteva starci. Anzi, chiunque volesse raccontare qualcosa veniva guardato con un certo sospetto.
Ma, a un certo punto, passata la sbornia sperimentalista, si avvertì, in qualche modo l'esigenza di narrare, e uscirono romanzi come Boccalone di Enrico Palandri e Altri libertini di Pier Vittorio Tondelli. Ma anche in questi testi il Movimento non veniva raccontato, nemmeno sullo sfondo, il momento storico che stava passando non trovava ancora una sua voce letteraria. Come mai?
Igor Patruno, che nel 1980 era collaboratore del giornale Lotta continua, si poneva già allora questi interrogativi e presentò alla redazione cultura del foglio presso cui lavorava la proposta di una nuova rubrica dedicata proprio al tema del romanzo. La rubrica, dal titolo Chi si rivede, il romanziere, doveva essere strutturata come una serie di interviste ai maggiori scrittori del tempo. Patruno, coadiuvato da Massimo Barone, Antonio Veneziani e Claudio Bove, diede così la parola ad Aldo Rosselli, Renzo Paris, Alberto Moravia, Dario Bellezza, Franco Cordelli, Anna Mongiardo, Dacia Maraini, Silvana Castelli, Barbara Alberti, Alberto Arbasino e Umberto Eco. Percorrendo, in una parola, l'intera parabola del romanzo italiano dell'epoca, dalla critica dell'editoria culturale di Rosselli al romanzo di genere di Eco, passando per il romanzo, se si vuole, «borghese» di Moravia. Una serie di interviste che, per ammissione dello stesso Patruno, viste 40 anni dopo, sembra un romanzo. E che l'autore ha inteso raccogliere insieme in questo libro per ridare vita a un «laboratorio del romanzo del 1977». Ogni scrittore nel testo dà la propria visione del suo essere narratore, del suo rapporto con la scrittura, con i personaggi che crea, con la lingua che utilizza e per chi è appassionato di storia della letteratura e della scrittura, queste interviste sono vere e proprie chicche, tutte da scoprire. Così come m
Ma olto piacevoli sono le pagine della prima parte, scritte da Igor Patruno, e che iniziano con la rievocazione del funerale di Pier Paolo Pasolini a Campo de' Fiori, a Roma. L'uccisione dell'autore di Ragazzi di vita, di Una vita violenta, degli Scritti corsari fu l'evento che spaccò in due l'epoca, che si interpose come una ferita profonda, una cesura fra il prima e il dopo. E Patruno rievoca così quella uggiosa giornata di novembre di quel 1975, epoca in cui l'autunno sembrava più grigio, più piovoso, più triste di adesso.
Il pomeriggio di novembre svanì in un istante, inghiottito dalla sera. le luci gialle dei lampioni tremolarono impotenti. Un ultimo bagliore del giorno illuminò la statua del monaco che, con la testa incappucciata e piegata in avanti, i polsi poggiati l'uno sull'altro, una mano a reggere il libro, incombeva sulla folla raccolta nella piazza. L'oscurità divenne livida. Il rosso delle bandiere mutò in vinaccia triste.
E a dare la scossa a questa folla impietrita furono le parole di Alberto Moravia che portarono con sé l'immagine del poeta, del romanziere, del regista.
Tanti ancora sarebbero gli spunti da trarre da questo libro, che ha il merito di aprire prospettive nuove su una parte della nostra storia letteraria forse poco studiata. Ma lascio il piacere a chi si avventurerà tra le sue pagine.
Sabrina Miglio
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