Populismo digitale. La crisi, la rete e la nuova destra
di Alessandro dal Lago
Editore Raffaello Cortina, 2017 (prima ed.)pp. 169
€ 14,00
Bisogna che chi si occupa dell’età contemporanea, con lo sguardo accordato a monte alla materia sociologica, si guardi bene dal gridare incessantemente all’allarme, acquattato dietro l’O-tempora-o-mores di cui si fregiava Cicerone, giacché a un’epoca non è certo dato annunciarsi completamente positiva o in cammino verso la deflagrazione. Osservare la contemporaneità, pure a dispetto della natura fatua di cui è vestita, significa porre in essa labili architetture destinate a disgregarsi al primo moto del suolo. Così, quella crisi di cui rende conto la citazione di Gramsci a esergo del saggio “Populismo digitale” del sociologo Alessandro dal Lago, edito da Raffaello Cortina Editore, descrive il tragico interregno dove “il vecchio muore e il nuovo non può nascere”, sospeso dentro l’incertezza dell’attualità. Al sociologo non resta che interrogare l’interregno più vicino.
Ovunque, sugli avvenimenti cui l’informazione decide di
erudire i lettori, sulle opinioni in pieno contraddittorio – dove non
in piena contraddizione – la modernità agisce in uno scambio di
immediatezza privandosi di quelli che sono “corpi intermedi”, deietti a valle a
causa, pare, dello strumento digitale. Non che, sia chiaro, tale immediatezza
applicata all’informazione presenti un volto cinico, in malafede, ma pure una
rapida multivocità non può che dispiegare la terribile deriva dell’immediatamente plurale. Ciò che le
democrazie insegnano è la vitalità del dialogo, dove pure il compromesso tra
regioni politiche diviene diplomazia al fine di arrestare ogni sorta di soliloquio.
Si può sostenere il dispiegamento di un monologo dalle molte voci che
appartiene in misura più autentica all’universo dei social network?
Erudita, nell’opera, la genealogia del populismo e gli
errori cognitivi per cui il rimando a «un passato leggendario» o
al desiderio di «un fondo umano-sociale comune» rischiara un
sentimento comune dentro individui ormai politicamente apolidi. Pure,
interessante la coestensione proposta tra populismi e democrazia come esercizio
di una volontà popolare, sia essa oggetto di discorso inteso come retorica, pur quella
della brevità, oppure discorso come «oggetto discorsivo aperto»,
secondo un riferimento al filosofo Ernesto Laclau .
Trasparente, tuttavia, l’errore compiuto dall’autore tra le invettive del saggio. «Un tempo»,
scrive, «i cittadini potevano formarsi un’opinione attraverso la lettura
dei giornali e la visione dei telegiornali, ma ovviamente non erano in grado di
agire sul sistema politico se non grazie al voto». La citazione al Cicerone
della prima Orazione contro Catilina sembra appropriata, giacché
quell’invocazione di un tempo dove i costumi erano più salubri, mascherata
da commento all’apparenza privo di giudizio, non si risolve che in una critica
piuttosto avventata dell’epoca contemporanea. I giornali, bisognerà pure che
qualcuno li scriva e decida per una notizia invece che per un’altra, per uno
stile invece che per un altro, per un interlocutore invece che per un altro; e
il lettore acquisterà in ogni caso il quotidiano che più si avvicinati alla
propria fede politica.
Il rimpianto di dal Lago è una sorta d’informazione bipartisan che soffi nel petto dei
cittadini un afflato politico di qualsiasi sorta atto a guidarne il cammino verso
l’urna, le dita a formare una X a matita sulla coalizione più adatta. È invece
l’esatto contrario: ciò che il cittadino già avverte nel petto, l’informazione
semplicemente lo conferma. L’avvento delle testate online e della relativa confusione tra
menzogna e interpretazione – eppure “i fatti sono cocciuti”, confida
il filosofo Michel Foucault all’amico Paul Veyne – ha inasprito la trascendenza della ragione, consacrata dal celebre Slavoj Žižek quale
l’ideologia sottesa a ogni prodotto culturale.
Nessun dubbio sul condizionamento della «libertà di
opinione e di espressione» a causa di «linguaggi e protocolli del
Web», assoggettati a padroni esperti del marketing. Con semplicità
disarmante dal Lago sostiene «agli imprenditori più visionari non sono
sfuggite le possibilità di sfruttare politicamente l’influenza
dell’informazione online», esattamente come ad altri imprenditori, al
principio degli anni ’90 non erano sfuggite le possibilità di sfruttare
politicamente l’influenza dell’informazione televisiva; così come ad alcuni
intellettuali comunisti non era sfuggita la possibilità nel corso del
secondo dopoguerra di sfruttare politicamente l’influenza dell’informazione cartacea.
Sembra che nel saggio il processo «d’inveramento» riguardi soltanto una delle parti, certo di ambigua
legittimità. In un punto, quasi alla maniera d’un romanzo, si
ritrovano insieme i principali interlocutori negativi cui il saggio è dedicato accusati di aver fabbricato dal web la propria fortuna politica: «Trump è un tycoon dell’edilizia, universalmente
noto per i suoi metodi imprenditoriali brutali e spregiudicati. Grillo è un
uomo di spettacolo, che qualche anno fa dichiarava un reddito annuo superiore a
quattro milioni di euro. Marine Le Pen l’erede di una famiglia politica di
lungo corso». In fila, tali nemici del pudore, sembrano diventare essi
stessi il loro reddito senza tener conto della fortuna familiare, come nel caso
di Trump, o del lavoro personale, come in quello di Grillo.
A questi seguono, quasi in una costruzione piramidale, i
piccoli abitanti di una civiltà in pantofole costituiti loro malgrado come «soggetti digitali», disincarnati a causa del proprio comportamento virtuale. Molto più acuta la riflessione proposta da Judith
Butler in L’alleanza dei corpi (Nottetempo,
trad. Federico Zampino) per cui si è a un tempo soggetti estetici ed etici:
ogni manifestazione estetica, pure vestirsi e presentarsi al mondo, fanno del
soggetto un operaio della propria affermazione. Mentre per dal Lago le figure
che infestano l’universo digitale non sono che naufraghi assoggettati al canto
della prima demagogia, per Butler qualsiasi individuo agisce positivamente
sulle proprie decisioni quotidiane. Il soggetto non è allora un hater nell'anonimato identitario da accusare di «tangenzialità», reiterazione a ogni costo dei propri credo,
bensì un individuo che decide lucidamente della propria esistenza e di cui
interrogare necessità e frustrazioni.
Come vincere, allora, «la prevalenza della politica
digitale»? Abbandonare il saggio di dal Lago e occuparsi di quella
reale.
Antonio Iannone
Antonio Iannone