di Francesca Melandri
Rizzoli, 2017
521 pp.
€ 20,00
C'è una cosa di cui Ilaria Profeti è sempre stata convinta: delle persone che abbiamo intorno, anche di quelle che conosciamo meglio – gli amici, gli amanti, i genitori –, non potremo mai sapere tutto. I loro più antichi segreti, i loro più profondi dolori e, soprattutto, le loro Weltanschauung resteranno sempre inaccessibili a qualsivoglia tentativo di farvi breccia. È la condanna dell'esistenza, di noi uomini e donne che condividiamo con altri esseri umani lo stesso spazio vitale: il nostro tempo, i nostri luoghi, le nostre storie.
Ciò che maggiormente inquieta Ilaria Profeti – quel quid dell'altro che sfugge e sempre sfuggirà alla nostra conoscenza – è proprio ciò che viene narrato in Sangue giusto. Attilio Profeti, classe 1915, nel 2010 ha 95 anni: è marito di Anita (ed ex marito di Marella), padre di Ilaria, Emilio, Federico e del suo ultimogenito (e omonimo) Attilio, nonché dipendente ministeriale in pensione. Di lui Ilaria sa che in passato ha combattuto nella seconda guerra mondiale, che è stata una persona rispettata, e che oggi è un vecchio infermo e incapace di riconoscere i figli.
Quello che non sa è tutto ciò che l'uomo ha sempre nascosto: l'infanzia durante i primi anni del fascismo, l'invidia del fratello Otello, l'apatia della madre Viola, l'ignavia del padre Ernani; la guerra d'Etiopia, l'iprite, l'Amba Aradam, il genocidio di una stirpe; l'amore con una donna etiope creduta sterile, un figlio mai visto. Un ragazzo di nome Shimeta Iegmeta Attilaprofeti che, oltre cinquant'anni dopo l'occupazione italiana d'Etiopia, si presenta alla porta di Ilaria dicendo di essere figlio del figlio mai riconosciuto di suo padre. E con questo patronimico portato con onore, per Ilaria si spalanca l'abisso di una vita sconosciuta e sepolta.
La storia della lunghissima e contraddittoria vita di Attilio Profeti senior diventa così la storia della non tanto lunga ma altrettanto contraddittoria vita del nostro paese. Francesca Melandri però non si sofferma tanto sulla ben nota questione dell'Italia fascista all'epoca dell'armistizio, dell'occupazione tedesca e della lotta partigiana; preferisce concentrarsi su ciò che è successo qualche anno prima, pagine spesso lasciate in secondo piano rispetto a quel conflitto mondiale costato all'Europa milioni di morti: la guerra e la successiva occupazione dell'Etiopia da parte dell'Italia fascista. Il quadro che emerge è emozionante da leggere e presentato da diverse prospettive, anche se prendere le parti dei colonizzatori risulta alquanto difficile. È facile comprendere le ragioni di chi ha teorizzato il razzismo scientifico, associando il maschio italiano ad Apollo e quello africano alla scimmia; più difficile risulta empatizzare con quelle stesse persone che hanno trucidato migliaia di uomini e violentato altrettante donne nella convinzione di portare la civiltà e la pace.
I fascisti italiani, nonostante tutto dalla parte dei vincitori dopo il passaggio con gli Alleati, non hanno subito un processo di Norimberga, né tantomeno quello che anni dopo è toccato ad Eichmann e di cui con tanto fervore ha parlato Hannah Arendt nella sua Banalità del male. Francesca Melandri ce ne presenta qualcuno, di quegli ex fascisti convinti poi confluiti nella prima repubblica: il "Macellaio del Fezzan" Rodolfo Graziani, generale, viceré d'Etiopia e governatore della Libia; Giorgio Almirante, firmatario del Manifesto della razza, giornalista collaboratore della Difesa della razza e successivamente fondatore dell'Msi.
Dei genocidi, delle morti, degli stupri e dei figli illegittimi cosa è rimasto dunque dopo il 1945, a guerra terminata e col fascismo alle spalle? Questa è la grande domanda davanti a cui ci pone Sangue giusto, e che attraversa tutta l'Italia fino al 2010, fino a quel baciamano di Berlusconi a Gheddafi, appena un anno prima che quest'ultimo venisse linciato. Il colonialismo europeo non è mai terminato nonostante le apparenze, e a farne le spese sono sempre gli stessi poveracci che, ieri come oggi, vivono ai margini del proprio tempo e della propria terra: questo ci dice Sangue giusto.
Il connubio di storia familiare (inventata) e storia nazionale (reale) rende, a mio avviso, libri come questo il romanzo perfetto. Un romanzo must-read per chiunque voglia approfondire il tema dell'immigrazione contemporanea in relazione alle colpe e ai crimini commessi da noi europei a inizio novecento. Un libro, questo di Francesca Melandri, che vuole entrare nell'abisso sepolto della storia recente, troppo spesso trascurata da chi pretende di avere delle risposte semplici nei confronti di chi, ieri come oggi, attraversa il Mare nostrum per avere la possibilità di una seconda vita.
Concludo proprio riportando questa magnifica sintesi che l'autrice fa a inizio libro – ben prima di rimanere sconvolti dalle atrocità delle quali noi lettori diventiamo indirettamente testimoni – dell'incubo quotidiano di migliaia di persone private della libertà, spogliate degli affetti, derubate del tempo.
Concludo proprio riportando questa magnifica sintesi che l'autrice fa a inizio libro – ben prima di rimanere sconvolti dalle atrocità delle quali noi lettori diventiamo indirettamente testimoni – dell'incubo quotidiano di migliaia di persone private della libertà, spogliate degli affetti, derubate del tempo.
Immagina questo: stai facendo un sogno meraviglioso mentre sei appollaiato sui rami di un albero. Devi svegliarti ogni minuto, però. Perché non devi cadere e anche perché vuoi tenere vivo il tuo sogno. Questo vuol dire emigrare.David Valentini