Jerry Frost
di Francis Scott Fitzgerald
Traduzione di Nicola Manuppelli
Aliberti compagni editoriale
Pp. 158
€ 17
Una delle più consolidate retoriche che quasi cento anni di film e serie americane ci hanno fatto conoscere ormai a menadito è che negli USA, parafrasando una famosa frase di Giampiero Boniperti, "vincere non è importante, è l'unica cosa che conta". Proprio partendo da qui Francis Scott Fitzgerald, nell'attesa della pubblicazione del suo secondo romanzo, Belli e dannati, muove una commedia delicata e surreale che prende in prestito un po' dell'atmosfera dei film di Cecil B. De Mille per andare direttamente a svellere uno dei cuori pulsanti dell'ideologia americana, per l'appunto la pulsione/l'ossessione per il successo. In Jerry Frost, pubblicato in un bel volume da Aliberti compagnia editoriale, si assiste infatti alla parabola dell'omonimo protagonista che, seppur privo di qualsiasi tipo di ambizione e sogno, diventa, in modo del tutto inaspettato Presidente degli Stati Uniti.
Fitzgerald non è nuovo nel dare questi tocchi di assurdo a ambientazioni del tutto convenzionali e realistiche, L'effetto è sì straniante ma di non difficile comprensione, visto che l'autore è abile a mediare queste caratteristiche contrastanti: da un lato infatti, per fare un esempio, un contrabbandiere di alcol fa l'ingresso nella casa di Jerry Frost e poi, un attimo dopo, questo stesso figuro "recita" il ruolo dell'ambasciatore della fantomatica libera repubblica polacca-irlandese.
Jerry Frost, così com'è privo di ogni ambizione, impedisce al lettore una completa (ma anche una parziale) immedesimazione ed è arduo parteggiare per lui nonostante sua moglie Charlotte faccio di tutto per rappresentarsi come odiosa e blandire il povero protagonista. Protagonista che, come abbiamo detto prima, è del tutto privo anche e soprattutto di competenze per governare la propria dimora figuriamoci gli Stati Uniti d'America! E infatti la presidenza si risolve in un pasticcio dietro l'altro dal quale il povero "The Vegetable", questo il soprannome di Jerry Frost (giusto per fare intendere la sua capacità di iniziativa) difficilmente potrà scampare.
Eppure in questo quadro ad, assurde, tinte fosche c'è una piccola fiammella. Una fiammella rappresentata dalla vera ambizione di Frost: no, non diventare Presidente, "quello lo vogliono tutti", quanto diventare postino.
In questo desiderio se si vuole modesto ma assolutamente autentico si compie la reale essenza di Jerry Frost. Un vero e proprio schiaffo, ovviamente effettuato con tutta la grazia e la levità di un grande autore, che Francis Scott Fitzgerald assesta a buona parte della morale americana imperante allora come oggi. E non importa se, quasi in una sorta di legge del contrappasso, lo stesso Fitzgerald soffrisse del complesso di voler essere "il migliore scrittore di tutti": in Jerry Frost pare invece desiderare solo essere un "semplice" sceneggiatore di un film di Ernst Lubitsch.
Fitzgerald non è nuovo nel dare questi tocchi di assurdo a ambientazioni del tutto convenzionali e realistiche, L'effetto è sì straniante ma di non difficile comprensione, visto che l'autore è abile a mediare queste caratteristiche contrastanti: da un lato infatti, per fare un esempio, un contrabbandiere di alcol fa l'ingresso nella casa di Jerry Frost e poi, un attimo dopo, questo stesso figuro "recita" il ruolo dell'ambasciatore della fantomatica libera repubblica polacca-irlandese.
Jerry Frost, così com'è privo di ogni ambizione, impedisce al lettore una completa (ma anche una parziale) immedesimazione ed è arduo parteggiare per lui nonostante sua moglie Charlotte faccio di tutto per rappresentarsi come odiosa e blandire il povero protagonista. Protagonista che, come abbiamo detto prima, è del tutto privo anche e soprattutto di competenze per governare la propria dimora figuriamoci gli Stati Uniti d'America! E infatti la presidenza si risolve in un pasticcio dietro l'altro dal quale il povero "The Vegetable", questo il soprannome di Jerry Frost (giusto per fare intendere la sua capacità di iniziativa) difficilmente potrà scampare.
Eppure in questo quadro ad, assurde, tinte fosche c'è una piccola fiammella. Una fiammella rappresentata dalla vera ambizione di Frost: no, non diventare Presidente, "quello lo vogliono tutti", quanto diventare postino.
In questo desiderio se si vuole modesto ma assolutamente autentico si compie la reale essenza di Jerry Frost. Un vero e proprio schiaffo, ovviamente effettuato con tutta la grazia e la levità di un grande autore, che Francis Scott Fitzgerald assesta a buona parte della morale americana imperante allora come oggi. E non importa se, quasi in una sorta di legge del contrappasso, lo stesso Fitzgerald soffrisse del complesso di voler essere "il migliore scrittore di tutti": in Jerry Frost pare invece desiderare solo essere un "semplice" sceneggiatore di un film di Ernst Lubitsch.
Mattia Nesto