Il disegno come pròtesi dello sguardo. “Sul disegnare” di John Berger

Sul disegnare
di John Berger
Il Saggiatore, 2017

trad. di Maria Nadotti

pp. 186
€ 18,00


«È allora incessante l’opera che vela e dis-vela la verità, in uno scherzo dove i merletti si fanno via via più impudichi. Non sono forse gli abiti ciò che trasmettono «lo stesso messaggio dei volti e dei corpi che rivestono»?
Così si concludeva, appena pochi mesi fa, la descrizione che le suggestioni di Sul guardare di John Berger (Il Saggiatore, tradotto da Maria Nadotti) avevano impresso nella memoria di chi scrive, il quale, sia pur malamente, aveva provato a riprodurle per dispiacere del lettore. Necessario, l’interrogativo Dove eravamo rimasti?, giacché è ancora una volta Il Saggiatore a presentare, naturalmente nella traduzione di Nadotti, un nuovo volume dell’opera di Berger dedicato all’arte del disegno. «Per l’artista disegnare è scoprire», annota l’autore nel primo dei contributi che si avvicendano tra le pagine dell’opera, e proprio nell’economia di una scoperta si potrebbe leggere l’intera raccolta. 

Lo sguardo è adesso il tratteggio di un segmento: in una curva, l’animarsi di un corpo; il segno suggerisce la vita. «La creazione di un’immagine», scrive Berger, «comincia interrogando le apparenze e tracciando dei segni». Il segno, segmento a matita su carta, permette di riscoprire la geometria nello sguardo tra le due figure: l’osservatore che per mezzo della mano ha rappresentato la forma della realtà e la figura che adesso occupa il perimetro della pagina. Quel foglio, lungi dal farsi confine, è il limite che produce il soggetto del disegno. Durante l’analisi alcuni tratteggi di carattere autobiografico che Picasso prepara nel 1953, Berger descrive servendosi delle opere il processo di schiavitù sessuale cui il pittore sembra assoggettato. In ogni disegno v’è una giovane donna; posa: «è natura e sesso. È vita». Con lei, l’altro, il pittore in veste ora di clown, ora di scimmia. Nella turpitudine dell’altro, sullo sfondo di un mondo «dove tutto è insozzato», in quella schizofrenia operata dallo sguardo del disegno, si afferra la soggettività dell’esperienza reale che il disegno sublima nel mascheramento del ritratto. Ecco ciò che si scopre: la condivisione delle linee, che Berger assume come un «ramificare».

Ogni contributo del volume, redatti in occasioni differenti dall’acume di un autore che già si era definito estremamente prolifico, abile nell’opera romanzesca come nel saggio d’estetica, sembra lavorare per una sola, vigorosa, teoria del disegno. Sull’opera di Martin Noël, reticolo di linee cui affidare un battesimo, si legge che «il termine articolazione fornisce un indizio» sul mistero dell’opera, poiché «il mistero di un albero rappresenta tanto la storia quanto il frutto della sua crescita». È allora per mezzo del tratteggio che il disegno ramifica persino l’immaginazione, il non ancora avvenuto, il soggetto che non posa e che non poserà. Al contrario del guardare, lo sguardo del disegno è smarrito nell’indagine incessante di ciò che di fatto non c’è. «Il fatto che [Noël] dia un nome […] alle sue immagini», spiega Berger, sembra confermarne nell’opera la presenza di un Continente del Fisico, eppure «lì non c’è nessuno». Non era quella di Picasso, un’indagine sulla condivisione mancata? Una condivisione che lì, tra i corpi, non avviene, purtuttavia permessa dalla linea su carta. Disegnare è anelare l’immaginario.

È nella danza che il disegno riscopre il fuoco del corpo; sembra immutabile, invece si dimostra perduto nel dinamismo. La danza, opera a matita che lo stesso Berger tratteggia nel 2009 dedicato alla ballerina Marìa Muñoz, potrebbe allora aver titolo, senza preoccupazione di tradirne gli intenti, di Il disegno. La figura del corpo è appena più nitida di quella dell’ipotesi d’avvenire. «I corpi dei ballerini sono duali», eppure la dualità non può risolversi in un’ubiquità. Ancora una volta, ciò di cui l’abilità dello sguardo deficita, osservare l’attimo dove l’ipotesi si risolve nella realtà, è descritto dalla lieve modificazione del corpo. L’istante animato dalla matita di Berger ha lasciato emergere ciò che lo sguardo non coglie.

Il disegno è allora pròtesi dello sguardo, ne permette osservazioni inedite; pure, anima visioni. «Anche i sogni possono essere disegnati»; è la cartografia dell’illusorio. 

Antonio Iannone