La complicità delle parole che anticipano la pelle

La prossima parola che dirai
di Chiara Bottini
Centauria, 2017

pp. 186
15


C’è chi vive on line e non esce da una stanza. E non sto parlando metaforicamente. Sono gli hikikomori. In prevalenza maschi tra i 15 e i 24 anni. Servono team di strizzacervelli per fare almeno riaffacciare dal terrazzo di casa questi giovani e salvare i genitori dall’agonia. In simili casi la chat conquista la vita, non è un mondo ma Il Mondo.
C’è invece chi riesce a coniugare vita virtuale e vita reale, usiamo ancora questa distinzione per capirsi, un po’ come si fa con destra e sinistra, anche se sarebbe meglio riconoscere che i confini oramai sono decisamente porosi. Ma anche chi vi riesce, dicevo, finisce per essere condizionato da un processo di osmosi. Nulla di male, o forse sì: le persone che sono attive nei social vivono in un’unica bolla dove la mattina entri nel gabinetto di casa rispettando il turno con il coniuge e la sera ti ritrovi nel divano a chattare, sognando o perfino organizzando di tradirlo. In fondo, lo fanno anche soggetti più prestigiosi, tipo i quotidiani. Dove ha raggiunto oramai il paradosso lo spazio riservato al web, ovvero il loro assassino. Quante notizie trattano di twitter, facebook, instagram, youtube… quanti editoriali, incensanti o demonizzanti non fa differenza. Altro che sindrome di Stoccolma.
Dunque: il problema, sempre chi di problema si tratti, è che le persone in carne e ossa destinano tempo a scrivere tweet e post. Fermatevi un attimo e provate a riflettere, sommando i minuti trascorsi con lo smartphone a pieno regime, giorno dopo giorno. Vi renderete conto che viene fuori una cifra spropositata. La domanda è: ne vale la pena? Non voglio fare il moralista da strapazzo sul: vuoi mettere leggere un libro o scopare? Secondo me va distinto ciò che avviene in pubblico e ciò che avviene in privato, in chat per l’appunto. In pubblico, ci sono molti esercizi di presunzione ed egocentrismo. Complici gatti che spopolano, tazzine di caffè, editoriali da 140 caratteri e i fatidici selfie. Ne vale la pena? Se ne può parlare. In privato, in chat, si chiude un mondo, il nostro apparire, e se ne spalanca un altro: l’intimità che vaga per intercettare un individuo con cui stabilire un contatto. Ne vale la pena? Qui di dubbi ce ne sono meno: è tutto a tuo rischio e pericolo.

Così Chiara Bottini, che è uno degli account che ho il piacere di seguire, con l’onore di essere ricambiato, racconta come Giulia, a forza di scambiarsi messaggini di nascosto, perda la testa per Riccardo. Giulia è sposata, un classico, ma se volete cogliere la macerazione che salta su dallo stomaco e aggredisce la gola, costantemente, cinicamente, concedetevi alle pagine che Chiara Bottini dedica a questa donna. Che poi Giulia, che può essere chiunque, non riesce a capacitarsi di come sia potuto accadere. L’autrice, con sottigliezza, entra nella sua testa per cercare di capire dove si colloca il punto di non ritorno. Perché deve esserci un istante in cui si dice, o si scrive, una cosa che varca un limite, invisibile ma concreto come un confine tra Stati. Il numero di telefono? No, qui la frana è già attiva. Perché se anche solo si ammette l’opportunità della domanda “posso avere il tuo cellulare?” vuol dire che le difese sono venute giù da un pezzo.
Ma Chiara Bottini non si accontenta, ingarbuglia la matassa di Giulia e presenta il conto. Uno dei due, a un certo momento, può fare retromarcia. Anche qui, quand’è il momento in cui prende avvio la recessione? È come l’economia: c’è una signora che entra in un supermercato e decide di non spendere quel centesimo inizialmente preventivato. Cos’è un centesimo? Nulla. Eppure è un’oliata che viene meno agli ingranaggi della crescita. Così, un pomeriggio, il presunto amore della tua vita non invia quell’sms o quel messaggio whatsapp quando invece non ti ha fatto mancare uno “ciao tesoro” a quell’ora, cascasse il mondo. E l’orologio comincia a fare marcia indietro, inesorabile. Il fatto è che le lancette non si limitano a regredire fino alla partenza ma arretrano toccando un maledetto punto di smarrimento dove assenza e ricordi sono i due secoli manzoniani “l’un contro l’altro armati”. Se almeno emergesse un vincitore.
Non basta: c’è pure Livia nella storia, la realtà in tutta la sua evidenza malandrina. Architetto, sposata, anche piuttosto carina con il marito, perde la testa per il collega più giovane: Mattia. Livia è facilitata per un verso e più incasinata per l’altro visto non ci sono chilometri di distanza come fra due che si conoscono su twitter che vattelappesca dove e come si possono incontrare. Livia può vedere Mattia quando vuole, può perfino mettere in piedi situazioni sociali in cui marito e amante si scambiano convenevoli, ma alla fine non è esente dal cadere nella rete. Una rete in cui gelosia e confusione mentale cuciono maglie molto strette, avvinghianti. E si finisce per stare male.
Giulia e Livia frequentano twitter, si seguono, si leggono. Hanno bisogno di una confidente per ammettere che sono prigioniere di un qualcosa che le spacca in due. Il tempo e lo spazio di una mail all’amica (amica?) diventa un modo per riprendere fiato. Costa fatica vivere negli abissi e anche le balene ogni tanto hanno bisogno di affiorare per espellere un getto. Sembra incredibile ma entrambe procedono al limite della sopravvivenza. E Chiara Bottini le accompagna sull’orlo del burrone con una prosa scarnificante.
Come si guarisce dall’ossessione? Il rischio è proprio quello di non farcela. Giulia e Livia vanno avanti per tentativi: una corrispondenza si chiude, spariscono gli account, arriva la vacanza con il marito in un luogo che appare più squallido di quello che è, riemerge la strategia, vecchia quanto il mondo, del chiodo schiaccia chiodo. Patiscono il caldo e patiscono il freddo più di quanto richiedano le estati e gli inverni.

Una cosa accomuna virtuale e reale: è difficile ammettere la sconfitta. E questo perché il social ci fa credere protagonisti e quello che scriviamo, su twitter in forma più ristretta su facebook più estesa, e pubblichiamo su instagram sembrano le parole e le foto più fantastiche del mondo. Non è così. Con un romanzo molto al femminile, mi piacerebbe per questo che altri tirassero fuori il punto di vista maschile – perché non la stessa autrice? –, Chiara Bottini ce lo ricorda padroneggiando scrittura e psicologia, fino a far morire in bocca, o sul polpastrello, le parole un tempo così esplosive. Come quando a un bambino si rammentano le regole del gioco e che, soprattutto, si può vincere ma si può anche perdere. Bruscamente.

Marco Caneschi