di Danya Kukafka (traduzione di Bérénice Capatti)
Bompiani, 2017
pp. 336
€ 18 (cartaceo)
€ 9,99 (e-book)
"Quando gli dissero che Lucinda Hayes era morta, Cameron pensò alle sue scapole e al modo in cui le inquadravano la schiena nuda, come un paio di polmoni immobili (...)".
È raro scovare un incipit di tale potenza narrativa in un thriller, ma l'esordiente Dasnya Kukafka, di professione assistente editoriale da Riverhead Books, dà subito prova di una buona dose di lucidità narrativa, facendo ben sperare che la storia si sviluppi in modo avvincente.
La vicenda è ambientata a Broomsville, in Colorado, durante un freddo inverno del 2005, quando in un parco giochi viene rinvenuto il corpo senza vita della giovane liceale Lucinda.
Le indagini per far luce sulla sua morte mostrano una realtà assai complessa e sfaccettata, e la narrazione scorre su tre piani distinti, assumendo le prospettive di Cameron, compagno di scuola della ragazza follemente innamorato di lei, Jade, coetanea di Lucinda un po' invidiosa, e Russ, giovane poliziotto legato a Cameron e con un passato dal quale si ostina a scappare.
Nessuno nella piccola comunità è quello che sembra, e pian piano segreti sempre più inquietanti emergono dalle vite di coloro che vengono coinvolti nelle indagini, sepolti sotto la neve che tutto cela ma niente perdona.
Il libro scritto dalla Kukafka ha molto in comune con il filone dei thriller nordici inaugurato con la trilogia Millennium di Stieg Larsson, e ormai sempre più nutrito dal contributo di tanti scrittori: le atmosfere ovattate, i panorami tanto diversi dai nostri, le analisi psicologiche dei personaggi, la morte adoperata come un "pretesto" per far cadere maschere e finzioni... Sono tutti elementi che strizzano l'occhio agli amanti dei gialli scandinavi.
Quello che forse manca alla storia è, però, una maggior capacità di approfondimento, quella finezza di analisi narrativa che avrebbe contribuito a delineare con maggior veridicità e coerenza il profilo dei protagonisti, che li avrebbe resi più comprensibili, consentendo di contestualizzare meglio determinati comportamenti e di percepire con più lucidità il motivo delle loro azioni.
Certe frasi ad effetto gettate un po' alla rinfusa, senza un motivo, producono l'effetto contrario a quello desiderato dalla narratrice, svilendo la storia e venendo percepite dal lettore come una sorta di saggezza dispensata in forma spicciola e, per certi versi, banale.
Per non rivelare troppo della trama, possiamo concludere affermando che questa opera prima si lascia leggere bene, le pagine scorrono via velocemente, seppur qualche nota sia doverosa. Magari nel prosieguo della sua carriera di giallista la Kukafka saprà aggiustare il tiro e trovare una sua identità, senza sentire più il bisogno di conformarsi ad una corrente letteraria, perché non vale davvero la pena correre il rischio di scimmiottare un genere inimitabile come quello dei gialli del Nord Europa.
Ilaria Pocaforza
La vicenda è ambientata a Broomsville, in Colorado, durante un freddo inverno del 2005, quando in un parco giochi viene rinvenuto il corpo senza vita della giovane liceale Lucinda.
Le indagini per far luce sulla sua morte mostrano una realtà assai complessa e sfaccettata, e la narrazione scorre su tre piani distinti, assumendo le prospettive di Cameron, compagno di scuola della ragazza follemente innamorato di lei, Jade, coetanea di Lucinda un po' invidiosa, e Russ, giovane poliziotto legato a Cameron e con un passato dal quale si ostina a scappare.
Nessuno nella piccola comunità è quello che sembra, e pian piano segreti sempre più inquietanti emergono dalle vite di coloro che vengono coinvolti nelle indagini, sepolti sotto la neve che tutto cela ma niente perdona.
Il libro scritto dalla Kukafka ha molto in comune con il filone dei thriller nordici inaugurato con la trilogia Millennium di Stieg Larsson, e ormai sempre più nutrito dal contributo di tanti scrittori: le atmosfere ovattate, i panorami tanto diversi dai nostri, le analisi psicologiche dei personaggi, la morte adoperata come un "pretesto" per far cadere maschere e finzioni... Sono tutti elementi che strizzano l'occhio agli amanti dei gialli scandinavi.
Quello che forse manca alla storia è, però, una maggior capacità di approfondimento, quella finezza di analisi narrativa che avrebbe contribuito a delineare con maggior veridicità e coerenza il profilo dei protagonisti, che li avrebbe resi più comprensibili, consentendo di contestualizzare meglio determinati comportamenti e di percepire con più lucidità il motivo delle loro azioni.
Certe frasi ad effetto gettate un po' alla rinfusa, senza un motivo, producono l'effetto contrario a quello desiderato dalla narratrice, svilendo la storia e venendo percepite dal lettore come una sorta di saggezza dispensata in forma spicciola e, per certi versi, banale.
"A volte per sentirsi fortunati e felici basta andare più veloci degli altri (...)".Anche la rivelazione del colpevole sembra voler essere eccessivamente sbrigativa, come una pratica da assolvere con velocità per giungere ad un finale forse un po' troppo zuccheroso, come se si avesse paura di lasciare che i nodi dei personaggi possano rimanere irrisolti, e credendo che sia molto meglio dar loro una sorta di happy ending.
Per non rivelare troppo della trama, possiamo concludere affermando che questa opera prima si lascia leggere bene, le pagine scorrono via velocemente, seppur qualche nota sia doverosa. Magari nel prosieguo della sua carriera di giallista la Kukafka saprà aggiustare il tiro e trovare una sua identità, senza sentire più il bisogno di conformarsi ad una corrente letteraria, perché non vale davvero la pena correre il rischio di scimmiottare un genere inimitabile come quello dei gialli del Nord Europa.
Ilaria Pocaforza