di Samer
Mimesis, 2017
Traduzione dall'inglese di Giampaolo Cadalanu e Serena Grassia
pp. 114
€ 15,00
Raqqa, 6 marzo 2013: Bashar al-Assad ha appena perso il controllo sulla città di Raqqa, espugnata dall’Esercito libero siriano. Per i cittadini è un giorno di festa: cacciato il tiranno, si prospetta un futuro più semplice, più giusto, più sereno. La liberazione di Raqqa, invece, si trasforma in un boomerang: nel giro di pochi mesi la città passa sotto il controllo dell’Isis, diventandone una capitale. È l’inizio dell’inferno.
A raccontare della vita quotidiana in questo inferno è Samer: non un giornalista o un uomo di cultura, ma un attivista, un ragazzo poco più che ventenne, un figlio e un fratello.
Una persona comune, che decide di diventare un eroe facendosi testimone degli orrori e delle ingiustizie della vita sotto il Califfato. Perché di questo si tratta: I diari di Raqqa è una straordinaria testimonianza di vita quotidiana nell’auto-proclamato Stato Islamico dell’Iraq e della Siria.
Perché Samer decide di scrivere? Perché si espone a un rischio così grande? Perché non può più sopportare il silenzio della comunità internazionale, dei media, dei potenti che hanno scelto di nascondere la polvere (e i gas) di Assad sotto il tappeto. Ma se questo si ripeterà con l’Isis, per i civili di Raqqa sarà la fine.
Ce lo ricordiamo bene. È per questo che vogliamo essere sicuri che tutto ciò che succede in questa guerra sia documentato e pubblicato online attraverso i social media.
Il diario di Samer inizia con il suono di esplosioni e spari; e se quel 6 marzo 2013 Samer accoglie questi rumori con stupore e giubilo, con una nuova speranza per il futuro, da quel momento inizia il periodo più nero della sua vita e della storia della città.
Sarà perché Raqqa è stata liberata con l’aiuto di Jabat al-Nusra; sarà perché ben presto il controllo della città è assunto da Daesh; quella che doveva essere la fine di un regime di tirannia e oppressione si trasforma nel peggiore degli incubi. Con l’arrivo di Daesh «l’ottimismo è morto».
Il valore della testimonianza di Samer è nel suo soffermarsi sui particolari della vita quotidiana. Dai giornali abbiamo appreso soprattutto resoconti delle operazioni militari, spostamenti di eserciti, lanci di bombe, grandi numeri (dei morti, degli armamenti). Grazie alla coraggiosa testimonianza di Samer entriamo in un mondo diverso, a misura d’uomo, concreto. Niente scenari di guerra o truppe che avanzano, niente roboanti dichiarazioni politiche. Ci sono invece funzionari che sponsorizzano la corruzione, medici privati della capacità di operare. E poi pacchi di riso e pantaloni. I primi arrivano a costare così tanto che diventa impossibile nutrirci una famiglia. Quanto ai secondi, che c’entrano i pantaloni con la guerra? «L’Isis insiste che il bordo dei pantaloni deve finire sempre al di sopra della caviglia. Chi viola questa regola deve fare un corso di Sharia per una settimana».
Inutile rimarcare che la lunghezza dei pantaloni di un civile non ha mai deciso le sorti di un conflitto, e che se un regime pone una regola al riguardo è solo per sottrarre ai suoi sottoposti ogni autonomia; invadendo spazi di vita privata apparentemente insignificanti si spoglia l’uomo di libero arbitrio. La lunghezza di un pantalone diventa, come la fustigazione in pubblico, uno strumento per piegare la resistenza delle persone.
Se sotto il regime di Assad era il presente a esser ingiusto, sotto Daesh, che del regime siriano è «la prole», anche il futuro diventa nero.
Non mi dilungo ulteriormente in particolari che sicuramente Samer può raccontarvi meglio di me. Solo mi soffermo a tessere le lodi di questo piccolo volume (meno di 120 pagine) impreziosito da una galleria di disegni d’impatto, a firma di Scott Coello. Caratterizzati da un tratto ingenuo (come se a disegnarli fosse stata la mano di un bambino) e rigorosamente monocromatici, con i rossi, gialli, azzurri sbiaditi. Alcune pagine sono quasi nere, al punto che si fa fatica a leggerle, a distinguere la realtà. L’impressione è quella di immergersi in una realtà forte eppure finta, artificiale, appannata, come quella della vita sotto l’Isis.
Francesca Romana Genoviva