La
condizione neomoderna
di Roberto Mordacci
Einaudi, 2017
Pagine: XIII-129 pp.
€ 12 (cartaceo)
€ 7,99 (ebook)
Abbiamo incontrato il filosofo Roberto Mordacci in occasione dell’uscita del suo ultimo libro “La Condizione neomoderna” .
Roberto Mordacci è Preside della Facoltà di Filosofia dell’Università Vita-Salute San Raffaele dove, in qualità di Professore ordinario, insegna da anni Filosofia morale e della Storia.
Il suo libro è fruibile
da tutti anche dai non addetti ai lavori, purché in
possesso di una buona cultura di
base in ambito filosofico.
Il concetto alla base del testo è la critica al
postmodernismo.
La trattazione parte
dal presupposto che siamo abituati a pensare che l’età moderna inizi con la
scoperta dell’America e noi siamo
l’eredi di quell’ epoca. Buona parte della critica letteraria di inizio ‘900 ha iniziato a
parlare di postmodernismo dicendo che la forma tipica del romanzo moderno e la letteratura
moderna erano stati superati da altre forme. Questa idea si è allargata fino a sostenere che era la
fine della modernità. Nel ‘900 molti autori, letterati, sociologi e filosofi,
storici delle idee hanno celebrato e dichiarato la fine dell’età moderna, e
hanno definito l’età contemporanea come età postmoderna. Ma cosa caratterizza
il postmoderno?Il postmodernismo, secondo questi autori, è la fine di tutte le
idee guida che erano della
modernità, la fine dell’idea di progresso e di verità come esito di una ricerca razionale. Vedono
anche la fine dell’idea di bellezza
come esito di una ricerca artistica sempre nuova (avanguardie artistiche ),
considerano concluso il periodo della morale.
Nella seconda metà del ‘900
hanno detto che tutto questo è finito e dobbiamo abituarci a vivere
senza verità, senza progresso morale, senza arte e guide, senza ragione e
razionalità.
Mordacci rispetto a questo è immensamente critico e sostiene che questa idea del
postmodernismo sia falsa e
pericolosa. Se si arriva a pensare che la verità sia
finita non c’è nessun argine al delirio dell’integralismo, del fanatismo e dell’intolleranza e non
abbiamo nessuna idea di un futuro.
L’età neomoderna, che dà il titolo al libro, è l’età in cui abbiamo
capito che, dopo l’inizio del millennio, non ci si può più permettere che tutte
le idee e le fedi siano uguali, perché altrimenti saremmo travolti dal caos.
Prof. Mordacci
come spiega il neomodernismo nel suo testo?
Innanzitutto credo che l’intera società stia provando a cercare
forme nuove, criticando la situazione presente, con una critica costruttiva
però diversa da quella degli anni ‘80 ‘90 che era solo distruttiva.
Nel libro spiego nella prima
parte perché l’idea del postmodernismo è sbagliata e nella seconda qual è la
situazione di oggi. Reputo che la condizione
attuale assomigli molto a quella nella quale si trovavano i primi moderni, nel
‘400 – ‘500.
A fine ‘400, con la scoperta dell’America, abbiamo
avuto una prima forma di globalizzazione, oggi quella scoperta l’abbiamo in casa
grazie ad Internet. La
globalizzazione che era lontana ora
è reale e viviamo in un mondo veramente aperto. I confini della cultura sono
provocati dalle altre culture che sono presenti nel nostro mondo.
Nel ‘500 De Montaigne raccontava di popoli grazie ai racconti dei
viaggiatori, ora anche il turismo fa sì che ogni giorno ci confrontiamo con
nuovi confini.
Il ‘500 e’ 600 sono
stati gli anni delle rivoluzioni scientifiche, oggi nelle scienze siamo di
fronte a scoperte della stessa entità. Le neuroscienze e la genetica hanno
spostato il centro della ricerca, la genetica del cervello è diventata un modo per spiegare
l’intera biologia. Una rivoluzione paragonabile a quella di Galileo.
Cambia anche la filosofia, perché il postmodernismo ha detto che la filosofia non funziona
più, abbiamo il problema di fondarne una nuova così come nel ‘400 si diceva che
la filosofia scolastica (quella di Aristotele) era superata.
Oggi abbiamo destrutturato i canoni dell’arte moderna e c’è la
ricerca di un canone nuovo che si ispira al classico.
Dal punto di vista politico nel ‘500 ‘600 abbiamo avuto le peggiori guerre di religione, attualmente
le religioni vengono usate per giustificare una violenza politica mostruosa.
Noi moderni europei abbiamo affrontato quelle crisi scatenando le migliori energie, inventando il
rinascimento, l’umanesimo, la nuova scienza fino a creare l’illuminismo, adesso siamo in questa situazione,
abbiamo la possibilità e il dovere di scatenare le nostre risorse per inventare
qualche cosa di nuovo e quindi rifare la modernità, una nuova modernità che non
si produce da sola.
Dobbiamo prender ispirazione da ciò che abbiamo riconosciuto come
classico e in ogni epoca c’è un momento classico. Dobbiamo creare il nostro
classico.
La globalizzazione è un’ opportunità che costringe a pensare in modo
nuovo.
Nel libro sostiene
che il cinema “costituisce la
forma d’arte in grado di esprimere in tempi immediati la condizione della
coscienza contemporanea"? Perché?
Il cinema è straordinario perché è ancora e lo sarà per molto tempo,
nonostante Internet, un luogo di elaborazione e di riflessione di massa.
Il cinema pensa, deve scrivere storie e farsi domande altrimenti non
si sente il film.
La tv, invece, intrattiene e non pensa e quindi non è uno specchio
della nostra società. Io reputo la tv un rimbambimento di massa, in tv vedo
solo film o serie.
Il cinema per tutto il ‘900 è stato luogo di elaborazione della
coscienza contemporanea e lo è tuttora.
È un appassionato
di musica, quale?
Adoro il Blues e il Jazz. Ho suonato con studenti dell’università,
poi con un quartetto jazz col mio maestro, ora ho un duo con una collega di
logica, con la quale abbiamo unito
filosofia e musica: portiamo uno spettacolo nel quale confrontiamo la filosofia
del Beatles e quella dei Rolling Stones, uniamo musica e parole.
Qual è il filosofo
che le ha acceso la lampadina e l’ha spinta a diventare filosofo a tua volta?
A scuola Aristotele e Cartesio. Poi ho frequentato un centro
culturale che si ispirava ad Emanuel Mounier, un filosofo minore che è stato di
ispirazione. Poi all’università mi sono avvicinato a Kant.
Lei parla di “La fine è un nuovo inizio”,
anche in altri ambiti oltre a quello filosofico?
Sì sempre, ovunque vi sia una forma di vita, una realtà, è una legge
generale.
Oltre alla
filosofia, quali sono le sue letture preferite?
Leggo e rileggo soprattutto i classici della letteratura, adoro Dostoevskij
e Schopenhauer.
Su Criticaletteraria
parliamo di libri. Quali suggerirebbe per un bimbo, un adolescente e un adulto?
Per un bimbo senza dubbio Robinson Crusoe. Per gli adolescenti alcuni classici quali “Delitto e Castigo”, “Il rosso e il nero”, di Hemingway i “49 racconti”. Per adulti Roth e Paul Auster in particolare di quest’ultimo “Follie di Brooklyn”.
Social Network