Nottuario
di Thomas Ligotti
Traduzione di Luca Fusari
ilSaggiatore, ottobre 2017
pp. 301
€ 22
Le illusioni lottano con le illusioni
(Il miraggio eterno)
Questo Nottuario di Thomas Ligotti uscito per i tipi de ilSaggiatore è stato accolto dalla critica con analisi entusiastiche. E, almeno per una volta, gli esperti del settore ci hanno visto sia lungo come bene. Nottuario è infatti una raccolta di racconti magnifica sotto plurimi aspetti che vanno dalla perizia linguistica, grazie anche e soprattutto all'ottimo lavoro di traduzione di Luca Fusari, alla capacità dell'autore di evocare, con pochi elementi, atmosfere dalla forte, fortissima caratterizzazione e, non ultimo, anche per una serie di storie che è come se, quasi invisibilmente, si avviluppassero sempre più nel cuore e nella mente di chi le legge, sino ad aggrovigliarlo con le loro spire.
Spesso quando si dice di un autore che la sua scrittura è avvolgente, pur nel sincero complimento effettuato, si nasconde anche una sorta di rimprovero. Infatti questo tipo di scrittura, il più delle volte, risulta, per l'appunto, agglutinante, fagocitante e vischiosa, quasi come se il lettore più che immergervi e nuotare tra i vari capitoli, ne venga sommerso, annichilito e completamente ricoperto. Questo non è, per niente al mondo, il caso di Ligotti che attraverso una desertificazione della propria scrittura che lo porta a non utilizzare mai troppi attributi o periodi particolarmente complessi, mira ad una scarnificazione della scrittura, presentandola in tutta la propria scabrosa scheletricità.
Questa attitudine minimalista ben si adatta ai racconti che vengono proposti in Notturario, sempre al limite tra reale e irreale, sogno ed incubo, vita vera e vita immaginata. Il libro si apre con un'interessantissima riflessione su che cosa siano gli "studi sull'ombra". In questo capitolo l'autore mostra, senza alcuna remora, la propria officina intellettiva, ragionando assieme a chi legge sui vari gradienti che questo particolare tipo di letteratura deve avere per poter essere considerata "dell'ombra".
Il processo quindi, quasi a ricalcare quello degli antichi alchimisti, è uno sprofondare sempre più in basso nell'ombra (o se si vuole preferire nell'incubo). Lo dimostra il primo racconto che apre la raccolta, "La Medusa", un'inquietante storia con protagonista uno studioso di questa particolare figura mitologico-letteraria, che viene presentato, sempre nella logica della natura ambivalente e mai ben definita, al tempo stesso ossessionato dai segni del mito e scettico nei confronti della realtà di tali supposizioni.
Ma dicevamo del movimento verso il basso. Ci sono tutti gli elementi di una nekya visto che Ligotti, via via che procede verso il profondo dell'incubo, evoca creature della notte sempre più inquietanti e, soprattutto (elemento questo da tenere bene in mente) sempre più coese e quasi scaturenti dalla mente, dall'animo o dal cuore degli stessi protagonisti.
Già perché mano a mano che si procede nel fitto intrico della raccolta, si ha come una sensazione montante. Ovvero come il massimo livello dell'incubo, per citare una terminologia a metà strada tra una versione horror di Inception od un rimando al videogioco Bloodborne, viene raggiunto soltanto a partire, anzi proprio "a nascere", da se stessi. Ligotti ci vuole dire insomma che, al di là del classico armamentario di effetti ed effettacci cari alla letteratura horror, l'incubo vero, quello più reale del reale, scaturisce esattamente da noi stessi.
Questa inquietante scoperta viene per la prima volta affrontata nella sua compiutezza nel superbo racconto "La voce nelle ossa" posto, guarda caso, in posizione centrale rispetto all'intera raccolta ed a chiusura della sottosezione "Parte Seconda. Discorso sull'oscurità".
Sebbene non vi sia mai uno sprazzo di luce, anche peregrina e fuggente, che illumini d'intorno, nei racconti di Ligotti non si è mai soffocati o senza respiro. Forse perché la sua scrittura, come dichiarato ad inizio di quest'articolo, non è mai troppo vischiosa. Probabilmente però il motivo è un altro, ben più profondo. Infatti noi non ci sentiamo mai sopraffatti dall'oscura letteratura di Ligotti perché, in un modo quasi incomprensibile, la troviamo familiare, qualcosa che ci appartiene, un luogo in cui sappiamo muoverci ad occhi chiusi. In fondo gli incubi più terribili non li abbiamo proprio vissuti nella nostra cameretta, il luogo che forse meglio di tutti abbiamo conosciuto meglio?
Mattia Nesto
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