di Simona Vinci
Einaudi, 2017
pp. 128
€ 13 (cartaceo)
€ 7,99 (ebook)
«È cominciata con la paura», scrive l’autrice. Delle corde, dei lacci, delle luci troppo forti. Quella di stare con gli altri e la paura di star sola. Dopo la paura: il racconto. Simona Vinci comincia a scavare, a buttar fuori l’insostenibile timore del ‘qualcosa che non va’, a parlare. Parlare della sua paura appunto. E nel farlo si affida alle parole che non l’hanno mai tradita, a un linguaggio per confessarla. Con voce pulita, che non cerca giustificazioni, l'autrice dice quello che c’è da dire senza essere farisea.
Simona Vinci, vincitrice del Premio Campiello 2016 con La prima verità, torna il libreria con un vero e proprio diario psicanalitico, facilmente condivisibile in alcuni tratti, in cui l’autrice si mette a nudo con onestà intellettuale. Una storia di depressione nel suo progredire: la presa di coscienza – che cosa mi sta succedendo? – l’idea del suicidio, l’immobilismo involontario, le crisi quotidiane – un giorno in più uno in meno non cambia niente – il limite estremo; l’idea della morte e la sfida a vivere.
Così, comincia un lungo percorso di analisi e cura, la diagnosi è quella di depressione ansiosa reattiva, con manifestazioni di anoressia e insonnia. La stanza dell’analista diventa un rifugio, così come la sala d’attesa del chirurgo estetico. Per un anno, ogni giovedì, la protagonista si siede nella sala d’attesa di un chirurgo plastico ricostruttivo ed estetico; è lui a restituire dignità a un corpo di cui la paziente si vergognava. Attraverso l’analisi e infine la chirurgia plastica, i due imboccano un percorso di accettazione di sé. Ma non basta, la paura ritorna. Subito dopo il parto, ecco la ricaduta. La morte di un ragazzo amato e il disagio dell’essere madre. Si, un disagio, anche la maternità può essere un disagio se vissuta da un’angolazione avvallata. «Da quando il bambino era nato io non avevo più pace nemmeno nel sonno», scrive. «Appena aprivo gli occhi era la prima cosa alla quale pensavo e il primo pensiero era: sarà ancora vivo?».
Il pensiero della morte rincorre tutta la narrazione con fare saccente.
E allora continua a scavare Simona Vinci e si fa portavoce di un’importante testimonianza – anche solidale – in cui richiama chiunque ne soffra a non nascondersi. Soffrire di cosa? Depressione, paura? Temi talmente umani da risultare incomprensibili. Nessuno sa dire esattamente cosa sia, forse è ‘il male di vivere’ (Montale), forse ‘la malattia chiamata uomo’ (Camon) o forse ‘un’oscurità trasparente’ (Styron). Tanti ossimori, ricerche e definizioni per una fragilità che nella scrittura cerca la sua redenzione.
Ogni vicenda umana è diversa, ogni storia di ansia, paura, e depressione è diversa, non c’è una via unica. Questa è stata – questa è – la mia. Non è paradigmatica, non è estrema, è fatta di piccoli eventi. Eppure, ogni piccola vita con i suoi eventi minimi, ha qualcosa da dire alle altre vite; ogni vicenda umana è, in qualche modo, di chiunque voglia condividerla.
Isabella Corrado
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