A cura di Liliana Rampello
Astoria, 2017
pp. 147
€ 14 (cartaceo)
Un anno di celebrazioni, riletture, trasposizioni e nuovi spunti di lettura: nel bicentenario della scomparsa, numerosissime le iniziative e le pubblicazioni a dimostrazione di quanto ancora l’opera di Jane Austen continui ad appassionare lettori e studiosi. Difficile, quindi, trovare un punto di vista originale per cercare di comprendere e ricreare il fascino immutato a due secoli di distanza di quelle pagine appassionante. Una sfida raccolta – e mi spingerei a dire vinta – anche da Liliana Rampello che affida i sei romanzi canonici di Austen ad altrettante scrittici italiane contemporanee, molto diverse fra loro per scrittura e punti di vista: a partire da una frase tratta dai romanzi di Austen, ognuna di loro crea un racconto (e un testo critico), dimostrando come l’opera austeniana sia in continuo dialogo con la contemporaneità. Un percorso interessante, quindi, non soltanto quale simbolo dell’inesauribile ispirazione fornita dall’opera della scrittrice inglese, ma godibile anche per la qualità dei singoli testi di Stefania Bertola, Ginevra Bompiani, Beatrice Masini, Rossella Milone, Bianca Pitzorno, Lidia Ravera, che offrono quindi uno spaccato interessante della narrativa femminile contemporanea. Un esercizio letterario, la rielaborazione di un originale brano austeniano, che in ognuno dei sei testi qui raccolti rivive in forma nuova, rinnovata nei contenuti ma immutata nel sentire.
Ad aprire la raccolta, Stefania Bertola con “Capitolo 22”, e il brano tratto da L’Abbazia di Northanger: la scrittrice torinese gioca con l’elemento parodico già presente nell’originale austeniano azzardando un racconto divertente, ricco di elementi metatestuali, spingendo all’estremo quella stessa ironia nei confronti della moda gotica già evidente nel romanzo di partenza. Ecco che, nella riscrittura di Bertola, i personaggi di Northanger Abbey entrano ed escono dalla pagina, a tratti consapevoli di non essere altro che invenzione letteraria momentaneamente presi in prestito per lo spazio breve di questo racconto, mentre l’elemento gotico originale si intreccia a più recenti esempi del genere, su tutti il Dracula interpretato da Gary Oldman, che prova ad insidiare l’ingenua fanciulla della storia. È una momentanea sospensione della realtà e della finzione narrativa stessa, un breve sogno prima di rientrare nel mondo austeniano e riprendere esattamente da dove la storia si era interrotta.
Di tutt’altro stampo è, invece, il testo di Ginevra Bompiani, “Zitelle”: a partire dal brano tratto da Emma, l’autrice si inoltra in un interessante ragionamento critico intrecciando a considerazioni originali brani tratti dal romanzo austeniano e ragionando su uno dei temi più interessanti e complessi del romanzo, la condizione di donna nubile, o, per essere più precisi, di “spinster”, zitelle appunto. Emma Woodhouse è probabilmente uno dei personaggi femminili più interessanti dell’opera austeniana – a mio personale parere superato solo da Elizabeth Bennet… e da Jane Austen stessa – e le sue considerazioni su matrimonio o vita nubile si dimostrano oggi in parte ancora attuali. Miss Woodhouse, che si diverte a combinare coppie e matrimoni intorno a lei, sorprende per la lucidità che sembra quasi disincanto con cui, in fondo, considera le relazioni. Perché, per una donna dell’epoca, il matrimonio è nella maggior parte dei casi una faccenda puramente economica:
La differenza tra donne e uomini, dice Emma, è economica, perché le donne sono dipendenti […] e se non trovano qualcuno che sovvenga ai loro bisogni, cadono nell’indigenza e nell’insignificanza. Ma se la donna è ricca, ragiona Emma, la situazione cambia radicalmente.
Ecco che, se la donna ha mezzi propri, il nubilato coincide con una libertà a cui rinunciare potrebbe diventare difficile. Il prezzo da pagare, in qualche caso, è la solitudine, spettro che aleggia anche sulla vita tranquilla di una donna indipendente, di ieri e di oggi.
La riflessione su sentimenti, relazioni, e il timore della solitudine, è al centro anche del racconto elaborato da Beatrice Masini che attraverso i protagonisti senza nome di “Mimosa” mette in scena dubbi ed incertezze non solo dell’amore ma del diventare adulti: sono quelle paure che qualche volta spingono ad accontentarsi di relazioni mediocri, mettere in pausa il futuro per non assumersi il rischio della proprie decisioni.
E si chiese se ci si potesse accontentare, a venticinque anni, di essere contenti, di quel vago tepore che s’irradiava dallo sterno però non andava molto più in là né più a fondo.
Sono, similmente, quelle paure che spingono a scelte più convenzionali, alla prudenza, nella rinuncia di una possibile ma rischiosa felicità: un matrimonio di convenienza, la rovina economica, il passato e quella felicità a cui si era rinunciato, il tempo che passa, sono al centro del racconto di Lidia Ravera, “Un fatto nuovo”, che rielabora tematiche e spunti da Persuasione. Il tema dello scorrere inesorabile del tempo, che ritorna in molti scritti di Ravera, carica anche questo racconto di malinconia, per quanto si è perduto, per un passato e una gioventù che non potranno mai ritornare, per una vita che non si ha avuto il coraggio di vivere. E che ora, nel ritorno di quell’amante del passato, sembra di nuovo lì, a portata di mano, se solo si ha la forza di afferrarla:
Era stato precisamente quello il punto di rottura: il ritorno di Tommaso.
L’equilibrio che Anna aveva insegnato a sé stessa era basato su un ostinato attaccamento al futuro.
La rinuncia, il segreto, un sentimento che non si può dire: nelle pagine intense di “Minuteria”, Rossella Milone crea invece un microcosmo di pregiudizi, silenzi, gesti rubati, amori negati e bugie, che diciamo a noi stessi prima di tutto e poi al mondo, l’orgoglio e la paura che paralizzano. L’orgoglio e il sentimento inespresso, il brano tratto da Orgoglio e pregiudizio come punto di partenza per raccontare una storia che è tutta di minuzie, silenzi e parole dette sottovoce, segreti, bugie, paure. Ed è, anche, uno spiraglio sul rapporto madre/figlia, su ciò che gli altri, dall’esterno, sembrano in grado di comprendere più immediatamente di noi stessi.
Come di madri e figlie e, ancora, di pregiudizi, racconta Bianca Pitzorno nel suo “Figlie d’anima”, immaginando una nuova versione della povera Fanny di Persuasione: l’antica usanza di affidare ad altri più facoltosi la crescita di un figlio, non «un atto legale come l’adozione, ma un patto tra due famiglie approvato e controllato da tutta la comunità». Pitzorno riflette sulla maternità, su solitudini e incomprensioni del matrimonio, su legami di sangue e d’elezione. E sulle seconde possibilità della vita che, qualche volta, trova da sé la propria strada.
Sei racconti, sei chiavi di lettura dell’opera austeniana e degli innumerevoli temi e spunti che contiene: perché, ancora, sentimenti e passioni di quegli uomini e quelle donne immaginati da Jane più di due secoli fa restano fonte inesauribile di ispirazione e riletture, in dialogo costante con la contemporaneità come solo per i classici è possibile.
Di Debora Lambruschini