Nella mente di un terrorista. Conversazione con Omar Bellicini
di Luigi Zoja
Einaudi, 2017
pp. 128
€ 12,00
«La follia è qualcosa di raro nei singoli, ma è la regola nelle epoche e nei gruppi».
Friedrich Nietzsche
La citazione, tratta da Al di là del bene e del male, apre il terzo capitolo di Nella mente di un terrorista, conversazione tra il giornalista Omar Bellicini e Luigi Zoja, psicanalista di scuola junghiana. L’ho scelta come incipit della recensione perché trovo che riassuma efficacemente il tema del saggio: il rapporto tra psicosi individuali e società, applicato al fenomeno del terrorismo.
Cosa c’è nella mente di un terrorista, di chi si fa esplodere o si lancia con camion e coltelli su una folla inerme? La domanda è precisa: non si tratta di ricostruire, come è stato puntualmente fatto dopo ogni attentato, la vita e le abitudini dei vari Abdeslam, Kouachi, Amri ecc. Nella “bulimia di notizie” che è seguita a ogni evento si è smarrito invece il motore dell’azione, la causa scatenante.
Quello che Bellicini e Zoja cercano di fare è quindi psicanalizzare il terrorista, per capire cosa si inceppi nello sviluppo di un individuo, conducendolo a una scelta (auto)distruttiva, violenta, contraria al più forte degli istinti: quello alla vita. Se questi sono gli intenti, il metodo è quello scientifico, con tanto di critica dei propri limiti e delimitazione del contesto in apertura di trattazione.
Ma cosa c’è, allora, nella mente del terrorista? Senza voler anticipare le conclusioni della ricerca, mi permetto introdurre alcuni temi di discussione, per mostrare la profonda connessione tra disagio individuale e “turbe” e svolte della società.
Si consideri per esempio il declino delle famiglie patriarcali: il venir meno di questa “forma di monoteismo a uso familiare” (perché entrambi i genitori lavorano, perché hanno atteggiamenti troppo permissivi con i figli), può spingere i giovani a cercare altri modelli, altri maschi alfa da emulare. Se vien meno un’autorità casalinga da cui apprendere valori e stili di vita (o se chi dovrebbe rivestire questa autorità è sminuito da un lavoro umile), il giovane cerca uno scopo di vita fuori dalla famiglia: e se va male lo trova in un video di propaganda, nel messaggio di una figura forte, anche se dittatoriale. E magari coinvolge nella missione il fratello, una figura familiare simile, paritaria, con gli stessi problemi e la stessa assenza di riferimenti: ed ecco che si spiegano le coppie di fratelli terroristi.
Un’altra svolta storica decisiva è la realtà virtuale: se da un lato agisce come moltiplicatore di opportunità, in situazioni di fragilità può portare all’estremo opposto, la virtualizzazione dei rapporti, una maggiore vulnerabilità allo slogan suggestivo, al video-messaggio emozionante, alla propaganda. È chiaro peraltro che questo tipo di ragionamento può applicarsi anche ad altri temi: dalla politica al mondo dello spettacolo alla pubblicità.
Tra gli aspetti più interessanti del libro, c’è questo: il ragionamento può applicarsi molto al di là dei limiti dichiarati. Interessante in questo senso la riflessione sul ruolo dei mezzi di informazione di massa nel diffondere (per il più banale dei motivi: vendere) una valanga di notizie, opinioni, ricostruzioni, rumors e sospetti. In questo modo il medium si fa tramite di disinformazione, culla di paranoie culturali (e, mi permetto di aggiungere, fake news).
Se questo è un punto a favore, dall’altro lato va sottolineato che non si tratta - dichiaratamente, volutamente, necessariamente - di una lettura semplice. In questo senso, però, da un lato condivido le premesse del giornalista sulla necessità di una lettura lenta e meditata dei fenomeni che quotidianamente ci rimbalzano addosso. Dall’altro, se proprio volete alleggerire la lettura, fiondatevi sul capitolo terzo, cuore del libro e nucleo di risposte.