Samantha Andretti "evapora" nel sole di un mattino d'inverno. L'ultima cosa che fa prima di sparire è prepararsi per un tanto atteso appuntamento, camminare tra le vie familiari del suo quartiere. È sola, ha tredici anni e a un certo punto viene inghiottita dal buio che ha lo strano sguardo di un coniglio.
Quindici anni dopo viene ritrovata ai margini della stessa città. Dove ha trascorso tutto questo tempo? Chi l'ha tenuta prigioniera? Sono chiamati a scoprirlo tra gli altri il Dottor Green, che comincia una caccia ai ricordi che lo condurrà ai confini della memoria e del male, e l'investigatore Bruno Genko che vive questo caso come l'ultima missione della sua vita (qui anche la recensione del libro).
Donato Carrisi è tornato con un nuovo romanzo, sempre edito da Longanesi Editore: L'uomo del labirinto. È proprio in un labirinto che ci accoglie questa volta, un luogo dove il sogno e la veglia si sono invertiti, in una narrazione che è una continua camera di specchi tra realtà, ricordi rielaborati, narrazioni parallele.
Lo abbiamo aspettato per una cena natalizia al sapore di noir in un ristorante milanese; è arrivato, ha preso posto in un tavolo di (quasi) tutte lettrici, ci ha raccontato le vicende dei suoi personaggi, gli ultimi lavori, i progetti per il futuro. Così, tra un risotto alla milanese e una tarte tatin siamo entrati nel suo labirinto.
Qual è il segreto per un buon autore thriller?, gli chiediamo per rompere il ghiaccio.
"Divertirsi a disseminare indizi, a costruire tracce. Ricordate che le cose spaventose sono sempre le più ordinarie." Iniziamo a parlare di storie, a indagare come si crea quel meccanismo della paura e della tensione nel lettore che porta al successo dei suoi libri, in Italia e non solo.
I libri che mi piacciono sono sempre quelli di cui mi ricordo il finale. Questo è il motivo per cui inizio sempre a scrivere partendo dalla fine. Se hai il finale hai già tutto.
Carrisi ci racconta che le sue storie nascono sempre in una zona grigia di confine tra bene e male. È lì che vivono i personaggi con cui "fa a cazzotti" - mai completamente buoni o cattivi - ed è lì che si svolgono le indagini più dolorose e difficili.
Ne L'uomo del labirinto si sente forte l'eco degli interessi e dello studio dell'autore nella branca della profilazione criminale. Entriamo in un clima alla Mindhunter, nuova serie crime di Netflix ispirata alla storia di John Douglas, ex agente FBI e uno dei primi esperti americani di profilazione dei serial killer. Donato Carrisi l'ha vista e apprezzata. Sapevamo già che amava le serie tv, visto il suo lavoro come sceneggiatore per televisione e cinema, e sull'argomento torniamo più volte durante la serata scambiandoci pareri e raccontandoci quella volta che non siamo riusciti a chiudere occhio per una scena particolarmente intesa o quella in cui siamo rimasti delusi da un personaggio che adoravamo.
Le atmosfere del libro mi hanno ricordato anche quelle del riuscito Prisoners, film del 2013 diretto da Denis Villeneuve incentrato sulla sparizione di due ragazzine in una cittadina della Pennsylvania, interessante per la ricerca di un'idea universale del farsi giustizia.
Dopo le prime curiosità, con le nostre domande entriamo gradualmente tra alcuni dei principali temi del libro: la prigionia, il deep web, la malattia, la speranza.
L’idea del romanzo è arrivata in una particolarmente fredda durante le riprese del film La ragazza nella nebbia, film scritto e diretto da Carrisi con (tra gli altri) Toni Servillo, Alessio Boni e Jean Reno.
Ci spiega che ha scelto di raccontare la cattività perché è la forma più alta di malvagità, quel sadico processo per cui l'aguzzino imprigiona la vittima prendendosi in qualche forma cura di lei, preservandola in uno spazio soffocante a cui solo lui può avere accesso.
Parliamo poi del detective Genko che ci ha colpiti per il suo modo caparbio di aggredire il destino, un uomo che non vuole morire, uno spettro a cui il lettore inevitabilmente si sente vicino.
Perché ho scelto un personaggio senza speranza? Perché è un tratto che in qualche modo ci accomuna tutti. Tutti almeno una volta ci siamo chiesti: "se sapessi di avere l’ultima ora della mia vita come la passerei?"
Entriamo nei meandri del deep web, che l'autore ha studiato prima di scrivere il libro. "Uno di quei posti sulla faccia della terra in cui le regole – tutte le regole, senza distinzioni – sono sospese a tempo indeterminato" e che da solo racconta tanto sulle manie del nostro tempo.
Chiediamo a Carrisi dei luoghi dei suoi libri, che spesso sono i lettori stessi a immaginare e completare, dello stile della sua scrittura e di come questa coinvolga lettori di latitudini e culture diverse mantenendosi sempre fedele a se stessa. La paura, dopo tutto, non è una questione di geografia.
Parliamo del cinema e delle riprese del suo ultimo film, tre intensi mesi vissuti insieme al cast, tra aneddoti divertenti e curiosità da maestro del thriller.
La cena va avanti, come una chiacchierata tra amici e abbiamo la conferma che Carrisi ha sempre scritto dei romanzi labirintici, quei tracciati inestricabili di strade in cui l'uomo rischia di non trovare più se stesso.
Claudia Consoli