di Ferdinando Scianna
Economica Laterza, 2017
1^ edizione: 2014
pp. 106
€ 9 (cartaceo)
€ 4,99 (ebook)
Se interpretiamo la parola [fotografia] come "scrittura della luce", allora noi fotografi siamo dei ricettori, siamo degli interpreti, dei lettori: è il mondo che con penna di luce scrive sé stesso mediante le onde luminose che lo colpiscono e che riflette. (p. 17)
Cosa significa davvero fotografare, oggigiorno? Ferdinando Scianna, tra i più noti fotografi italiani e fine nelle sue riflessioni sull'arte dell'immagine, offre vari spunti di riflessione su ciò che attrae e respinge del mondo fotografico.
Ad esempio, perché così spesso ci ritraiamo davanti a un nostro ritratto? Non tanto per falsa modestia, ma perché lo "specchio" della fotografia restituisce l'immagine di noi come ci vedono gli altri, non come vorremmo vederci in prima persona. Insomma, mette in gioco la nostra identità, nel momento in cui affidiamo all'immagine il ruolo di entrare in comunicazione con gli altri. E la fotografia non mente... Se, in passato, davanti a un ritratto pittorico si poteva imputare il risultato modesto alla scarsa abilità dell'artista, con la fotografia questo non è più possibile. Figlia del Positivismo, la fotografia non fa sconti e ci porta a confrontarci anche con la parte di noi che amiamo meno.
Molto spesso si sente dire che la fotografia ferma il tempo, ma secondo Scianna non è così: la foto del passato non ci dice "ciò che è stato", ma "ciò che non è più", ovvero «le fotografie accumulano il tempo, non lo sospendono, e non restano immobili, cambiano. Cambiano perché noi cambiamo e le vediamo in maniera diversa ogni volta che le guardiamo» (pp. 23-24). Anche se il momento rappresentato viene effettivamente prelevato dal flusso del tempo, questo è «un incrocio tra caso e necessità» (ivi). Al tempo stesso, non possiamo neanche considerare la fotografia come prova incontrovertibile, dal momento che la foto «mostra, non dimostra» (p. 25), schiava del mezzo tecnico, della nostra prospettiva, delle circostanze dello scatto...
Il rischio del troppo successo della fotografia negli ultimi anni è quello di averla resa ormai pervasiva, riducendola a «ruoli estetici», che la rendono più vicina alla pittura del passato: si smette spesso di raccontare e interpretare il reale, di testimoniare («personalmente, sono per una fotografia [...] che sia di reportage, una fotografia che si propone come racconto e memoria della realtà. Cioè della vita», p.58), per raccontare storie strampalate che però sembrano imporsi nei musei. A rischio, c'è quello che per Scianna è il ruolo centrale della fotografia: «certificare ciò che di più delicato ci appartiene, ovvero la nostra identità. Anzi, in un certo senso, per la società, quella fotografia, più che certificarla, contiene la nostra identità» (p. 46). E speciale è il momento in cui il fotografo cerca di selezionare quali scatti archiviare, tenere, riordinare, inventariare, un po' come fa la memoria per recuperare e salvare i ricordi, per quanto il confronto quotidiano con la propria mediocrità sia frustrante.
In quest'ottica, orientata a selezionare e conservare gelosamente cimiteri di vite in tanti scatti d'archivio, la moda del selfie è a dir poco inquietante e si configura come un'«estensione virale della pratica, piuttosto antica, dell'autoritratto»:
Ma nessuno può guardare con interesse qualcuno che sta perennemente in posa, soprattutto se è a sua volta occupato a stare in posa pure lui, davanti a sé stesso, per produrre autoreferenziali autoritratti. [...] Il telefono macchina fotografica, "finestra sul mondo", usato come specchio. Ma l'immagine che di noi vediamo in uno specchio, per sua natura, non può essere "condivisa". (pp. 92-93)
Quel che è peggio però è il valore che questi autoscatti rappresentano nella società:
Sfuggire alla depressione attraverso iniezioni continue di narcisismo. Ma se la propria vita ha bisogno dell'autoscatto per certificarsi di esistere è perché essa porta con sé un dubbio sulla propria esistenza. [...] Affidare agli altri la certificazione della propria identità, della propria esistenza, è però molto rischioso. (p. 95)
Dove sta andando la fotografia? E soprattutto dove stiamo andando noi, che ci troviamo a improvvisarci contemporaneamente fotografi e fotografati? Tante riflessioni, intessute di citazioni e di rimandi a capisaldi della letteratura e della saggistica (utilmente riportati nella bibliografia finale), offrono maggiore consapevolezza quando, davanti allo specchio e all'obbiettivo, chiediamo di essere accettati per come siamo o, ancora meglio, per come vorremmo vederci ed essere visti.
GMGhioni
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