Chopin non va alla guerra
di Lorenzo Della Fonte
elliot, 2017
pp. 160
€ 16,50
Chopin non va alla guerra di Lorenzo Della Fonte è ambientato durante la Grande Guerra, snodo storico della nostra epoca contemporanea preda della tecnica e della disumanizzazione. Nel 1918, l’ultimo anno di guerra, il tenente di artiglieria Giovanni Bassan si trova a prestare servizio al Forte Montecchio che difende il confine pacifico del Val Chiavenna, tra Italia e Svizzera. Lui e altri della guarnigione sono dei reduci mutilati o malati, ma ancora abili alla battaglia, comandati prima da un illuminato tenente colonnello, Aleardi, e successivamente da un maggiore, Zocchi, pre-fascista dalla sciocca sete di gloria e sangue. Attraverso il contatto con un soldato calabrese, Domenico Schioppini, Bassan si avvicina alla musica e alla figura di Livia, ragazza dal grandissimo talento per il pianoforte ma immersa in un alone di mistero. La donna infatti era una apprezzatissima concertista, eppure ora, dopo l’improvvisa e immotivata conclusione della sua carriera, suona raramente e solo in privato. Livia inoltre vive a Dongo – paese sul lago di Como – in una clausura familiare che non si sa se sia volontaria o obbligata. Quali sono le ragioni del suo isolamento? Riuscirà a riavvicinarsi alla musica in pubblico? Bassan e Schioppini riusciranno a svelare i segreti che la circondano?
In parallelo al percorso di soluzione di queste domande si racconta la Prima Guerra Mondiale. La prospettiva è però laterale: il fronte è lontano fisicamente, ma visibile nei corpi dei soldati. Schioppini ha perso una gamba e Bassan è di salute cagionevole a seguito della vita di trincea. La malattia però non limita le loro più nobili facoltà, ma anzi li spinge ancora di più a restare umani. Della Fonte sottolinea infatti come sia facile nutrire l’odio verso il nemico con pregiudizi e demonizzazioni, come è semplice entrare in un gorgo di vendette e ideologie di supremazia. Se questo è sempre stato vero, nei conflitti moderni il rischio si è acuito, e la Grande Guerra è stato l’evento precursore di molti contrasti umani del secolo successivo: da una parte il sentimento di comunione e riconoscimento tra persone simili, dall’altra l’ottusità del nazionalismo e del potere. In Chopin non va alla guerra il dissidio tra queste prospettive antitetiche è rappresentato dal rapporto tra Bassan e Zocchi: il primo sempre più sensibile all’arte e insofferente alla violenza; il secondo guerrafondaio e succube di un’idea retorica dell’eroismo. Tra di loro gli eventi, che sembrano sfuggire dal controllo di entrambi.
Guerra e musica sembrano in antitesi. Una portatrice di una censura oppressiva e stupida, l’altra capace di cancellare le linee del fronte per sostituirle con una nuova coesione data da pentagrammi e note. La cultura in questo caso si fa ponte e unione di popoli, ma allo stesso tempo sfida individuale e collettiva.
Chopin non va alla guerra è un romanzo fluido dallo stile piano, scritto da un direttore d’orchestra che non si limita solo ad un racconto affascinato del suo mezzo espressivo, ma che si apre alla Storia e alla Letteratura. Se si vogliono cercare piccole pecche, le si possono trovare in alcuni dettagli relativi a questi riferimenti poco amalgamati alla narrazione: chiaro il debito a Il deserto dei Tartari; come troppo algebriche le simmetrie storiche. Niente di capitale, però, per un romanzo breve che narra senza alcuna pretesa un dramma interiore in una cornice storica curata.
Gabriele Tanda
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