Il cappotto
di Nikolaj Gogol'
Feltrinelli, febbraio
2015
Traduzione di Clemente
Rebora
pp. 100
€
6,50
Così trascorreva in pace la vita di quest'uomo, il quale, con quattrocento rubli di stipendio all'anno, sapeva contentarsi della propria sorte; e avrebbe forse raggiunto la più tarda età, se il cammino della vita non fosse seminato di tribolazioni, non solo per i titolari, ma anche per i consiglieri effettivi e segreti e di corte, e financo per quelli che non danno consigli di sorta, né si curano di riceverne.
Akàkij Akàkievic è un
umile, onesto e anonimo cittadino pietroburghese. Ha un lavoro, è
impiegato e la sua mansione consiste nel copiare a mano dei
documenti. Totalmente devoto al suo lavoro, alle volte se lo porta a
casa per finire di copiare il materiale. La sua esistenza si svolge
tranquilla e noiosa, con gli stessi orari tutti i giorni anche per i
pasti. Per le strade c'è molto freddo e Akàkij si reca a lavoro
sempre con lo stesso cappotto. Un bel giorno si rende conto che il
suo logoro e vecchio cappotto avrebbe bisogno di essere rinforzato
con alcune toppe nella parte delle spalle: il tessuto infatti è così
logoro da essere diventato troppo sottile. Si rivolge al suo sarto di
fiducia, il quale appena vede il cappotto gli dice che non si può
aggiustare, ne deve acquistare uno nuovo. L'umile impiegato non si da
pace. Fa passare qualche giorno e si reca nuovamente dal sarto con le
stesse richieste della volta precedente, ossia se possa aggiungere
qualche toppa al suo vecchio cappotto. Ci riprova una terza volta, ma
ogni volta il sarto gli risponde allo stesso modo, quindi il cappotto
è troppo logoro per poter essere aggiustato ed è da cambiare, potrà
realizzargliene uno molto bello ma nuovo, da capo, da zero, con
stoffa pregiata. L'uomo passa alcuni giorni indeciso, non vuole
abbandonare il suo vecchio cappotto, ma quando esce in strada e il
freddo lo colpisce alle spalle, si convince che con tanti sacrifici
potrà donarsi un nuovo cappotto. Il sarto ci mette meno del previsto
a realizzare il nuovo capo pregiato e Akàkij, grazie anche ad una
promozione nello stipendio, riesce a stento a pagare il salato conto.
E la cosa andò più lesta di quanto si aspettasse. Contro ogni lecita previsione, il direttore gli assegnò, non quaranta né quarantacinque, ma ben sessanta rubli in cifra tonda. O perché quegli avesse imaginato che ad Akàkij Akàkievic bisognava un cappotto, o fosse una semplice combinazione – fatto sta che per questa via egli si trovò venti rubli in più. Questa circostanza accelerò il ritmo dell'impresa. Ancora due o tre buoni mesi di un ragionevole digiuno, e Akàkij Akàkievic poté aver sotto mano, proprio davvero, ottanta rubli all'incirca.
Arriva il giorno che
indossa il cappotto nuovo, esce in strada e si sente un uomo
migliore. Si reca in ufficio e quasi tutti i colleghi si
complimentano per il cappotto nuovo. Alcuni lo deridono, ma l'umile
uomo è abituato. I complimenti e gli applausi non finiscono presto e
i colleghi si aspettano da lui un invito a festa per il lieto evento,
ma Akàkij non può. Ci pensa un altro collega a salvare la
situazione e organizza su due piedi un ricevimento a casa propria per
la sera. Akàkij è invitato e sino a tarda notte non si decide ad
andare. Alla fine accetta l'invito, complice la voglia di indossare
il cappotto nuovo e attraversa varie stradine buie e pericolose per
raggiungere la casa del collega. Partecipa alla festa, si diverte e
si distrae. Si fa molto tardi quando decide di rincasare. Indossa il
suo cappotto, saluta tutti i colleghi e nel cuore della notte cerca
di raggiungere casa sua. Si trova al centro di una piazza a notte
fonda quando alcuni malintenzionati lo bloccano e lo picchiano. Gli
rubano il bellissimo cappotto nuovo. Akàkij perde conoscenza e
quando si risveglia è disperato perché il suo pregiato cappotto è
sparito. Va subito dalle Forze dell'Ordine per denunciare l'accaduto,
ma non gli danno ascolto. La mattina seguente, ancora più disperato,
cerca una soluzione per poter quanto meno denunciare l'accaduto. Una
signora lo manda da un maggiore il quale dovrebbe accogliere la
denuncia. Invece l'uomo maltratta e scaccia in malo modo Akàkij
senza neppure accogliere la lamentela. Akàkij si dispera ancora di
più fino a quando non si ammala. Il febbrone che lo attanaglia a
letto è tale da strapparlo alla vita. Akàkij dopo una notte di
febbre alta muore. Dopo qualche giorno dalla morte, si inizia a
sentire per la città che circoli un fantasma vicino al ponte e alla
piazza che a quanto pare ruba i cappotti alle persone. Ogni volta è
una persona diversa ad essere derubata del cappotto. Queste storie
continuano per giorni. Una notte il fantasma di Akàkij si palesa al
maggiore che lo maltrattò e che non accettò la sua denuncia. Lo fa
spogliare e gli ruba il cappotto. Il maggiore rimane così
impressionato dall'accaduto che rientra subito a casa. Da quella
volta non si è più sentito parlare del fantasma di Akàkij e non è
più stato rubato alcun cappotto.
Fu...difficile dire in quale giorno, ma certo nel più solenne della vita di Akàkij Akàkievic, che Petrovic venne a consegnare, finalmente, il cappotto. Lo recò sul far del mattino, in tempo prima che fosse l'ora di andare all'ufficio. E non avrebbe potuto giungere più opportunamente, perché i geli cominciavano già ad inasprirsi, e tutto faceva credere che minacciassero di diventare più rigidi ancora.
Il cappotto è stato
pubblicato per la prima volta nel 1842 ed è uno dei racconti più
famosi dell'autore ucraino di lingua russa. L'intento del racconto è
far ridere in mezzo alle lacrime e cerca di prendere in giro la
società russa e le varie classi sociali. Lo stile narrativo è
arcaico e si presume sia stata fatta una traduzione alquanto fedele
del testo. Un racconto che sguazza nell'irreale, pur basandosi sulla
realtà. Un genere che conosciamo già e che richiama alla mente il
nostrano Dino Buzzati con i suoi Sessanta racconti. Infatti vi sono
molte similitudini tra lo stile dei due autori. Entrambi partono da
una base reale per sconfinare con leggerezza e naturalezza nella
totale immaginazione narrativa, nell'irrealtà fantastica ricorrendo
a fantasmi e a quant'altro di assurdo. Il racconto Il cappotto
ricalca alla perfezione lo stile dello scrittore italiano, anzi Dino
Buzzati sembra ripercorrere i passi letterari di Nikolaj Gogol',
cogliendo un testimone russo d'eccezione.
Una lettura breve e
intensa che lascia con il fiato sospeso fino alla fine, un racconto
decisamente consigliato a tutti.