Le
cose migliori
di Valeria
Pecora
Lettere
animate, 2015
pp.
84
€ 9,00
Irene,
la protagonista del libro, ha soltanto sette anni quando sua madre
Maria rimane immobilizzata, per la prima volta, in mezzo alla strada
dal morbo
di Parkinson.
Da
quel momento la
vita di un’intera famiglia cambia irreversibilmente. Irene
ha due sorelle e un bravissimo padre, papà Gabriele, e sarà proprio
quest’ultimo a tirare su le tre figlie e a occuparsi della moglie
Maria. Maria non la prende bene, non accetta questo nuovo e invadente
compagno di vita, chiamato morbo, ma che si meriterebbe di essere
denominato mostro. Maria a volte segue le cure, a volte no e intanto,
il mostro lentamente divora tutte le sue capacità. Intorno le tre
bambine. Leggiamo i pensieri di Irene,
una bimba spaventata e
intimorita da una situazione più grande di lei. Si perde tra mille
domande senza risposte e tra sensi di colpa immotivati, ma ben
radicati nella sua piccola testa di bambina e successivamente di
adolescente.
Le mie lacrime erano come i richiami degli uccelli che in caso di pericolo sanno percepire in anticipo quelle minacce che gli umani non sono in grado di recepire. Mettono in allarme i compagni e insieme cercano la via di fuga. Avvertivo un pericolo incombente, una persistente inquietudine.
Come
se si leggesse un secondo libro con la stessa protagonista,
incontriamo
Irene da adulta:
prima universitaria e poi donna a trecentosessanta gradi. Durante il
periodo dell’università la giovane lascia la casa natia, la madre
viene affidata completamente alle cure di papà Gabriele. È in
questo periodo che Irene cerca un pareggio con la vita: recupera
tutte le esperienze perse o evitate sino a quel momento: amori fugaci
e passeggeri, uscite e feste con gli amici, risate con le amiche.
Riesce a laurearsi e parte di nuovo per un’altra città per motivi
di lavoro. Durante l’estate lavora come cameriera ai piani e si
innamora di Luca. Finita l’estate decidono di andare a convivere a
Milano. Irene cambia di nuovo città, segue quello che crede essere
il suo grande amore e che invece si rivela il più gran verme della
sua vita. Luca l’ha tradita. Irene deve trovare la forza di reagire
e di ricominciare da capo, deve rifarsi una vita, di nuovo, altrove.
Altrove
Irene troverà la sua felicità,
imparando ad osservare l’alba e a scovare ovunque le cose migliori.
Racconta al medico di come si sente cambiata, diversa. Di come all'improvviso la sua vita si è scordata i colori, obbligandola a guardare sotto le scale di grigi, bianchi e neri...al massimo seppia. Il dottore pronunciò tre sole parole anzi ne pronunciò molte di più ma a Maria rimasero impresse solo quelle:
“Signora Maria lei ha la malattia chiamata Morbo di Parkinson” disse e aspettò per dare il tempo ai suoi interlocutori di intercettare le parole.
Si
tratta del primo
libro di Valeria Pecora in
cui narra le difficoltà di crescere in una famiglia con una persona
affetta da morbo di Parkinson. Chiunque abbia un familiare con
problemi di salute gravi potrà ritrovarsi nelle descrizioni crude e
nelle emozioni forti descritte nel libro. Valeria è riuscita a dar
voce a quelle situazioni e a quelle emozioni difficili, complesse e
taglienti per chiunque, ancor più se si è una bambina di sette anni
come Irene, la protagonista del libro. Tutte le domande senza
risposta, i sensi di colpa, la sete di rivalsa nei confronti della
vita e del tempo occupato dal dolore per la malattia del proprio caro
appartengono a chi ha vissuto scene simili.
La
prima parte del libro è
scritta con empatia, con ritmo e con rabbia celata da dolore, con
grinta e con voglia di far comprendere a tutti cosa ha dovuto
sopportare la fragile schiena di Irene. La
seconda parte del libro mette
in evidenza tutti i cambiamenti avvenuti in quella bambina: ora è
donna e in quanto tale cerca, anzi pretende la felicità. Un riscatto
per tutti i momenti bui della sua infanzia. Irene è forte, ha la
capacità di allontanarsi da tutto ciò che la ferisce (Luca, il
posto di lavoro sbagliato), è determinata. Si arriva ad un lieto
fine quasi irreale, fiabesco. Ma sorprende tuttavia il repentino
cambio di stile, come se anche la scrittrice nel mentre, tra la prima
parte del libro e la seconda, si fosse presa una pausa per maturare.
Sembrano
due libri in uno,
con la stessa protagonista. Valeria Pecora ha al contempo uno stile
leggero e crudo, spontaneo ed elaborato, disilluso e sognante.
Pensò alla parola morbo, si spaventò. L'identificò con qualcosa di contagioso che ammorba l'aria e l'acqua. Ricordò gli untori del Medioevo le cui porte di casa venivano segnate di rosso per avvisare quelli sani del pericolo. Eppure il medico le spiegò che non c'è un peccato originale in questa malattia.
Un
libro importante con una trama complessa che
tocca tutti i punti più critici della nostra società attuale: si
parte dalla malattia,
dalla
difficoltà dei familiari nel gestire sia il morbo di Parkinson, che
la persona malata stessa; si passa per la crisi,
per la disoccupazione
e
la dequalificazione di un individuo per poter lavorare; si giunge
all’amore con il tradimento e con la famiglia dopo. Famiglia.
Il
libro parte dalla famiglia di origine di Irene e giunge alla nuova
famiglia che Irene ha tanto desiderato costruire. Il tema di fondo è
infatti il prezioso valore della famiglia, culla e scudo per tutte le
persone a cui sta a cuore la propria.
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