con contributi di Alessandro Barbero, Alessandro Portelli, Alberto Mario Banti, Lucy Riall, Andrea Graziosi, Emilio Gentile, Alessandra Tarquini, Anna Foa, Salvatore Lupo
a cura di Paolo di Paolo
Laterza, 2017
pp. 209
€ 18 (cartaceo)
€ 10,99 (ebook)
«Il fatto che gli uomini non imparino molto dalla storia è la lezione più importante che la storia ci insegna», scriveva Aldous Huxley, eppure è giusto continuare a scriverne, con la speranza che l'esempio e il cattivo esempio filtrino oltre le maglie della dimenticanza.
Il volume appena uscito da Laterza, Romanzi nel tempo, non propone una normale analisi storica, ma un'analisi che si muove con grande libertà tra classico della letteratura e storia coeva allo scrittore o alla storia narrata. In altre parole, il testo letterario è il pre-testo, ma anche il testo a cui tornare, con cui confrontarsi in modo più o meno critico, usandolo come semplice elemento d'ispirazione o come continuo interlocutore. La scelta è varia, spazia attraverso i secoli, e permette agli storici di dare una lettura decisamente personale dell'opera letteraria prescelta, tenendo sempre presente che «i romanzi sono fatti di tempo», come sottolinea il curatore Paolo Di Paolo nella premessa.
I nove storici si sono misurati con nove tempi diversi, con nove scrittori e, inevitabilmente, con nove stili di raccontare la storia. Alessandro Barbero nel primo contributo si sofferma sull'arte della guerra sotto Napoleone, a partire da Guerra e pace. Molte delle informazioni belliche derivano da esperienza diretta di Tolstoj nella guerra di Crimea, lo sapevate? E così, attraverso citazioni dal celeberrimo romanzo russo, Barbero dimostra come la guerra settecentesca provi in ogni modo a mettere «in ordine qualcosa che di per sé è caos» (p.8), con allineamenti sempre più geometrici dell'esercito e regolamenti sempre più restrittivi. Perché la vera forza della guerra napoleonica è la massa, e la massa può diventare pericolosissima, se colta dal panico.
Un salto temporale e geografico ci porta alla schiavitù e al razzismo contenuti nella Capanna dello zio Tom, di Harriet Beecher Stowe, romanzo ormai quasi illeggibile per lo stile a tratti eccessivamente ammiccante e quasi paternalistico, come sottolinea Alessandro Portelli, ma ugualmente utile per darci un'idea di quel che avveniva in America. Il secondo intervento è dedicato infatti alla «schiavitù nella sua forma più mite, nella sua forma più "umana"» (p. 36): il protagonista del romanzo, Tom, è la vittima sacrificale, destinato a salvare i compagni, secondo un genere molto in voga ai tempi di Beecher Stowe, ovvero quello delle autobiografie di schiavi.
Se gli schiavi erano senza dubbio una categoria svantaggiata, anche le donne erano spesso ai margini della società e nutrivano i loro sogni segretamente, pregando ad esempio che il proprio nascituro non sia una femmina. Accade in Madame Bovary, e Alberto Mario Banti parte da una celebre scena di svenimento di Emma, dopo la nascita della sua piccola, per legittimare tutto lo sgomento della donna. Per farlo, ricorre al Codice Napoleonico del 1804, che ha modellato gran parte della produzione civilistica francese ed europea: lì vi si legge un'idea di matrimonio certamente non paritaria. La donna ha molti più doveri rispetto al marito e anche il divorzio, apparentemente possibile per entrambi i coniugi, nei vari Paesi è sempre reinterpretato a sfavore della donna. I rapporti tra uomo e donna sono «sfere separate»: «agli uomini il pubblico, il politico, il lavoro; alle donne la reclusione della domesticità, badare alla casa, occuparsi dei figli, allevarli, seguirli» (p. 65).
Un altro mondo, totalmente in decadenza, è quello narrato nel Gattopardo: da lì Lucy Riall studia la società all'epoca dell'arrivo di Garibaldi in Sicilia, restando sempre molto aderente al romanzo, vera pietra di paragone, sostenendo che il Gattopardo è anche un romanzo storico, dal momento che
«nel corso del romanzo, i famosi eventi in rapporto ai quali la narrazione è strutturata - l'invasione della Sicilia da parte di Garibaldi, l'unificazione italiana, la tragedia dell'Aspromonte - si riflettono e si rifrangono nei sentimenti, nelle esperienze e nelle reazioni di una famiglia immaginaria della nobiltà siciliana dell'Ottocento» (p. 81)
Se forse nell'opera c'è molto di autobiografico, e Lucy Riall argomenta in tal direzione, di autobiografico c'è certamente tanto nel famoso Arcipelago Gulag di Solženicyn, per quanto «si cominciava a ragionare sull'Arcipelago Gulag quando quest'Arcipelago era sprofondato» (p. 96): Andrea Graziosi ripercorre la travagliatissima vita dello scrittore misurando quanto gli è accaduto con il suo ruolo di testimone, molto critico sia nei confronti della Russia sia dell'Occidente. Ecco che allora più che muoversi all'interno del libro, Graziosi sceglie di lavorare come storico, portando e interpretando dati decisamente angoscianti sulla realtà dei gulag sovietici.
Spostandoci decisamente dal terreno di devastazione e morte, Emilio Gentile si sofferma nel suo contributo su un altro tipo di disfacimento: quello della società occidentale, colto a partire dal romanzo scandaloso Tropico del Cancro di Henry Miller. Nell'opera, inizialmente interpretata erroneamente solo come un romanzo erotico, è chiaro
«l'annunzio della catastrofe incombente, di una fine del mondo che è già in atto, con la fine, per Miller già avvenuta, di una letteratura e di un'arte che non erano nutrite dal senso della vita. Che è invece quel che lo scrittore era deciso a sperimentare nel suo romanzo, immettendovi la sua vita personale come un torrente d'ogni possibile esperienza vissuta come individuo» (p. 141).
Ecco allora che anche la biografia di Miller entra in gioco nel saggio, si offre come specchio di quella mancanza costante di punti di riferimento che è poi una realtà comune alla nostra epoca.
Torniamo all'ambito bellico con i due contributi successivi. Quello di Alessandra Tarquini, dedicato alla Resistenza tra mito e realtà, a partire dal Partigiano Johnny, di cui traccia la rocambolesca vicenda editoriale, va a demistificare tante convinzioni ancora vive su un periodo storico che ha molte ombre:
«Fenoglio non si sofferma su ciò che separa un fascista da un antifascista o sulle ragioni che portano gli uni da una parte e gli altri dall'altra. Ci dice che in guerra si uccide e si muore, che siamo chiamati a scegliere. Ci chiede cosa saremmo disposti a fare in casi estremi, quelli che accadono in una guerra civile, fino a dove possiamo spingerci». (p.161)
In tal senso, «diventare un partigiano significa aver compiuto un percorso esistenziale, essere diversi dai nemici per ragioni morali» (ivi). Non ci spostiamo di molto per argomento col saggio successivo: Anna Foa indaga la realtà di ebrei sionisti e partigiani, muovendo da Se non ora, quando?, unico romanzo di Primo Levi. L'interesse si concentra su quell'ultimo periodo della guerra, la Polonia del 1944, mentre
«l'Armata Rossa avanza, i partigiani incalzano, gli ultimi ebrei sopravvissuti combattono armati la loro guerra partigiana [...]. È anche il periodo delle marce assassine ma anche quello della popolazione, in particolare in Germania, che massacra senza ordini, selvaggiamente, i deportati» (p. 176).
Chiude il volume un focus di Mario Puzo sulla realtà della mafia americana: quale opera migliore del Padrino per parlarne? Il termine di confronto storico è quello di Joe Valachi, primo pentito di mafia, primo a parlare di Cosa nostra. Puzo analizza il tutto facendo incursioni nel libro e nel film, posti a confronto con la realtà storica.
La scommessa di questo volume era decisamente coraggiosa fin dalla sua ideazione e la domanda sottesa è: è davvero possibile interpretare la storia a partire da un'opera di narrativa? Sì, senza mai fidarsi del narratore, sempre e solo apparentemente "realistico" e "oggettivo", al di là di manifesti programmatici di genere. Però ogni autore è figlio della propria epoca, per quanto talvolta provi a distaccarsene e a prenderne le distanze. E questo traspare dalla pagina. D'altra parte anche questo Romanzi nel tempo testimonia il bisogno degli anni Duemila di provare a mettere ordine, spiegare il nostro caos e forse, ambiziosamente, trovare le radici della nostra deriva.
GMGhioni