di Paolo Vanacore
Castelvecchi, 2017
pp. 160
€ 17,50
Edoardo, trentenne romano come tanti, si innamora di Gabriele, il compagno della sorella: questa è a grandi linee la trama dell'Ultimo salto del canguro. Ma attraverso la storia di un amore proibito (e inseguito) Paolo Vanacore ci racconta quella condizione che tanto fa paura in questa nostra società della perfetta immagine: l'infelicità. È l'infelicità la vera protagonista di questo breve romanzo portato avanti con scioltezza e umorismo (giusto una nota di demerito en passant sulla punteggiatura: risulta davvero troppo banale in certi passaggi ricchi di subordinate e retti da virgole, virgole, virgole, nient'altro che virgole). E non parliamo qui dell'infelicità di chi vive un amore non corrisposto, bensì di chi sente la necessità di doversi nascondere in piena vista... e non solo agli estranei, bensì anche e soprattutto agli affetti più vicini. Perché ci si nasconde, tuttavia? La risposta è semplice: perché ci si vergogna.
È infatti la vergogna di quel che si è o di quel che si prova, e che non può essere detto, a portare all'infelicità. Non si può dire, infatti, che si è smesso da tempo di amare la propria moglie e si sta portando avanti una relazione extraconiugale; non si può dire di aver scoperto l'amore in una persona dello stesso sesso, quando si è sempre creduto di avere un orientamento lineare e ben visto dai più; e non si può dire, ancora, di amare il sesso come valvola di sfogo, come atto di liberazione dalle frustrazioni e dall'infelicità. Tutte queste cose, ancora oggi nella società delle libertà individuali, appaiono sporche, turpi, denigranti, nonostante siano quotidianamente esperite da tutti.
Perché non possiamo essere sinceri con noi stessi e con gli altri?, sembra chiederci Vanacore. Perché non possiamo fare come gli animali del bioparco in cui lavora Edoardo?, sembra domandarci. Su questi continui parallelismi fra animali ed esseri umani l'autore gioca continuamente, mostrandoci come la dicotomia libertà/costrizione sia viva e vitale ancora nel 2017. Molti di questi parallelismi girano intorno al sesso, ed è normale che sia così: il sesso che viene vissuto come qualcosa di vincolante, il sesso di cui non si può parlare e intorno alla cui clausura vorticano i business del porno e della prostituzione. Il sesso, spesso trattato come argomento oscuro e da evitare, diventa nel libro di Vanacore un protagonista su cui accendere i fari. Guardatemi, sembra dire il protagonista Edoardo in un gioco metanarrativo, sono un frocio (sic!) e scopo con chi voglio! Perché non lo fate anche voi? Di cosa vi vergognate?
Il sesso, la vergogna, l'infelicità: ecco la triade putrida e incommentabile che l'autore porta sul tavolo apparecchiato con la tovaglia buona e le posate d'argento, mentre siamo seduti sulle sedie di legno pesante, nelle nostre sale da pranzo tirate a lucido, intenti a deliziare gli ospiti con discorsi piccolo borghesi su vacanze al mare, camicie stirate e figli modello. Perché di questo stiamo parlando, soprattutto nelle battute finali dell'Ultimo salto del canguro: di una società fatta di grandi sogni e grandi aspettative ma ancora abitata da piccolo borghesi incatramati in matrimoni fallimentari, in relazioni monogame e rigorosamente etero da cui è svanita ogni traccia di passione, in una sessualità ambigua di cui ci si vergogna ma di cui no, assolutamente non si può parlare perché il vicino sta dietro la porta di casa con l'orecchio appoggiato in attesa del prossimo scoop.
Paolo Vanacore ci consegna dunque un testo che parla di noi, microscopici esseri umani che hanno portato internet in ogni casa e sfornano macchine che a breve guideranno al posto loro, ma che ancora non sanno reggere il peso delle minuscole verità che li riguardano.
La vergogna, gente, la vergogna. Perché ci vergogniamo di essere quello che siamo?
La vergogna, gente, la vergogna. Perché ci vergogniamo di essere quello che siamo?
David Valentini
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