di Michel Bussi
edizioni e/o, 2017
Titolo originale: N'oublier jamais
Traduzione dal francese di Alberto Bracci Testasecca
pp. 452
€ 16,50
Ho scelto questo romanzo, come prima lettura del 2018, perché tra i libri letti l'anno scorso tra quelli che più mi avevano preso, dal punto di vista narrativo e del coinvolgimento emozionale, c'era sicuramente Ninfee nere di Michel Bussi (ne avevo fatto la recensione qui su Critica letteraria, www.criticaletteraria.org/2017/07/Bussi-Ninfee-Nere.html). Un romanzo che mi era piaciuto moltissimo per la geniale costruzione del racconto giallo, per l'ambientazione proposta e per il finale che mai potrò dimenticare. Avevo quindi grandi aspettative per l'ultimo romanzo di Bussi, autore molto amato Oltralpe, vincitore di numerosi premi e riconoscimenti, che, lodevolmente, la edizioni e/o si è incaricata di portare in Italia.
E allora mi sono cimentata con la lettura di questo giallo che, come sempre accade nei libri di Bussi, ci porta alla scoperta di una regione francese (l'autore è docente di geografia all'Università di Rouen e questo spiega molte cose): se per Ninfee nere era la splendida Giverny, dove sorge la casa di Claude Monet, qui si parte per la Normandia, nello specifico per Yport, un piccolo paese sulla Manica, proprio di fronte all'Inghilterra, la cui caratteristica principale sono le alte falesie a picco sul mare. Falesie che avranno un ruolo da protagonista all'interno del romanzo. Arriviamo a Yport non in un'estate luminosa e affollata di parigini in vacanza al mare, ma in un anonimo febbraio del 2014, quando la cittadina, priva di turisti, sonnecchia avvolta da una nebbiolina umida. Un paesaggio che non invoglia certo all'allegria. Tra i pochissimi alberghi aperti c'è il Syrène (che esiste davvero, proprio sulla spiaggia del paese), da cui un mattino esce un ospite che è qui in vacanza per una settimana. È un ragazzo vestito in tenuta sportiva che si appresta al consueto allenamento della mattina, la corsa sulla falesia. Il suo nome è Jamal Salaoui, magrebino. Uno che finora ha visto cadere la moneta della sorte da una sola parte... non la sua. Jamal infatti è invalido, porta una protesi di carbonio al moncone della gamba sinistra. Nonostante questo, ha un obiettivo: essere il primo atleta disabile a partecipare all'Ultra Trail del Monte Bianco. Una di quelle corse da pazzi (e lo dico con sincera ammirazione!) in cui temerari super allenati salgono e scendono dislivelli da paura. Correndo per ore e ore. Di giorno e di notte. Jamal è determinato. Questo, d'altra parte, è solo uno dei cinque obiettivi che si è prefissato nella sua non proprio fortunata esistenza. Gli altri sono: far l'amore con una donna più bella di lui, avere un figlio, poter contare su una donna che lo pianga dopo la sua morte e pagare il debito della vita, cioè essere utile, salvare per esempio una vita umana.
Ma torniamo a Yport, quel mattino del 19 febbraio. Correndo su per la falesia, un po' ghiacciata e scivolosa, nel freddo del primo mattino, Jamal a un certo punto vede due cose, che gli sembrano illogiche: una sciarpa rossa attaccata a una recinzione, come se qualcuno l'avesse trovata per terra e appesa lì in attesa del ritorno del legittimo proprietario. E una ragazza bellissima, vestita in modo assolutamente incongruo per l'ora e il clima, con un abito leggero strappato in due. La ragazza è sull'orlo della falesia, è disperata e sembra si voglia buttare. Tutto accade in un attimo, Jamal, atterrito, le si avvicina, le rivolge la parola, tenta di farsi dare la mano, lei gli urla di non avvicinarsi, lui le lancia la sciarpa perché lei la afferri, lei ne prende un capo e con uno strattone la strappa dalle mani di Jamal precipitando dalla scogliera. E con la ragazza precipiterà pure la vita del magrebino, che in breve tempo diventerà l'indiziato più probabile dell'assassinio della giovane donna. Che, per inciso, dalle indagini sembra sia stata violentata e poi strangolata con la sciarpa rossa. Che, stranamente, sarà ritrovata legata al collo del cadavere. Come se la ragazza, in volo, avesse avuto il tempo di annodarla.
E con questo siamo soltanto a pagina 22. Il giallo si dipanerà per altre 400 e più pagine prima di arrivare alla sua soluzione. Facendo entrare il lettore in un tunnel in cui crederà tutto e il contrario di tutto, in cui individuerà una serie di colpevoli che poi si riveleranno innocenti, in cui arriverà a dubitare di chiunque. Forse anche di se stesso, come lettore. Perché la bravura di Bussi sta proprio nel presentare come definitive situazioni che poi vengono ribaltate, nella pagina successiva, da un solo, piccolo particolare. Il protagonista principale del libro sarà comunque sempre Jamal, che verrà accusato non solo dell'assassinio della ragazza buttatasi dalla scogliera, ma anche di altri due avvenuti dieci anni prima: due ragazze, Morgane e Myrtille, strangolate, dopo essere state violentate, con una sciarpa rossa. Ma questa era la prima volta che Jamal veniva a Yport in vacanza... Oppure no? E se quella volta, al camping estivo per ragazzini... Possibile?
Intorno a lui si muovono testimoni, veri o presunti, poliziotti più o meno arguti o più o meno zelanti, una madre determinata a scoprire l'assassino della figlia e pronta a tutto, ragazze che lo aiutano o lo inguaiano, appaiono buste marroni che raccontano degli omicidi di dieci anni prima, compaiono indizi, spariscono persone. Una sarabanda di situazioni, nell'arco di sei giorni, che tiene legato il lettore fino all'apoteosi finale. A cui, lo riconosco, non si arriverebbe mai nel corso del libro.
Un giallo magistralmente costruito, nulla da dire.
Chiarito questo, però, mi sento di dire che Mai dimenticare non riesce a convincere fino in fondo. Intendiamoci, l'autore è indubbiamente molto bravo, sa costruire il giusto grado di suspense, sa tenere avvinta l'attenzione del lettore e sa come modulare la tensione, con appropriati picchi di alto e basso. Ma, in questa prova, Bussi si è lasciato un po' prendere la mano: ha costruito cioè un giallo, la cui architettura risulta molto complicata. Forse troppo complicata. E, alla fine, per riuscire a rimettere a posto tutti i pezzi di un puzzle così intricato e contorto, sembra che l'autore debba fare i salti mortali, chiedendo al lettore un surplus di fiducia e conducendolo un po' troppo disinvoltamente attraverso il territorio dell'inverosimiglianza. Ci sono cioè escamotage che il lettore deve accettare così come sono. Senza farsi troppe domande. Soltanto così la storia può procedere.
Ecco, secondo me, sta proprio in questo il punto debole del romanzo: il fatto di dover ricorrere a troppi colpi di scena, a troppi aggiustamenti, a incastri un po' forzosi per giungere alla meta che l'autore si era prefissato. Un po' come se lo scrittore si fosse accorto, alla rilettura finale, che, per far quadrare tutto, era necessario aggiungere determinati accorgimenti.
Dopodiché la scrittura è, come sempre, scorrevole, la struttura è solida e l'ambientazione piacevole. Per cui chi intende trascorrere qualche giorno in compagnia di un buon giallo, si accomodi senza timori. Il romanzo di Bussi è comunque un'avventura «libresca» che lascia con il fiato sospeso.
Proprio per questo, per la fiducia che ormai ripongo nelle capacità dell'autore di sorprendermi, nonostante Mai dimenticare mi abbia un pochino deluso e non mi abbia fatto provare le stesse emozioni di Ninfee nere, sicuramente quest'anno mi lascerò trasportare da lui in Corsica, leggendo il suo giallo uscito nel 2016, Tempo assassino. Vi farò sapere...
Sabrina Miglio
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