La Marchesa Casati
di Luca Scarlini
Skira, 2014
pp. 106; euro 14,00
La Casati.
La musa egoista
di Vanna Vinci
Rizzoli Lizard, 2013
pp. 96; euro 17,00
Quanti e quali aggettivi sono stati scelti, negli anni e nei libri a lei dedicati, per cercare di descrivere la Marchesa Luisa Casati Stampa (1881-1957), ereditiera milanese della dinastia tessile degli Amman che dedicò l’intera esistenza alla magnificazione estetica della propria persona? Quante versioni più o meno veritiere sono state divulgate a proposito di questa figura femminile unica e irripetibile, attraente e respingente come solo le personalità dotate di innato carisma sanno essere? Interprete perfetta della Belle Époque, indifferente alle brutture di entrambi i conflitti mondiali, frequentatrice e non di rado amante dei più importanti artisti e scrittori del suo tempo, la Casati ha legato il proprio nome alla smania per l’eccentrico e l’occulto, al gusto per l’eccesso fine a se stesso, nelle passioni come nella cura di un corpo progressivamente segnato dall’abuso di droghe e piegato a particolarissime esigenze da performer ante litteram. Pettegolezzi e lodi in parti uguali hanno da sempre ricamato attorno alla persona della Marchesa il più perfetto dei merletti, specie da quando, ormai invecchiata e impoverita nell’estremo soggiorno inglese, si preparò ad andare in sposa a Sorella Morte truccata di tutto punto, con indosso un nuovo paio di ciglia finte per il sonno eterno, avvolta dalle amate pellicce e con indosso gli inseparabili guanti di leopardo dotati di veri artigli. A lei, che a settantasei anni venne colta da emorragia celebrare dopo l’ennesima seduta spiritica, e che volle sul suo epitaffio i versi shakespeariani tratti dall’Antonio e Cleopatra dedicati all’imperitura bellezza della regina egiziana, Luca Scarlini e Vanna Vinci hanno recentemente dedicato due differenti lavori dai titoli ugualmente evocativi: Memorie di un’opera d’arte e La musa egoista.
La biografia di Luca Scarlini – che è anche la più recente, successiva ai principali studi sulla Casati: su tutti, per restare in ambito italiano, l’ormai raro Corè. Vita e dannazione della Marchesa Casati, a firma di Dario Cecchi, pubblicato nel 1984 da L’inchiostroblu – è il perfetto libro inaugurale per chi voglia ripercorrere la storia di una donna che volle fare di sé e della sua vita un capolavoro di imperitura memoria (la bibliografia in coda lo aiuterà nelle future, inevitabili ricerche). I diciassette capitoletti, obbedienti a un rassicurante ordine cronologico, si leggono con voracità, ma sono a stento bastevoli a contenere l’esuberanza del carattere e delle gesta della Casati: l’impressione, in più punti, è che il racconto biografico potrebbe tranquillamente uscire in più fascicoli (se non volumi) autonomi, ciascuno dedicato a una delle tante identità che la dama amava abitualmente assumere (maturò un’ossessione soprattutto per la Contessa di Castiglione), a una delle città in cui si trovò a risiedere (Milano, Roma, Parigi, Venezia, Capri, Londra…) oppure – e sarebbe parimenti legittimo – agli animali esotici di cui amava circondarsi in casa e in giardino. Lunghissimo l’elenco dei personaggi illustri frequentati e in vario modo sedotti (quando non traumatizzati) dalla Marchesa: da Sergei Diaghilev a Vaslav Nijinsky, da Paul Poiret a Romaine Brooks, da Isadora Duncan a Fortunato Depero. Una vita vissuta senza mezze misure e senza compromessi fino agli ultimi giorni, quando ormai sul lastrico – vera e propria Contessa miseria di consoliana memoria – si ritirò in un appartamentino londinese beneficiando delle sovvenzioni economiche degli amici e degli amanti della sua age d’or: senza mai un lamento, un rammarico, un rimprovero a se stessa. Al contrario: fiera del proprio passato anche a dispetto dei fallimenti come moglie e madre, certa che la propria condotta fosse stata l’unica possibile per non darla vinta a quelle debolezze caratteriali (la Luisa timida e insicura delle fasi misantrope) che altrimenti le avrebbero impedito di "inventare" se stessa.
Come si capisce, per l’illustratore che decida di tradurla in immagini la vicenda biografica della Marchesa, originalissima e tuttavia legata a epoche e atmosfere precise, è una vera e propria miniera di suggestioni visive, che può portare con sé, paradossalmente, il rischio dell’inibizione. Non è questo – al contrario! – ciò che accade a Vanna Vinci, che come prima cosa evita di sperperare gli spunti strutturando la sua graphic novel come un lungo, ininterrotto flashback: la Casati è mostrata subito nel momento della (apparente) decadenza finale, senza reticenze, come se il suo ultimo stadio offrisse il perfetto predellino per ripercorrere con slancio e maggiore gusto l’epopea esistenziale del personaggio attraverso una sorta di collage di episodi e testimonianze. Le primissime vignette sono difatti ambientate nella Londra degli anni Cinquanta (laddove si ritorna in epilogo): quanto basta perché la Marchesa – ormai sciatta e dimessa, antitesi perfetta del corrente New Look appena lanciato da Christian Dior eppure non meno magnetica di una volta – possa già rivolgere a chi legge, nell’angolo in basso a destra, il primo dei suoi frequentissimi sguardi “in camera”. A seguire, come per effetto di una perturbante apparizione che smuove il rimosso, ecco che voltata la pagina ci si ritrova di colpo alla fine del XIX secolo, con Luisa appena nata e poi infante, ancora per poco priva di tutti quei sublimi peccati che, decennio dopo decennio, la chioseranno di demoniaca bellezza. Da qui in poi la fedeltà alla vulgata – e alla leggenda – biografica della Casati da parte di Vanna Vinci ci sarà tutta: a chi legge non resterà che indugiare con piacere tra le tavole apprezzando sia la selezione ad hoc degli episodi sia la minuzia dei dettagli con cui sono resi gli ambienti, i vari comprimari-narratori (sempre introdotti da vignette esplicative), ma soprattutto le evoluzioni estetiche della protagonista. L’autrice sceglie con cura i punti sui quali soffermarsi con intenzione: tra questi, il rapporto con Gabriele D’Annunzio, che trova la sua sintesi perfetta nel racconto di un amplesso tra i due amanti scandito dalle parole tratte da La figure de cire, che il Vate compose ispirandosi alla statua in cera che la sua “Corè” aveva fatto confezionare a propria immagine e somiglianza.
Come in un gioco di scatole cinesi, sono numerosissimi gli omaggi alle pose più note della Casati, incastonate qua e là dall’illustratrice quasi fossero pietre preziose di una stravagante parure. Non manca, per esempio, il riferimento alle celebri passeggiate veneziane, rigorosamente en déshabillé, in compagnia del fidato e sottomesso valletto di colore e dell’amato ghepardo tenuto al guinzaglio; non mancano le mises eccentriche adottate nelle vita quotidiana o ideate per le innumerevoli e faraoniche feste, in un tripudio di rimandi a un lusso sempre più ostentato, ora più orientale ora più borghese; e non mancano nemmeno, come giustamente ci si aspetta, alcuni riferimenti espliciti ai numerosi ritratti realizzati per lei dai più noti pittori contemporanei, che l’illustratrice si diverte a corredare con camei testimoniali di presenza: da Giovanni Boldini a Man Ray – che le scattò il celebre primo piano fuori fuoco, in cui pareva dotata di tre paia d’occhi –, passando per Alberto Martini, Kees Van Dongen e Augustus John – che per un periodo fu anche suo amante. La sessualità libera e disinibita della Marchesa, che da sempre alimenta una curiosità morbosa a suo riguardo, viene esplicitata con eleganza da Vanna Vinci attraverso quello che sembra un espediente stilistico ad effetto, una costante dell’intero volume: se è vero che ogni artista modula i suoi colori in base all’opera a cui intende dare vita, sembra che l’illustratrice abbia voluto fare del corpo (spesso e volentieri) nudo e della chioma (sempre più) fulva della Casati una sorta di diapason cromatico per la sua tavolozza, fatta di toni prevalentemente spenti e opachi contro i quali vanno a contrastare, sempre e con decisione, la criniera e gli occhi bistrati dell’incontenibile Luisa. Forse è anche per questo se, a sfogliare velocemente La musa egoista – così per prova, come si farebbe con certi libretti con figure appositamente congegnati per mimare l’effetto “cinema” – si ha l’impressione di un rosseggiare invadente, quasi una “panoramica a schiaffo” che conduce in atmosfere di bagliori accecanti e di misteriosa penombra, in tutto simili alla donna che le abita e le anima.
La Casati è uno di quei volumi illustrati da leggere con furia e contemplare con calma, in cui non c’è singola vignetta che non continui a svelare particolari a ogni nuova osservazione, e in cui ogni allusione a episodi, luoghi e personaggi non sufficientemente approfonditi sulla pagina si lascia dietro un desiderio di conoscenza ulteriore, da soddisfare andando alla ricerca di libri sempre più rari e costosi. A rendere ancora più perfetta la bellezza di questo lavoro contribuisce poi il suo unico difetto, vale a dire la brevità eccessiva dello scritto introduttivo di Natalia Aspesi. Se c’è una giustificazione alle tre sole paginette a firma della nota giornalista – che nello svelare a chi legge che cosa si cela Dietro la maschera di una dark lady sceglie con maestria le più ficcanti parole di ingresso nel fascinoso mondo della Marchesa – ci piace pensare che questa risieda nell’intenzione di un consenso implicito alla caratteristica principale del volume, vale a dire la supremazia dell’immagine sulla parola (fermo restando la cura minuziosa dei dialoghi e delle didascalie). Non sarà un caso se proprio a corredo di questa Prefazione, insieme al ritratto di una Casati in ghingheri, annoiata e intenta a fumare da un lungo bocchino, ci sono “solo” alcuni tra i suoi oggetti più evocativi: qualche boccetta di profumo, un turbante piumato, fili infiniti di perle, spirali di bracciali “a sonagli” e un fedele pellicciotto. A leggere tra gli indizi visivi, pare proprio di intendere che l’anima di Luisa, anche quando potrà sembrare di averla finalmente trovata, continuerà a compiacersi di restarsene sempre in un esclusivissimo altrove, al sicuro, al di là di ogni tentativo di riduzione in prosa, in poesia e in figura.
Cecilia Mariani