Achille piegò la fronte enorme, e i suoi lunghi occhi di capra piansero, piansero, piansero […] il silenzio della morte si stendeva per chilometri e chilometri intorno al dolore grande, immenso, incommensurabile di Achille innamorato.
Le songe d’Achille, 1929. Olio su tela, 74 x 91.5 cm. Collezione privata, Brescia. (c) 2017 Artists Rights Society (ARS) / SIAE, Roma. Foto: Dario Lasagni |
Con queste parole si conclude il racconto Achille innamorato di Alberto Savinio, all’interno dell’omonima raccolta. Nel testo di Savinio Achille piange e ama. E in un suo dipinto sogna (Le songe d’Achille, 1929): l’eroe omerico è semi disteso su una spiaggia, possiamo immaginare che guardi con languore al mare e a quelle strane forme colorate nel cielo davanti a lui. E già da questo particolare trattamento che Savinio riserva alla figura di Achille è possibile dedurre almeno due cose. La prima è che Savinio – profondo conoscitore della mitologia greca – amasse giocare col mito, dare agli eroi e alle eroine dell’antica Grecia un nuovo significato: Achille non è più il potente guerriero acheo, ma una nuova malinconica figura, con fianchi femminei, i piedi molto grandi e la testa molto piccola. E poi, già da questo esempio – uno tra i tanti possibili – è evidente come letteratura e arte siano estremamente intrecciate in Savinio, che era artista, scrittore, drammaturgo e musicista e per tutta la sua vita ha sempre considerato le arti che praticava in continuità e relazione l’una con l’altra.
Savinio era nato ad Atene nel 1891, fratello minore di Giorgio de Chirico. Andrea de Chirico era il suo vero nome, ma da giovane decise di cambiarlo, facendo suo il nome di un traduttore e critico francese, Albert Savine. Probabilmente per distinguersi dal fratello, con cui Savino ha intrattenuto per anni un sodalizio artistico – anche se le cose sono un po’ più complicate di così, come dimostrano gli studi sui due fratelli geniali, i Dioscuri, come loro stessi si facevano chiamare (1). Ma lo pseudonimo non risponde solo a questa ragione: Savinio amava giocare con le parole e con i nomi, dare loro un nuovo personalissimo significato. Ne è esempio più lampante la Nuova Enciclopedia (1977, postuma), uno dei progetti più ambiziosi e interessanti di Savinio, che qui rinomina diversi lemmi della lingua italiana, beffandosi del loro tradizionale significato. Ad esempio:
TELEGRAFO. Erodoto narra che gli Efesii, assediati da Creso, figlio di Aliatte, consacrarono la loro città ad Artemide, e a fine di accaparrarsi il potere della dea, tirarono un filo tra il tempio di essa che era collocato fuori porta, e il muro di cinta. Come si vede, l’invenzione del telegrafo è molto più vecchia di quanto si crede. E che telegrafo!
Figuriamoci quindi se Savinio non volesse giocare anche col suo stesso nome, scegliendo non solo uno pseudonimo, ma anche un alter ego: Nivasio Dolcemare, il nome-anagramma protagonista e firma di alcuni dei suoi scritti.
Foto di Serena Alessi |
A New York è stata inaugurata a ottobre la seconda mostra su Alberto Savinio che sia mai stata allestita negli Stati Uniti (la prima c'è stata nel 1995, sempre nella grande mela). Si trova al Center for Italian Modern Art, una galleria d’arte di SoHo che ogni anno espone le opere di un artista italiano. Il CIMA è anche un centro di ricerca, che per ogni mostra chiama degli studiosi a lavorare sull’artista di turno. Arte e ricerca si fondono quindi in questo spazio unico, diverso dalle tante altre gallerie di SoHo, innanzitutto perché il CIMA si trova in un appartamento, i suoi spazi sono strutturati secondo i vari e intimi ambienti di un bellissimo e lussuoso loft, con opere d’arte anche nei corridoi e nella grande cucina. E poi perché sono gli stessi ricercatori a presentare la mostra ai visitatori, che hanno così l’opportunità di conoscere gli artisti italiani esposti attraverso la prospettiva di chi lavora e scrive su di loro.
Arte, design e la volontà di ricreare uno spazio tutto italiano sono quindi alla base della missione del CIMA, il cui scopo è quello di far conoscere gli artisti italiani moderni – prevalentemente del Novecento –dall’altro lato dell’oceano, dove spesso l’arte italiana è comunemente ricordata ed esaltata per i grandi geni del Rinascimento, a discapito però dei tanti eccellenti artisti della modernità, spesso qui sconosciuti. La scelta di Savinio corrisponde perfettamente a questo scopo. Spesso ricordato solo come fratello di de Chirico, Savinio in realtà era un grande artista di genio (per citare il titolo di un bel libro di Silvana Cirillo) e la mostra al CIMA ha il grande merito di svelare almeno una parte della sua vasta produzione ai visitatori che accorrono da New York e da tutto il mondo.
Poliedrico, unico nel suo stile – sia in letteratura che in pittura – Savinio è comunemente considerato un artista surrealista. E lo era, ma era anche tanto altro, impossibile apporre un’etichetta all’opera di Savinio: alle sue spalle c’era una vastissima formazione da autodidatta (aveva studiato musica, ma non arte), c’era una madre importante (e ingombrante, ma anche in questo caso le cose sono un po’ più complesse di così), c’erano le due guerre mondiali, c’era inoltre la sua personalissima esperienza dell’Europa - nato in Grecia, aveva vissuto in Germania e in Francia, oltre che in Italia. Noi contemporanei probabilmente abbiamo una prospettiva privilegiata per accostarci a Savinio, alla sua ironia – fondamento della sua poetica – al suo giocare con le freddure e i doppi sensi. La molteplicità dei significati, il suo desiderio di ri-nominare parole, concetti, miti e storie dell’antichità sono costanti della sua produzione. Ne sono esempio diverse opere esposte al CIMA, come il dipinto Autoritratto in forma di gufo (1936), in cui Savinio gioca col suo stesso corpo, ritraendosi con una grande mano in una posa napoleonica e la testa di un gufo. Savinio ri-scrive il suo corpo, così come fa con quello di Achille, e anche con quello della sua stessa famiglia: al CIMA quest’anno è possibile ammirare vari esempi delle famiglie ibride di Savinio, le sue madri-pellicani, madri-tacchini, e perfino genitori tramutati in mobili, come nella litografia del 1945 I miei genitori, in cui troviamo “poltronmamma” e “poltronbabbo”.
I miei genitori, 1945 Litografia, no. 22/32, 33.5 x 50.5 cm.
Collezione privata, Roma.
(c) 2017 Artists Rights Society (ARS) / SIAE, Roma.
Foto: Dario Lasagni
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E la mostra al CIMA ben spiega come negli stessi anni – tutte le opere esposte appartengono al ventennio 1926-2946 – Savinio dipinga anche soggetti completamente diversi tra loro: non solo esseri a metà tra l’umano e il bestiale, non solo miti ri-scritti, ma anche isole di giocattoli, ammassi di forme dai colori innaturali intrappolate in isole rocciose, come in Le navire perdu (1928).
Le navire perdu, 1928. Olio su tela, 81.5 x 55.5 cm. Collezione privata, Torino. (c) 2017 Artists Rights Society (ARS) / SIAE, Roma. Foto: Dario Lasagni |
Parallelamente alla mostra, il CIMA offre anche un denso programma di eventi, tra cui incontri con artisti, proiezioni e un convegno di due giorni su Alberto Savinio che si terrà ad aprile 2018. Per informazioni e prenotazioni:
Alberto Savinio
Center for Italian Modern Art
421 Broome Street, New York
in mostra fino al 23 giugno 2018
www.italianmodernart.org
Catalogo
Alberto Savinio
Testi a cura di Heather Ewing, Elena Salza e Giulia Tulino
Center for Italian Modern Art, 2017 64 pp.
25 $
Serena Alessi
@serealessi
(1) Ad esempio Maurizio Fagiolo dell'Arco, Paolo Baldacci, Fabrizia Lanza Pietromarchi (testi di), The Dioscuri: Giorgio De Chirico and Alberto Savinio in Paris, 1924-1931 (Milano: Arnoldo Mondadori, Philippe Daverio, 1987).
Bibliografia:
Alberto Savinio, Achille Innamorato (Milano: Adelphi, 1993);
Alberto Savinio, Nuova Enciclopedia (Milano: Adelphi, 1991);
Silvana Cirillo, Alberto Savinio. Le molte facce di un artista di genio (Milano: Bruno Mondadori, 1997);
Pia Vivarelli, Alberto Savinio: catalogo generale (Milano: Electa 1996).