Opus metachronicum
di Sonia Caporossi
Corrimano Edizioni,
maggio 2014
pp. 109
€
10
Ricordati i momenti trascorsi come se non dovessero mai finire, rimanda a mente come invece poi si coagulavano in attese insoddisfatte. A volte la successione di frazioni temporali come queste può risultare essere la vita di un uomo. Lo sai benissimo. Sei un malinconico, Curione. Deve venire un Seneca che tu odieresti. Sei uno che vive nel sottosuolo. Noi precursori a ritroso abbiamo salutato Dostoevskij che non saprebbe non ridere di te.
Sei una mia invenzione, Curione. Sei il personaggio di un giorno metacronico, che attraversa barriere di certezza per esplorare l'aspetto artistico di situazioni irrimediabilmente perdute nel passato. Sei il mio personaggio, che ora sta in piedi davanti a Cesare, ritto e tremante, il sesso un po' gonfio dall'emozione, consapevole di essere il punto di rottura dell'Evento e del Caso, il luogo di sublimazione dell'Atto e della Storia, il vortice di un'energheia che aspira alla catarsi assoluta.
Opus metachronicum è una
raccolta di dodici racconti. I protagonisti dei racconti sono stati
presi in prestito dalla storia, dalla letteratura e dall'arte e sono
stati reinventati da zero da parte dell'autrice Sonia Caporossi. Così
ci imbattiamo in Vincent Van Gogh che ad una sua mostra di quadri si
cava un occhio in mezzo al pubblico, in Prometeo che chiede perdono
per quanto commesso, in Dorian Gray che scrive una lettera a Oscar
Wilde, nel marito di Emma Bovary ossessionato dalla visione del
sangue che compie una strage uccidendo moglie e figlia pur di
continuare ad osservare il fluido rosso scorrere, in Pier Paolo
Pasolini che incantato da un gatto, riflette sulla propria condizione
e sulla vita e sulla morte, in Proust che accecato dall'amore per
Albertine, la sevizia in tutti i modi sino ad arrivare a tagliarle le
orecchie per poi lasciarla libera di andare via, in Stachanov che
lavora in miniera, in Jack lo Squartatore che rinviene un corpo
massacrato in un bosco e infine in Morfeo che si addormenta in treno.
La particolarità che forse vi raccapriccerà risiede in questo: il mio sommo diletto consisteva nell'osservare il sangue stillare dalle ferite. Proprio così! Amavo il sangue e la sua vista mi inebriava, cercavo con le narici di coglierne un immaginario odore, mi lambiccavo nel tentativo di percepirne microscopiche variazioni di densità, di colorazione e concentrazione del plasma. In particolare la mia attenzione si incaponiva sulle caratteristiche intrinseche al sangue umano. Adoravo la sua consistenza, più densa in alcuni soggetti, più fluida in altri; mi piaceva infinitamente il color rosso rubino del sangue di mia moglie, e le diverse tonalità che poteva assumere a seconda della salute del corpo che lo conteneva.
Tutte storie allucinanti,
riscritte e reinterpretate da Sonia Caporossi con uno stile assurdo,
tagliente, a tratti violento, denso di crude descrizioni appesantite
da lunghi passi filosofici e da termini poco usuali per il lettore.
Cento pagine oniriche e fantastiche, forzate, con una narrazione
incalzante e dura, a volte troppo crudele e diretta come le
descrizioni presenti nel racconto di Vincent Van Gogh che con il
pollice si cava un occhio, oppure come nel racconto del marito di
Emma Bovary in cui il protagonista narra con la più grande cura il
piacere che prova nel vedere il sangue scorrere, i tagli che si
procura pur di provare costantemente questo piacere sino ad arrivare
ai due omicidi di moglie e figlia. Un libro per nulla facile, non
adatto a tutti e soprattutto che avanza pretese sul lettore, sulla
sua attenzione e sulla sua cultura.
Non mancano riferimenti classici, frasi in greco, collegamenti con l'Antica Grecia e lunghi quanto prolissi passaggi filosofici che deconcentrano dal focus centrale del racconto. Un libercolo ambizioso per un lavoro di grande fantasia che si ripropone di riscrivere le storie dei protagonisti con uno stile pomposo. Difficile, violento e crudo, leggibile, ma non per tutti.
Alessandra Liscia
Non mancano riferimenti classici, frasi in greco, collegamenti con l'Antica Grecia e lunghi quanto prolissi passaggi filosofici che deconcentrano dal focus centrale del racconto. Un libercolo ambizioso per un lavoro di grande fantasia che si ripropone di riscrivere le storie dei protagonisti con uno stile pomposo. Difficile, violento e crudo, leggibile, ma non per tutti.
Alessandra Liscia