di Franco Cardini e Barbara Frale
Laterza, 2017
pp. 306
€ 20 (cartaceo)
€ 11,99 (ebook)
Lorenzo De Medici? Un uomo del suo tempo: la sua scomparsa è da collocarsi proprio nel fantomatico 1492, tradizionalmente ricordato per la scoperta dell'America, nonché spartiacque tra Medioevo ed Età Moderna. Il signore di Firenze è così: abile come un uomo faber ipsius fortunae, secondo i dettami rinascimentali; però è legato a cerimonie e valori che molto hanno ancora di cavalleresco. Il celebre Medici si trova in equilibrio precario per mantenere il potere, benché la vulgata (da Guicciardini in poi) colleghi Lorenzo al soprannome di "ago della bilancia". Firenze non è facile da governare: mal tollera un potere che prende nome di tirannide o monarchia; vuole difendere la propria "libertà repubblicana" e pertanto tollera il potere mediceo grazie a sapienti e macchinosi conti di Lorenzo e della famiglia per restare al potere (e conquistarne sempre di più). Panem et circenses: era la soluzione adottata da Cosimo il Vecchio e da Piero, e in effetti anche Lorenzo sembra riproporre in pompa magna celebrazioni, sfide, giostre. La magnificenza di Firenze, anzitutto; quella dei Medici, poi, fintamente contenuta.
Proprio nei fasti di una enorme celebrazione si apre il saggio di Cardini e Frale, da poco uscito per Laterza: nel 1459 un Lorenzo decenne accoglie Galeazzo Maria Sforza, duca di Milano, per cui è stata organizzata una "armeggeria" spettacolare, cioè un virtuosismo tecnico dell'uso del cavallo e delle armi, senza particolari rischi. Un'esibizione, insomma, per accogliere Galeazzo Maria e rinsaldare i rapporti tra Firenze e Milano. Lì, il debutto in società di Lorenzo, che si mostra a proprio agio in pubblico, nel suo ruolo di signore. Già allora, in quelle giornate di straordinaria opulenza e accoglienza incredibile, si possono però riconoscere subbugli e fermento: Firenze non è mai calma, sembrano suggerire i due autori del saggio, e mantenere la facciata quieta è risultato di grande sapienza da parte dei signori.
Infatti, poco dopo il passaggio di consegne da Cosimo il Vecchio a Piero, il malcontento dilaga e in breve si prepara una congiura: destinata al fallimento, ma ugualmente angosciante per la famiglia al potere. L'obiettivo di cui parlano le fonti era quello di assassinare Piero. Inevitabile, dunque lo spettro della paura che si dissemina in città:
«dopo i fatti dell'estate del 1466, questo stato di cose non poteva che aggravarsi, le tensioni crescere, i rancori moltiplicarsi, nonostante la fitta rete di amici e d'informatori che casa Medici aveva tessuto in tutta la città e fuori da essa, e che peraltro subiva continui strappi, continue smagliature» (p. 51).
Dunque, che fare? Rafforzare ancor di più le alleanze, e per far questo il modo migliore è ricorrere a un matrimonio che unisca Lorenzo a una casata importante. Poco conta che lui si sia incapricciato di un amore passionale (per qualcuno solo platonico, ma le fonti sembrano smentire) per Lucrezia figlia di Manno Donati. La scelta della madre di Lorenzo cade su Clarice Orsini, esponente di una delle famiglie più in vista a Roma, «per evidenti motivi di prestigio e di prossimità alla Santa Sede» (p. 70). Lorenzo, a Roma per una missione diplomatica complessa, trova il tempo per incontrare Clarice e approva l'unione, che sarà celebrata alla fine del 1468. Sinceri, parrebbero i rapporti che legano Lorenzo e Clarice, come dimostrano con grande garbo i riferimenti scelti dagli autori del saggio: se mai ci sono stati tradimenti, questi sono stati di poco conto, perché mai riportati dalle fonti; si sa, invece, che Clarice ha avuto ben dieci figli da Lorenzo e che l'uomo ha sofferto moltissimo per la morte della moglie, nel 1488.
Ma ecco che l'unione agli Orsini e i personali piani di espansione fanno Lorenzo meno cauto: il mecenatismo, le tante costruzioni a nome dei Medici, i legami con personaggi sempre più illustri non fanno che mettere il signore di Firenze al centro di numerose chiacchiere e al centro dell'invidia. Alla morte di Piero nel 1469, Lorenzo deve subito pensare a importanti equilibri nei rapporti esteri, ma con il Papa è complesso non entrare in conflitto. In breve tempo,
«il profilo repubblicano di Firenze stava dunque diventando più esile, mentre aumentava in modo vistoso l'ingerenza della famiglia medicea in generale, dell'arbitrio laurenziano in particolare: si assisté addirittura ad episodi "tirannici", privi in realtà di gravi conseguenze ma comunque capacità d'inquinare la percezione che i maggiorenti cittadini avevano del loro leader» (p. 127).
Ed è qui che il saggio ha una necessaria virata che allontana dalla biografia tour-court di Lorenzo, per occuparsi dell'intrico di alleanze, patti, affari: ne emerge un complicato insieme di giochi di potere, spesso pericolosi (e forse il signore mediceo non era pienamente conscio dei rischi che stava correndo). Mentre Cardini e Frale tracciano le minacce fondamentali che mettono a dura prova Lorenzo, in alternanza compaiono i poteri acquisiti sempre più dalla famiglia dei Pazzi. Tutti ricordano che sono stati proprio loro gli artefici della celebre congiura del 1478, che prende appunto il nome di "congiura dei Pazzi", ma pochi sanno l'odio, il rancore, l'invidia che tante famiglie provavano per i Medici prima di questo scoppio di violenza inaudito.
Sulla progettazione e sulla realizzazione della congiura il saggio di Cardini e Frale ha un necessario rallentamento, per focalizzare al meglio sui sanguinosi giorni avversi ai Medici e sulla successiva vendetta, spietata tanto a caldo quanto negli anni successivi. Anche se dodici sono stati gli esecutori materiali, moltissimi sono i cittadini implicati (o presunti tali) che saranno puniti con l'impiccagione pubblica, in strada. L'obiettivo della congiura, in cui il Giuliano, fratello di Lorenzo, e Noli, un amico di famiglia, sono rimasti uccisi? Probabilmente tornare a quella "libertà repubblicana" tanto agognata e difesa, cancellando lo strapotere dei Medici; non è poi da escludere che i Pazzi sperassero di prendere il posto dei signori precedenti.
Facendo utilissimi riferimenti alle fonti, ma con estrema elasticità, senza mai restare schiacciati dal citazionismo, ma dimostrando, anzi, che rifarsi alle fonti può vivacizzare il dettato, La congiura è un ottimo saggio per avvicinarsi a quel periodo che un po' troppo sbrigativamente si è definito "età dell'equilibrio". Quanto di machiavellico c'è già in Lorenzo De Medici, eppure quanto ancora di medievale! Approccio sempre cauto nell'interpretare i fatti più personali e spesso ironico nell'usare l'apparato di note (peraltro utilissime per approfondimenti successivi), il saggio di Cardini e Frale non è solo accurato; è piacevole come una delle tante giostre medicee.
GMGhioni