Chiamami col tuo nome, ed io ti chiamerò col mio.
Un nome che sicuramente sentiremo chiamare, invano o meno, è quello di Luca Guadagnino, che col suo ultimo film Chiamami col tuo nome (Call me by your name, in questi giorni nelle sale italiane) confeziona un piccolo gioiello, nominato agli Oscar 2018 come miglior film, miglior canzone originale, migliore sceneggiatura non originale e miglior attore.
E sono candidature che colpiscono a segno nei quattro punti di forza (più uno, secondo me, la fotografia, del thailandese Sayombhu Mukdeeprom, già collaboratore di Guadagnino e, per i cinematografari più sfegatati di Apichatpong Weerasethakul, Palma d’oro a Cannes 2010 con Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti) di un film che è un distillato di umori dolcissimi.
La storia è quella, tenerissima e sfibrante, di un amore estivo. Il primo, per Elio (interpretato da un Timothée Chalamet meritevolissimo della candidatura a miglior attore protagonista). Sbocciato, succoso come una pesca, denso e travolgente, nell'apatia di giorni languidi e soleggiati trascorsi nella residenza estiva, una villa di campagna immersa nella campagna cremasca, della famiglia Perlman e dal suo entourage di vecchi amici e servitori, nell'estate del 1983.
[Le vacanze dell'83 sembravano sintetiche, lo scrivi sì lo scrivi o no il tuo romanzo erotico?]
Mr Pearlman (Michael Stuhlbarg), padre di Elio, è un professore universitario, che ogni anno ospita un suo allievo in famiglia per lavorare sulla tesi di dottorato. Quest'anno è la volta del giovane adone Oliver (Armie Hammer), un ventiquattrenne disinvolto e sprezzante, biondo e bello da impallidire e sicuro di sé fino all'arroganza.
Elio ne resta travolto, affascinato e attonito dallo stesso sentimento delicatissimo eppure così fisico che si fa strada sempre più chiaramente, fra una nuotata e una partita a pallavolo, nel languore della canicola.
Una gioventù dorata dal sole di agosto, immersa in una new wave anni Ottanta che è quasi nouvelle vague.
La sceneggiatura, in gara come miglior sceneggiatura non originale, è tratta dal romanzo omonimo di André Aciman edito in Italia da Guanda: rimaneggiata da James Ivory e poi da Guadagnino, è distillata e resa eterea dalla volontà dello stesso regista di non farne un film “scandaloso” (molto lontano in questo senso dalla Vie d'Adèle di Kechiche, col quale ha in comune solo il tema di un amore omosessuale), ma al contrario di rendere lo struggimento amoroso e la bellezza del desiderio con una storia empatica, «che riguarda la trasmissione del sapere e la possibilità di vedersi nello sguardo dell'altro in questa società così atomizzata e arrabbiata».
Ogni storia d'amore, e più di tutto quelle estive, e sopra ogni altra una come questa, ha bisogno di una colonna sonora che si rispetti.
Che il regista affida non solo al genio di Sufjan Stevens (che a ragione vede candidata la struggente Mistery of love come miglior canzone originale) ma anche a una sottotrama anni '80 che include Moroder e gli Psychedelic Furs, Battiato e Berté, ma anche Bach.
Per quanto mi riguarda, non è solo “una colonna sonora che si rispetti”; questa è una colonna sonora che si continua a riascoltare in loop nei tre giorni successivi alla consumazione del rituale filmico.
[Estate, che ha dato il suo profumo ad ogni fiore, l' estate che ha creato il nostro amore, per farmi poi morire di dolor]
Luci abbaglianti e notturni chiaroscuri, sintetizzatori e grilli, strade deserte e natura complice e rovente, rapporti (e muscoli) tesi e amori di contrasto erano già cifra dei film precedenti di Guadagnino, Io sono l'amore (2009) e A bigger splash (2015): Chiamami col tuo nome è ideale chiusura di una "trilogia del desiderio".
Ma se ai precedenti mancava forse una spinta finale, uno scioglimento (parlo anche e soprattutto di quello a livello di dotti lacrimali) e una catarsi, qui la parabola è compiuta e risolta dallo squillare di un telefono.
No spoiler, promesso.
Un amore adolescenziale che è scoperta di sé e scoperta dell'altro, pieno di nervosismo ed euforia, di struggimento romantico, poetico e amaro, tratteggiato benissimo, interpretato benissimo, veicolato benissimo allo spettatore, che assiste incantato al miracolo di una breve fioritura, strabiliante ed effimera.
«Chiamami col tuo nome, Elio, ed io ti chiamerò col mio», si dicono all'orecchio i due amanti in un gioco che è più vero di qualunque promessa.
Perché gli amori estivi, si sa, durano il tempo che durano ma, come ci insegna qualunque film che si rispetti a partire da Grease, ah! quelle notti d'estate...