di Maria Serena Mazzi
Il Mulino, 2017
pp. 182
€ 14 (cartaceo)
Quale forma di ribellione è concessa alle donne nel Medioevo? Stando alle regole di comportamento, la ribellione non era neanche contemplata: la donna doveva essere remissiva e obbediente, pronta a passare dalla famiglia d'origine a quella del marito, dove si trovava a essere a disposizione dei desideri del consorte, sollecita e attenta nella cura dei figli, spesso chiusa in casa per non essere indotta in tentazione, devota alla Chiesa. Se non spose, le donne potevano dedicarsi alla preghiera nei conventi o appartenere alla parte più disagiata della società (prostitute, serve-schiave). In ogni caso, non c'era spazio per le emozioni, per la libera scelta o per l'autonomia decisionale: molte erano le donne costrette a sottostare a queste regole, ma non tutte ce l'hanno fatta. E la via per la ribellione l'hanno trovata, anche se con esiti diversissimi, come scopriamo leggendo il recente saggio di Maria Serena Mazzi, Donne in fuga (Il Mulino).
È difficile che una donna in fuga riuscisse a salvarsi, a cominciare dal fatto che una donna sola destava molte perplessità e la notizia di una viaggiatrice solitaria si diffondeva a macchia d'olio nelle città. La famiglia d'origine spesso non era un rifugio affidabile: non sono pochi i casi di ragazze rispedite alla prigione del matrimonio, qualsiasi fossero le vessazioni e le violenze subite. Talvolta la Chiesa e i voti salvavano, ma non sempre.
Insomma, non c'era luogo sicuro per una donna sola: questo emerge chiaramente dalle tante storie di vita che Mazzi riprende da fonti varie (tutte accuratamente documentate): spesso la donna veniva "riacciuffata" e costretta a tornare presso la casa del marito. Poco contava che questo la maltrattasse, ancor meno contava che la donna non amasse il consorte o che desiderasse riacquistare la propria autonomia. Il divorzio era raro, soprattutto se richiesto da una donna: nei casi portati da Mazzi è possibile assistere ad alcuni divorzi andati a buon fine e a molti altri caduti nel vuoto; la donna non aveva tutele: «Non era frequente che l'iniziativa provenisse dalla donna né che costei perseverasse nel proposito con tanta determinazione, senza farsi intimidire, senza arrendersi» (p. 49). Il più delle volte, la ragazza veniva costretta a rientrare nella sua famiglia, qualunque fosse stato il tipo di fuga che aveva cercato di realizzare:
Fughe brevi o finite male, dettate dall'insoddisfazione, dalla fatica di vivere, da unioni infelici, concluse anche queste sotto la penuria di mezzi, come se una ragazza fosse un bene da vendere o da scambiare fra persone prive di risorse. Con l'aiuto di qualcuno, un uomo giovane spesso, di bell'aspetto, a volte un simulatore abile, un'interruzione dell'opacità dell'esistenza, e poi un esito sfortunato. Tornare indietro con il peso addosso della fuga o arrestarsi in un luogo peggiore, in una condizione peggiore, irreversibile quasi sempre. (p. 82)
E questo destino di matrimoni d'interesse, svincolati dall'amore ma sempre imputabili a interessi di famiglia, s'infittisce e diventa sempre più complesso più la ragazza è nobile. Ecco che allora, oltre a essere madre e sposa, ci si aspettava decoro, unito alla conoscenza delle regole dell'alta società, alla capacità di intrattenere gli ospiti altolocati,... Insomma, più la gabbia era dorata, più la donna aveva poche possibilità di sottrarsi ai suoi doveri.
Una possibile via di fuga dall'esito alterno ma certamente più positivo era offerta dalla Chiesa anche se non era così semplice per le mistiche o visionarie, talvolta graziate perché «la parola lecita della donna è tale perché le viene d'altrove, cioè da Dio, è comandata» (p. 33), talaltra tacciate di blasfemia, di stregoneria o di eresia, né alle predicatrici, spesso uccise per le loro idee anti-cattoliche. Il convento, al contrario, proteggeva tante anime di donne: qualche volta la ragazza destinata a un matrimonio deciso dalle famiglie otteneva di rinunciare al suo compito dichiarandosi sposa di Dio, dopo voti irrevocabili, poiché «né la legge, né l'autorità paterna, né gli accordi privati stipulati varranno di fronte a un potere supremo, il potere divino» (p. 77).
Allora non era raro che la fanciulla scegliesse luoghi di ritiro totale dalla società, e che preferisse la reclusione alla possibilità, anche minima, di essere sottratta al suo destino per tornare in una famiglia. D'altra parte, solo alla fine del Quattrocento si sarebbero diffuse case di soccorso per le donne in difficoltà!
Escluse da qualsiasi possibilità di riscatto erano invece le serve, ridotte in simil-schiavitù e costrette spesso a subire le avance e le violenze da parte dei padroni; allo stesso modo, le prostitute erano sempre inserite in un sistema di controllo statale rigido che permetteva ai tenutari e protettori di riprodurre in modo distorto lo stesso rapporto tra moglie e marito.
Intessuto di moltissime storie, questo studio di Maria Serena Mazzi ha il pregio di non soffermarsi su teorie peraltro piuttosto note, ma di verificarle e indagarle in un percorso di vite vere. Il pathos è evidente, così come il trasporto e la partecipazione dell'autrice: è giusto questo in un saggio? Difficile a dirsi, di certo non comune nell'ambito accademico; ma certamente è apprezzabile lo sforzo di rendere vicine vite lontane secoli e secoli, senza mai dimenticare che le donne hanno ancora bisogno di fuga. Da altre prigioni, certo, ma non mancano regole e ruoli claustrofobici in cui è rischioso calarsi passivamente.
GMGhioni
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