La bruttina stagionata
di Carmen Covito
Bompiani, 2017 (1992)
pp. 272
€ 12
«Nella nostra società essere povera, brutta e per giunta intelligente condanna a percorsi cupi e disillusi a cui è meglio abituarsi quanto prima. Alla bellezza si perdona tutto, persino la volgarità. E l'intelligenza non sembra più una giusta compensazione delle cose, una sorta di riequilibrio che la natura offre ai figli meno privilegiati, ma solo un superfluo gingillo che aumenta il valore del gioiello. La bruttezza, invece, di per sé è sempre colpevole, e io ero già votata a quel tragico destino, reso ancora più doloroso se si pensa che non ero affatto stupida.»(L'eleganza del riccio, Muriel Barbery)
In una società dominata dall'idea della bellezza femminile come valore di scambio, essere brutte, o peggio bruttine*, è una sorta di peccato mortale.
Che va scontato con dignità, pudore e la giusta dose di autocommiserazione (e gatti, per le intenditrici).
Perché se sei brutta, come ci tengono a ricordare le tue amiche belle, magari però sei intelligente. Sei simpatica. È davvero un peccato che tu non abbia nessuno. Ma guai a te se ti trovi un uomo. Perché che una brutta rimanga "a secco" è ormai un fatto culturale non solo accettato, ma anche quasi una questione di principio.
(*Anche se, come fa notare la Aspesi nella sagace prefazione, oggi di donne "bruttine" nel senso in cui viene usata qui la parola, non ce ne sono più, per comodità lasciamo libera interpretazione.)
Carmen Covito gioca su questo consolidato preconcetto e lo fa a pezzi ne La bruttina stagionata, libro uscito già nel 1992 e abilmente ripubblicato ora da Bompiani.
Oggi, in quest'epoca di single rampanti (beh, più o meno), la storia di una quarantenne bruttina, non particolarmente realizzata e senza nessuna ambizione apparente è un sorso d'acqua fresca.
Marilina Labruna, questa sorella Materassi emancipatissima e sagace, alle cougar fa – mi si permetta – un gran gesto dell'ombrello.
E ci consegna una storia in cui finalmente il femminismo (che rimane, grazie al cielo!, sottotraccia) non è stucchevole, il woman power non viene mai citato neanche una volta, l'orgoglio della donna alfa non esiste all'orizzonte.
Marilina è una donna senza grandi qualità che invece che macerarsi nell'autocommiserazione si dà da fare come può, facendosi ammirevolmente i cazzi suoi, senza bisogno di dimostrare (e in realtà dimostrandolo) che si può pure vivere benissimo senza la retorica del Sex and the City.
Facendo, per la cronaca, alla fine un sacco di Sex e spassandosela alla periferia di una City, Milano, guardata da un'angolatura periferica, nella totale, confortante!, assenza di glamour.
E, sempre per la cronaca, alla fine di toy boy ne avrà ben due, e l'imbarazzo (quello sì, tanto) della scelta.
La bruttina stagionata è un libro pieno di vissuto, narrato con disincanto, leggerezza e un'abilità purtroppo rara nelle donne, il senso dell'umorismo.
[Alert: da questa parte in poi le donne di cui sopra possono anche smettere di leggere.]
Umorismo che non è autocompiaciuto, gattamortesco, da risolino stridulo.
Quello che qualche amico maschio, non senza una punta di misoginia (ma si può dire che la misoginia a volte è molto divertente?), direbbe essere tipico delle donne brutte.
Perché che le donne belle vadano lasciate agli uomini senza fantasia (la citazione è furbescamente in esergo) lo diceva Proust, al quale probabilmente non piacevano le donne.
Tuttavia la donna brutta, sempre per quell'amico maschio, in quanto brutta ha smesso di porsi il problema di come piacere a un uomo, non si pensa in termini di femmina, ma di essere umano dotato di raziocinio, totalmente paritario all'uomo e non più in competizione per la lotta all'accaparramento dell'attenzione dell'alloccone di turno.
E alla fine, divertente e divertita, diventa piacente, o quantomeno piacevole.
«Questo romanzo ha restituito a milioni di donne insignificanti, che faticano a crearsi la felicità che pretendono, che nascondono il tumulto delle loro passioni per orgoglio o per paura, il senso dei loro diritti: siate bruttine e stagionate, e fregatevene.»(Natalia Aspesi)
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