La New Woman nella letteratura vittoriana
di Debora Lambruschini
Edizioni Flower-ed, 2017
pp. 200
€ 15,00 (cartaceo)
€ 7,99 (e-book)
Se l'Ottocento ha rappresentato l'epoca dei grandi romanzi (tra le altre) di Jane Austen e delle sorelle Brontë, al termine della stagione vittoriana la narrativa inglese dovette confrontarsi col problema di trovare delle nuove forme di letteratura che riuscissero a esprimere i cambiamenti del mondo circostante e che fossero in grado di raccontare la modernità.
Nel bel saggio di Debora Lambruschini, "La New Woman nella letteratura vittoriana" (Edizioni Flower-ed, 2017), assistiamo allo sviluppo in Inghilterra della short story, un nuovo canone di letteratura che negli anni '80 e '90 dell'Ottocento si libera degli argini in cui era costretto il romanzo vittoriano permettendo agli autori e alle autrici di sperimentare sia dal punto di vista linguistico che tematico.
A proposito dell'ispirazione che l'ha guidata nella stesura di questo lavoro, Debora ci riferisce:
A proposito dell'ispirazione che l'ha guidata nella stesura di questo lavoro, Debora ci riferisce:
Per molto tempo mi sono dedicata principalmente al romanzo, dai classici alla letteratura contemporanea, sempre con un particolare interesse nei confronti della narrativa inglese e nord americana. La "scoperta" della forma breve deriva, quindi, da questo background di letture e studi: i grandi maestri del racconto, Carver, Munro, Hemingway, Poe, Salinger, Lucia Berlin, Eudora Welty, solo per citarne alcuni, mi hanno accompagnata dentro il mondo del racconto, una modalità narrativa che nel tempo mi ha sempre più appassionata. Nel corso del biennio magistrale, inoltre, come anglista mi sono imbattuta nella narrativa breve dell'età vittoriana e modernista, una produzione molto interessante e variegata, per lungo tempo subordinata al novel, genere egemone. Insieme al mio relatore per la tesi, la Prof.ssa Villa, ho scelto di concentrarmi sulla produzione letteraria inglese di fine Ottocento, un periodo di transizione, teso tra tradizione e modernità, in cui la short story diviene il mezzo espressivo ideale per cogliere il senso di transitorietà che caratterizza l'epoca.
Il saggio è nato come tesi di laurea specialistica in Letterature e civiltà moderne (intitolata "La short story di fine Ottocento: donne e modernità"), e si propone l'intento di approfondire il contributo che alla short story diedero quattro scrittrici particolarmente attive in quegli anni: Sarah Grand, George Egerton, Mona Caird, Ella D'Arcy.
Queste autrici prestarono particolare attenzione alla Woman Question e vollero approfondire una forma di narrazione che potesse dare il giusto risalto ai nuovi ideali femminili incarnati dalla New Woman.
Perché siano state privilegiate proprio le artiste sopra menzionate ce lo spiega Debora:
Perché siano state privilegiate proprio le artiste sopra menzionate ce lo spiega Debora:
La scelta di concentrarmi su queste quattro autrici deriva innanzitutto dal desiderio di inserirsi nello specifico campo di studi inaugurato dalla critica femminista del secondo Novecento, impegnata a rivalutare il significativo apporto delle scrittrici nello sviluppo e nel consolidamento della short story come genere affrancato dal romanzo; Egerton, Caird, Grand, D'Arcy, ognuna con le proprie peculiarità, hanno contribuito alla definizione della forma breve, spingendosi ad un grado di sperimentazione formale e tematico che non sarebbe stato possibile per il romanzo vittoriano. Ciò che ho trovato particolarmente interessante, inoltre, è il dialogo ancora aperto con la contemporaneità: tematiche, spunti, modalità espressive, risultano infatti ancora oggi molto attuali.
Per comprendere appieno il punto di vista di queste scrittrici, però, è doveroso prima concentrarsi sullo scenario storico nel quale le stesse si trovarono ad operare.
Debora, infatti, dedica un capitolo della sua opera all'approfondimento della storia del tempo, un'epoca in cui si ebbe una industrializzazione e un allargamento dell'elettorato, ma anche delle forti tensioni sociali.
Molto importante fu l'Elementary Education Act (1870), grazie al quale vi fu un deciso incremento del numero e della tipologia dei lettori, ma anche una voglia di maggiore indipendenza ed autonomia da parte della donna: infatti, all'angelo del focolare tanto decantato dalla letteratura di stampo vittoriano, si contrapposero le figure della femme fatale e della New Woman.
Quest'ultima era una donna istruita e emancipata che per la prima volta metteva in discussione il matrimonio, la maternità ed il desiderio di preservarne l'innocenza che spesso celava quello di lasciarla nell'ignoranza.
In seguito all'inquadramento storico e sociale, il saggio prosegue con la descrizione della New Woman fiction, ove la gran parte delle volte le autrici sceglievano di non celarsi più dietro pseudonimi maschili.
Perché si scelse proprio la forma del racconto breve? Secondo Edgar Allan Poe si avvertiva la necessità di leggere e concludere in due ore al massimo la story per fruirne ed interpretarla velocemente e nella sua totalità.
Inoltre, se da una parte in questi brevi racconti la trama si fece attenta all'ordinario ed alle questioni sociali e culturali, le scrittrici scelsero comunque di non rinunciare alle ambizioni estetiche della narrazione.
Passando ad un'analisi delle scrittrici studiate in questo saggio, di Sarah Grand possiamo dire che fu proprio lei a coniare il termine New Woman per indicare un nuovo modello di donna, una donna che si schiera decisamente contro i matrimoni oppressivi, privi di amore, una donna che chiede a gran voce la possibilità di avere un'istruzione che sia pari a quella degli uomini. Quest'ultimo punto, in particolare, rivestiva grande importanza anche nel rapporto coniugale, perché la Grand reputava che la mancanza di parità tra marito e moglie e l'ignoranza delle giovani spose aumentassero le probabilità di fallimento dell'unione matrimoniale.
George Egerton, pseudonimo dietro al quale si cela Mary Chavelita Dunne Bright, fu autrice di racconti nei quali non è la trama l'elemento di maggior rilievo bensì la rappresentazione psicologica dei personaggi: assistiamo al dispiegarsi di opere nelle quali lo stile era assai introspettivo, il finale rimaneva aperto e venivano trattate tematiche inedite per il tempo, quale la rappresentazione del desiderio sessuale femminile.
La Egerton, in particolare, si mostrava attenta al tema della maternità al di fuori del matrimonio, contrastando la morale e le leggi dell'epoca; inoltre, l'autrice non giudicava le protagoniste femminili delle sue storie e, se lo faceva, reputava che l'accusa andasse mossa nei confronti della società e del pensiero dell'epoca, che avviliva le donne in nome di una morale assai severa.
Proseguendo nell'analisi delle autrici trattate da Debora, incontriamo Mona Caird, la quale riteva che il matrimonio fosse il mezzo privilegiato per il genere maschile per spogliare le donne di molti dei loro diritti fondamentali. Per contrastare il potere del sesso forte, la Caird auspicava un'autonomia economica della donna anche prima dell'unione coniugale, di modo che il sacramento non fosse considerato il mezzo ultimo ed estremo per sopravvivere. Ancora, seppure tra uomini e donne vi fossero differenze biologiche, non dovevano essere queste ad individuare sia la posizione sociale degli uni e delle altre, che i diritti e i doveri delle persone, concetto ai giorni d'oggi piuttosto banale, ma assai rivoluzionario per l'epoca.
L'ultima scrittrice della quale veniamo a conoscenza è Ella D'Arcy, la quale nelle sue storie impiegava un punto di vista maschile e approfondiva con realismo gli aspetti della società a lei contemporanea, oltre ad affrontare un'indagine psicologica dei personaggi che in alcuni casi si imponeva sulla trama. Anche per lei spesso la poca istruzione delle donne faceva desiderare a queste ultime solamente una "sistemazione" che poteva avverarsi per mezzo del matrimonio, ed anche questa autrice rifiutava il tradizionale happy ending vittoriano per una più realistica short story.
Per avviarci alla conclusione di queste considerazioni sul bel saggio di Debora Lambruschini, non possiamo fare a meno di valutare che, a dispetto del fatto che i temi trattati dalle autrici che hanno scelto la short story abbiano dato un contributo importantissimo alla letteratura ed ancora oggi stupiscono per la grande modernità, la critica ha rivalutato le loro opere solo di recente, perché in precedenza gli ultimi decenni dell'Ottocento sono stati considerati un semplice ponte tra l'epoca Vittoriana ed il primo Novecento, alla stregua di un'età di transizione priva di una sua propria specificità.
Se poi per lungo tempo la short story è stata reputata subordinata al romanzo, è soltanto grazie al fondamentale apporto della critica femminista del secondo Novecento che è stato possibile riportare alla luce la produzione letteraria avutasi negli ultimi decenni dell'Ottocento e, in particolare, la forma breve.
A questo proposito Debora ci ha detto:
Ilaria Pocaforza
La Egerton, in particolare, si mostrava attenta al tema della maternità al di fuori del matrimonio, contrastando la morale e le leggi dell'epoca; inoltre, l'autrice non giudicava le protagoniste femminili delle sue storie e, se lo faceva, reputava che l'accusa andasse mossa nei confronti della società e del pensiero dell'epoca, che avviliva le donne in nome di una morale assai severa.
Proseguendo nell'analisi delle autrici trattate da Debora, incontriamo Mona Caird, la quale riteva che il matrimonio fosse il mezzo privilegiato per il genere maschile per spogliare le donne di molti dei loro diritti fondamentali. Per contrastare il potere del sesso forte, la Caird auspicava un'autonomia economica della donna anche prima dell'unione coniugale, di modo che il sacramento non fosse considerato il mezzo ultimo ed estremo per sopravvivere. Ancora, seppure tra uomini e donne vi fossero differenze biologiche, non dovevano essere queste ad individuare sia la posizione sociale degli uni e delle altre, che i diritti e i doveri delle persone, concetto ai giorni d'oggi piuttosto banale, ma assai rivoluzionario per l'epoca.
L'ultima scrittrice della quale veniamo a conoscenza è Ella D'Arcy, la quale nelle sue storie impiegava un punto di vista maschile e approfondiva con realismo gli aspetti della società a lei contemporanea, oltre ad affrontare un'indagine psicologica dei personaggi che in alcuni casi si imponeva sulla trama. Anche per lei spesso la poca istruzione delle donne faceva desiderare a queste ultime solamente una "sistemazione" che poteva avverarsi per mezzo del matrimonio, ed anche questa autrice rifiutava il tradizionale happy ending vittoriano per una più realistica short story.
Per avviarci alla conclusione di queste considerazioni sul bel saggio di Debora Lambruschini, non possiamo fare a meno di valutare che, a dispetto del fatto che i temi trattati dalle autrici che hanno scelto la short story abbiano dato un contributo importantissimo alla letteratura ed ancora oggi stupiscono per la grande modernità, la critica ha rivalutato le loro opere solo di recente, perché in precedenza gli ultimi decenni dell'Ottocento sono stati considerati un semplice ponte tra l'epoca Vittoriana ed il primo Novecento, alla stregua di un'età di transizione priva di una sua propria specificità.
Se poi per lungo tempo la short story è stata reputata subordinata al romanzo, è soltanto grazie al fondamentale apporto della critica femminista del secondo Novecento che è stato possibile riportare alla luce la produzione letteraria avutasi negli ultimi decenni dell'Ottocento e, in particolare, la forma breve.
A questo proposito Debora ci ha detto:
la questione è complessa e al centro di una riflessione critica di cui negli ultimi tempi si sta molto discutendo anche nel panorama nazionale: in generale non direi che la short story sia ancora subordinata al novel, non come forma letteraria almeno. Il problema, soprattutto, nel contesto italiano, è un pregiudizio di fondo che talvolta sembra penalizzare il racconto, visto come forma espressiva "minore" rispetto al romanzo. Personalmente credo invece che scrivere e leggere racconti sia più complesso, per il carattere stesso di frammentarietà di questa forma e lo sforzo richiesto al lettore di andare oltre la superficie, immaginando gli spazi vuoti lasciati dalla narrazione. Un tema su cui editori, critici e lettori si stanno confrontando, cercando di indagare da punti di vista differenti ragioni e possibili soluzioni per superare il pregiudizio intorno alla forma breve.Da quanto espresso da Debora e dall'analisi che abbiamo condotto fin qui sulla sua opera, una considerazione emerge in tutta la sua chiarezza: ci domandiamo se i racconti siano da reputarsi ancora oggi inferiori rispetto al romanzo, ma forse la conquista più grande di queste femministe ante litteram non può ridursi solamente all'aver mutato radicalmente il modo di approcciarsi alla letteratura, ma anche all'aver sollevato quella cortina di perbenismo che aveva caratterizzato l'età Vittoriana, risvegliando le coscienze collettive e gettando le fondamenta per quelle battaglie che le donne avrebbero affrontato nel Novecento e che ancora oggi, seppur sotto altre forme, sono costrette ad affrontare quotidianamente.
Ilaria Pocaforza