di Antonella Lattanzi
Mondadori, 2017
pp 252
€ 18 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Vito e Carla si sono sempre amati, di un amore tossico, fatto di non detti e di violenze.
Si separano, ma per il compleanno della loro figlia più piccola si ritrovano a cena. Tutto sembra essere “normale”, poi però Vito scompare. Il romanzo parte da questo punto e si snoda come un noir, in una Roma calda e desolante, una città che è lo sfondo di una situazione che potrebbe anche essere la cronaca dei giorni nostri.
La storia è costruita quasi come una sceneggiatura, nella quale l’evento è un pretesto per scoprire le ossessioni delle persone, i vissuti, i pensieri e le azioni. E nella letteratura, come nella vita, il lettore si rende conto che tutte le persone possono avere zone d’ombra, quasi un doppio. L’ambiente si fa personaggio, le descrizioni (dalla pioggia al volo di gabbiani) diventano un tutt’uno con il sentire dei protagonisti.
I dialoghi ben costruiti danno ritmo e conducono il lettore per mano nell’evolversi della storia.
Le vicende, passate e presenti dei protagonisti, permettono di entrare nella mente di Vito e di Carla. I meccanismi psicologici nei quali si trovano incastrati, come sabbie mobili, sfumano gli aspetti negativi e fanno riflettere il lettore sul fatto di cosa davvero sia giusto fare.
Il tema della violenza, centrale in questo romanzo, non è mai stato attuale come in questo periodo, partendo dal caso Weinstein fino alla lettera-dichiarazione delle donne del cinema italiano e delle giornaliste del nostro Paese. Abbiamo così pensato di intervistare Antonella Lattanzi su questo tema e non solo. Ed ecco la nostra intervista.
Come sei arrivata a scrivere di violenza?
“Mi interessano da sempre temi che non riguardano la mia autobiografia, ma situazioni che hanno a che fare con il mondo. Sono da sempre un’appassionata di “Un giorno in pretura”, perché rappresenta una lente mediante la quale guardare la realtà che non viene raccontata dai giornali. Attraverso una storia nera si possono mettere meglio in evidenza gli aspetti che caratterizzano la società e i rapporti tra le persone”.
A proposito di violenza e di donne, quali sono a tuo avviso le maggiori discrepanze di trattamento tra il genere maschile e femminile?
“Certamente in tutti gli ambiti lavorativi le donne sono pagate meno e non hanno i ruoli di potere occupati dagli uomini. Inoltre la gravidanza è sempre meno un diritto perché, con contratti a termine e precarietà, si finisce per dover fare una scelta. In ambito letterario, le donne sono sempre meno considerate ed etichettate come scrittrici di generi più rosa. La mia esperienza mi ha anche portato a concludere che gli uomini raramente leggono libri scritti da donne, mentre il contrario è la normalità”.
Ti è capitato personalmente di esser trattata diversamente rispetto ad un uomo?
“Non mi sembra con certezza, però qualche uomo mi ha detto che mi legge perché non scrivo come una donna, e questo è emblematico”.
Il romanzo si svolge a Roma, una grande città: come mai questo tipo di ambientazione?
“A Roma vivo da 20 anni e la conosco molto bene. In una grande città credo ci sia più solitudine, meno reti di protezione che si possono, invece, trovare nei piccoli centri. E poi volevo una città che non fosse la tipica città del nord e nemmeno il profondo sud, insomma una via di mezzo”.
Nel romanzo non c’è il giusto o lo sbagliato; avendo anche fatto ricerche, cosa pensi che si celi dietro a una storia di violenza?
“La violenza non ha un genere, ci può essere anche nei confronti degli uomini. Certo, se è fisica l’uomo ha la meglio, ma sono molto diffuse anche le pressioni psicologiche che possono essere verso un uomo. In ogni caso, nasce da una concezione sbagliata dell’amore e spesso la situazione culturale e familiare nella quale si cresce è determinante. Se c’è equilibrio emotivo e sicurezza verso se stessi, non si crea terreno fertile per le violenze”.
Come sei arrivata alla storia? Avevi già la trama in testa oppure si è fatta strada man mano?
“Volevo scrivere di un personaggio che all’inizio era buono, poi cattivo e poi lasciare al lettore decidere se buono o cattivo. Temevo che non fosse però totalmente credibile. Così ho fatto uno schema, una scaletta precisa per non lasciare niente al caso. Questa è la prima volta che scrivo in questo modo, per gli altri libri non sapevo all’inizio che cosa avrebbero fatto i personaggi”.
Nel libro si parla anche di giustizia. Ritieni che in Italia si faccia il possibile per difendere le donne che subiscono violenza?
“Assolutamente no e la legge che prevede di dichiarare violenze subite entro sei mesi ne è la testimonianza; in sei mesi fatichi anche a realizzare la violenza stessa.
Spesso poi le donne si recano dalla polizia per denunciare, ma l’iter diventa macchinoso e finisce per lasciare impunito chi ha arrecato violenza, abbandonando la donna ancora di più nel disagio”.
Sarà realizzato il film basato sul suo romanzo? Come vedi la trasposizione cinematografica?
“In realtà abbiamo optato per una serie televisiva e ci stiamo lavorando. Ci lavoro anche io con altre sceneggiatrici. L’obiettivo è quello di dare ancora più luce e spazio ai personaggi per poterli sviluppare”.
Nei tuoi libri non c’è mai l’amore nel senso idilliaco del termine. Trovi difficile parlare d’amore?
“L’amore in senso rosa non mi interessa, se con c’è conflitto non c’è storia da raccontare. E poi io sono fatta così, anche come lettrice cerco libri che fanno riflettere. Adoro Roth, Fenoglio e Simenon”.
Hai frequentato scuole di scrittura? Come sei diventata scrittrice?
“Sin da piccola il mio desiderio era fare la scrittrice. Quando mi sono trasferita a Roma, dalla Puglia, ho seguito un corso con Starnone. Gli sono piaciuta subito ed è diventato il mio mentore. Fu grazie a lui che ho pubblicato il mio primo romanzo, per Einaudi”.
Cosa fai quando non scrivi?
“Viaggio il più possibile, vedo amici e se posso ballo, perché è il mio modo di liberarmi e di sentirmi viva. Leggo molto, al momento sto rileggendo Moby Dick perché non sono mai riuscita ad arrivare alla fine”.
Hai un sogno nel cassetto?
“Poter viaggiare il più possibile, scrivendo in ogni parte del mondo”.
Qual è il tuo rapporto con i social?
“Non li so gestire bene, faccio tutto io pur non avendo ben capito come funzionano. Così senza un progetto definito, li uso, ma non credo in modo efficace. Certo so che sono utili per parlare di libri e non solo!”
Normalmente dove scrivi?
“Mi piace scrivere in mezzo alla gente, nei bar, ma a Roma sono pochi quelli dove è possibile quindi scrivo a casa”.
Ci indichi un libro che secondo te dovrebbe leggere un adolescente e uno invece per adulti?
“Per ragazzi il Giovane Holden di Salinger e per adulti Sotto il vulcano di Lowry”.
Intervista a cura di Elena Sassi
Intervista a cura di Elena Sassi
Social Network