di Eleonora C. Caruso
Mondadori, 2018
pp. 360
€ 19,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Christian è fragile e bellissimo; ossessionato dalla paura di essere abbandonato e completamente autocentrato, non esita a tenere legato a sé chiunque gli sembri necessario al proprio benessere. Alterna momenti di euforia ad altri più frequenti di angoscia o assoluto nichilismo; è dominato dall'inquietudine: "C'è questo pensiero che precede tutti gli altri e che lo accoglie ogni mattina: fai che oggi stia bene. Che voglia restare sotto questo tetto, fai che mi basti". Non basta a sé stesso, ma non gli bastano neanche gli altri, o meglio, non uno solo degli altri. Ad ognuno dei suoi amanti, Christian chiede cose diverse: a Dafne la rassicurazione, a Dante la violenza, a Davide la completezza. Tutto nella speranza di ritrovare un'integrità che sente perduta.
Pianeti che ruotano intorno ad un unico centro d’attrazione (come il sole, Christian “brucia”, li brucia e si brucia), gli amanti fanno di lui il perno del loro esistere, spinti però da esigenze contrapposte. Per Dafne, l'amore è associato al senso del dovere, ad una dipendenza affettiva instaurata negli anni, e a un dolore inconscio persistente che si somatizza in terribili fitte al basso ventre. Lei stessa, in un momento di lucidità, riesce a cogliere l'essenza del vero:
Era il suo corpo che reagiva così per proteggersi, perché doveva respingere l'invasione del malessere che Christian iniettava in lei. La rabbia, la confusione, la tristezza - le cose di cui si svuotava nel suo grembo.
A Dante, nella relazione con Christian, interessa soprattutto il potere, la possibilità della sottomissione dell'altro: "se l'era preso perché era lì e non voleva lasciarlo a qualcun altro, o perché gli piaceva l'idea di romperlo prima di farlo". Lui riconosce nel giovane modello le proprie mancanze ad essere: è quello che riesce per primo a vederlo davvero, che non ha paura delle sue ferite – che riconosce come proprie.
Per Davide, invece, il sentimento è legato all'irruzione del miracolo in una quotidianità monotona e sottotono. Non si capacita che un ragazzo come Christian abbia scelto proprio lui: vive con l'ansia di quando riaprirà gli occhi, tanto da promettergli devozione imperitura, da iniziare a considerarlo parte di sé. Davide si concede tutto, dona all’altro la sua sensibilità, la sua intelligenza, il confronto con un’alterità irriducibile.
Christian li usa, li usa tutti:
"Quando ci lasceremo sarà epico. [...] Devo essere sicuro che ne sarò distrutto." "Allora anche lei usa gli altri per farsi del male." Christian non lo sa. A volte si arrende all'evidenza di non sapere niente. Se si concentra sente l'esterno - automobili, cani, lo scampanellare del clacson di un tram -, ma se si rivolge all'interno c'è solo il sonno, una sordità stopposa che lo avvolge, non solo oggi, ma spesso, spessissimo. "Io voglio sentire qualcosa. [...] Non è quello che vogliamo tutti? Solo sentire qualcosa?
Li manipola, li piega a sé, gioca tanto a fare la vittima che finisce per crederci. E tutto procede come lui desidera, anche quando i suoi partner scoprono (solo parzialmente) i suoi tradimenti e la conclusione del litigio è un paradossale rovesciamento:
Davide lo stringe un po' più forte: 'Mi dispiace'. 'Mi dispiace' ripete Dafne, nascosta contro il suo braccio. Christian li perdona.
La narrazione procede come un turbine, che rispecchia il vorticare dei pensieri ossessivi e caotici del protagonista, i suoi tentativi di autoconvincersi della propria normalità, della propria capacità di fronteggiare i problemi da solo. Gli sforzi di persuadersi che la sua condizione sia premio e non condanna. Christian è bipolare e le pagine più intense del romanzo descrivono il suo naufragare dentro sé stesso, quello sprofondare tormentoso e incessante che è la malattia mentale.
Questa non è mania, è la tua vita. Ci sono vite ordinarie, è giusto che ci siano, ma la tua no, la tua vita è pazzesca, è strana, è inspiegabile, è straordinaria. Tu sei fatto per raccogliere gli stimoli più estremi, tu sei destinato a un sentimento vario, universale, colossale, a esplorare quello che significano in ogni sfumatura il sesso, il dolore, l'amore, tu puoi sopportare, no, tu puoi capire ogni esperienza, cogliere in ciascuna il buono, e nel buono l'orrore, tu sei destinato ad avere di più, ma se la salita diventerà troppo ripida lo sentirai, questa non è la mania, sei tu, è la tua vita, la vita che hai scelto, ti vogliono tutti e tu sei felice, anzi no, stai da dio, ma ora basta, vi prego, lasciatemi stare, devo dormire.
Senza tregua alcuna, senza soluzione di continuità, si alternano i tre tempi della storia, che finiscono per costituire tre storie quasi distinte: una che fluisce al passato remoto, segnalando la scansione oggettiva degli eventi; una al presente, costituita dai sondaggi nella mente confusa di Christian, che ci offre una prospettiva assolutamente parziale (e quindi inaffidabile) di ciò che accade; una, segnalata graficamente dal corsivo, costituita dagli incontri di Christian col terapista, dai vani tentativi di mettere ordine, e da una frammentaria ricostruzione del passato e delle tappe della malattia. Solo sporadicamente, nel momento della frattura, in cui nuove ferite si aprono nei comprimari, è lasciato spazio anche a loro, alla loro sofferenza, alla loro crescita dolorosa.
Il giovane uomo, viene spiegato a più riprese al lettore, ha "una fornace, dentro", che "chiede sacrifici" e a cui tutto è immolato. Persino il fratello Julian, dolce e insicuro, amato e odiato al tempo stesso, che non mangia niente per un inconsapevole desiderio di sparizione. Christian non si accorge di niente, non gli importa di niente. Con una punta di fastidio, all’inizio, il lettore si chiede come questo sia possibile: come tutti questi personaggi complessi, tutte queste brave persone, per cui si è portati a parteggiare, finiscano (e considerandosi fortunati) succubi di un uomo egoista, che distrugge tutto ciò che ha la sventura di capitare nella sua orbita. Poi, poco alla volta, anche lui finisce in trappola. Inizia ad essere affascinato dal giovane che ha dentro “i mostri e la magia”, ad essere avvinto da qualcosa in cui in parte, malvolentieri, si ritrova. Perché Christian “è pura intensità fuori controllo” e sa quali punti nevralgici sfiorare, come entrare nell’animo di chi lo avvicina:
lui cercava la ferita originale, nelle persone, la rottura profonda che anche se loro si indurissero, si pietrificassero, si riducessero in polvere, continuerebbe a far male. Parlava direttamente a quella, Christian Negri, per questo nessuno riusciva a resistergli. Per lui c'erano solo il ghiaccio e il fuoco, il picco e lo strapiombo, l'estasi e l'agonia, l'eternità e l'oblio. Era sempre questione di vita o di morte, per lui. Per questo lo volevano.
Il dirompere, improvviso e drammatico quanto inevitabile, della verità, ha più a che vedere con l’esplosione di una supernova che con il collasso di un castello di carte; nel giro di un inverno, tutto si disgrega: le certezze degli amanti, le speranze, le promesse, l’identità di Christian – che si frantuma in mille pezzi, impossibili da rincollare –, ma anche quelle di Dafne, Dante e Davide, costretti a riscoprirsi senza di lui. In una Milano che è un cantiere a cielo aperto (sono all’apice i preparativi per Expo 2015), i lavori di costruzione (ricostruzione) del tessuto urbano si accompagnano al percorso di ricostruzione (costruzione) che i personaggi, tutti, sono costretti a fare su di sé. Alla fine dell’inverno, ognuno scoprirà qualcosa in cui non credeva più, o non credeva davvero: non tanto, semplicisticamente, che il tempo scorre e sana anche ferite che si credevano insanabili. Piuttosto, che le ferite originali non possono essere sanate. Che quelle restano, bruciano, permangono sensibili ai mutamenti, segnalano con fitte di dolore tutto ciò che si avvicina troppo ai nervi scoperti. Che proprio loro, però, si fanno risorsa, strumento di un accesso al reale unico, veicoli di un nuovo modo di sentire. Punti di partenza per un nuovo, più consapevole, inizio.
Carolina Pernigo
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