di Claudio Giunta
UTET, 2018
pp. 328
€ 16,00 (cartaceo con ebook incluso)
“Questa è bipolare!”
Lo hanno detto ad alta voce, sul treno, quando in un'oretta di tragitto ho prima riso, poi mi sono impensierita, quindi ho preso appunti come una forsennata nei fogli di guardia e via così. Più che impazzita, ero immersa in Come NON scrivere, il nuovo libro di Claudio Giunta, che è una specie di manuale del NON: non prescrive, non bacchetta, ma soprattutto non annoia e non resterà inerte nella libreria dopo aver letto le prime pagine. Ho provato a spiegarlo ai viaggiatori seduti vicino a me, ma da come mi hanno guardato azzannando un panino ho capito che erano tipi da vendere il libro di grammatica il giorno dopo gli esami di terza media.
Dunque, ho continuato a leggere e, qualche volta, avrei anche commentato un “vai così!” mulinando il braccio, se solo non avessi rischiato il TSO. Il fatto è che da ex studentessa avrei sempre voluto incontrare sul mio percorso un libro così; e da insegnante, oggi, ho il gran pregio di poter portare in classe questo lavoro utilissimo ma con il sorriso sulle labbra, senza snobismo e con tanta voglia di essere davvero d'aiuto.
Alla base, tre pilastri fondamentali per qualsiasi scrittura: impegnatevi, scrivete chiaro e badate ai contenuti, le parole verranno da sé (sì, ok, è il precetto catoniano, ma gli altri due? Non immaginerete mai a chi si rifà Giunta per denominare queste due "leggi").
Premessa fondamentale è l'ordine: anche l'occhio vuole la sua parte, soprattutto se deve leggere un testo articolato. Dunque, ben vengano le impaginazioni corrette, l'uso di font e di dimensioni accettabili,... Ma si entra nel cuore della trattazione quando si parla di chiarezza, nella forma e nei contenuti, contro l'antilingua e la presunta eleganza che ha portato per anni gli insegnanti a sostituire "andare" con il più ricercato "recarsi". D'altra parte, questa lotta contro la lectio difficilior a tutti i costi è ancora durissima: ci ostiniamo a "indossare l'abito della festa" quando scriviamo, a rendere il nostro italiano lontano dal parlato per legittimare il nostro scritto. E persino i libri di testo sono spesso contorti, sfuggono al principio della divulgazione chiara (non semplicistica, ovviamente) con una sintassi arzigogolata, difficile da comprendere, o con uno stile grigio che annoia.
Premessa fondamentale è l'ordine: anche l'occhio vuole la sua parte, soprattutto se deve leggere un testo articolato. Dunque, ben vengano le impaginazioni corrette, l'uso di font e di dimensioni accettabili,... Ma si entra nel cuore della trattazione quando si parla di chiarezza, nella forma e nei contenuti, contro l'antilingua e la presunta eleganza che ha portato per anni gli insegnanti a sostituire "andare" con il più ricercato "recarsi". D'altra parte, questa lotta contro la lectio difficilior a tutti i costi è ancora durissima: ci ostiniamo a "indossare l'abito della festa" quando scriviamo, a rendere il nostro italiano lontano dal parlato per legittimare il nostro scritto. E persino i libri di testo sono spesso contorti, sfuggono al principio della divulgazione chiara (non semplicistica, ovviamente) con una sintassi arzigogolata, difficile da comprendere, o con uno stile grigio che annoia.
Per non annoiare, Giunta suggerisce il giusto miele sui bordi del bicchiere con la medicina: incipit creativi, non scontati, qualche volta spiritosi, in grado di invogliare il lettore a proseguire. In fondo, anche se a scuola i professori sono costretti a leggere i temi, perché obbligarli ad annoiarsi su testi piatti? Gli esempi ci sono, positivi e negativi: la selezione operata da Giunta è decisamente efficace (anche da proporre a una classe liceale) nel mostrare come si apre, si argomenta e si chiude un testo.
Passiamo oltre il capitolo sulla punteggiatura, utile e svelto, ma probabilmente già affrontato a scuola; e corriamo allo spazio concesso alla sintassi, con spunti che riguardano la prosodia, la paragrafazione, l'uso di frasi nominali, di doppie negazioni, rime e bisticci,... Tantissimi consigli fondamentali, con esempi altrettanto incisivi, che hanno il pregio assoluto di restare in mente alla prima lettura.
Per i lettori universitari, poi, schede sintetiche e pratiche su come citare, come preparare bibliografia e presentare tesi e tesine: l'onestà intellettuale e l'utilità prima di tutto! È invece meglio abolire frasi esornative e ridonanti, per non parlare dei presunti sfoggi di cultura:
La cultura è una bella cosa, ma è un po' come l'argenteria: se la si possiede è meglio tenerla un po' nascosta, non sfoggiarla a ogni occasione (p. 179).
Quanto allo stile - forse l'ambito più difficile su cui dare consigli -, è sempre bene aprire gli occhi sulla nostra realtà, che può offrire ottime ispirazioni per vivacizzare la prosa. Giunta mette al bando tanti pregiudizi usati come dictat nelle scuole: le ripetizioni non sono il male assoluto, possono anzi aggiungere qualcosa allo stile; la forma personale e impersonale della scrittura è variabile; l'arma a doppio taglio delle domande retoriche;... E soprattutto: "se non riuscite a essere leggeri, cercate almeno di non essere pesanti" (p. 223), né retorici o criptici. Ci vuole misura in tutto: nel citare in altre lingue straniere, nell'uso/abuso di corsivo, neretto, maiuscole,...
Insomma, nella scrittura ci vuole buonsenso? Certo. Anche i grandi sbagliano, e Giunta non si fa problemi a tirar giù dal trono saggisti, giornalisti, accademici; trovano una sorte migliore, invece, gli scrittori, che perlopiù sono citati come esempi di fantasia e brillantezza formale.
Bene, lo ammetto: sono stata molto fortunata a finire la mia lettura a casa, lontana da occhi giudicanti, perché le Appendici sono di un'ironia puntuta e raffinata, e l'esemplificazione di quanto formalizzato prima è tanto acuta quanto pratica. Ed è anche per questo che porterò il libro in classe, a costo di passare per "matta" (loro non sanno ancora il significato di "bipolare").
GMGhioni
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