di Ilaria Bernardini
Mondadori, 2018
pp. 191
€ 19 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Perché mi stavo lasciando con mio marito se tanto poi si moriva? Oppure, al contrario, perché mi preoccupavo di lasciarlo - potevo fare tutto anche sola a partire da questo secondo - se tanto poi si moriva?
C'è un terrazzo nuovo, in una casa che ha appena cambiato proprietaria, una donna che ha appena lasciato il marito e che prova a ricostruirsi una vita accanto al suo piccolo Nico. Sul terrazzo, tante piante moribonde, alcune già morte e altre per cui c'è ancora qualche speranza. Piante ereditate, perché prima Anna, l'io-narrante di questa storia, non era mai stata interessata a radici che attecchissero davvero. Certo, anche lei ci aveva provato con suo marito (che resterà sempre suo marito, poco conta la separazione, poco conta sapere il suo nome), ma la loro pianta della felicità era andata rinsecchendosi, e diventando deserto. Non è facile ricominciare, per lei che ha vissuto in contemporanea alla sua separazione la vicinanza della morte: il quasi-cognato Alessandro deve riprendersi da un grave incidente frontale in moto; e l'amica di sua sorella, Maria, viene colpita da un aneurisma proprio davanti ad Anna. La morte è stata accarezzata da vicino e tutto questo mette in moto pensieri e riflessioni di Anna, stretta in una spirale di dolore privato e comune.
Ma accudire Alessandro e Maria non è da lei: a costo di provare poi un bruciante senso di colpa, Anna fa un passo indietro, si chiude nella sua nuova realtà con Nico e prova a reagire a quanto le sta accadendo, anche se i momenti di crisi sono frequenti, così come le incertezze emotive: «Allontanati da me, rimani vicino a me per sempre. Deserto. Foresta».
La convalescenza è complessa per tutti. Poi, però arriva il momento di occuparsi della propria vita, a cominciare dal balcone che Anna prova a riempire di nuove vite, di piante da curare da vicino, da far crescere con dedizione e passione, ma anche con tanta pazienza. Ad aiutarla, Maria, che di fiori e piante si è sempre occupata per lavoro e che grazie a questa spinta trova il coraggio di uscire di casa e non pensare di continuo alla malattia: sarà proprio lei a iniziare Anna al mondo della botanica. Non tutto può crescere insieme, non tutto si può mettere in un vaso: ogni pianta va rispettata, e non è detto che riesca a mettere radici su un balcone di città, lontano dalla natura. Eppure Anna ci prova, come prova a ricominciare: riprende a scrivere, a organizzarsi e vivere, frequenta un altro uomo (che viene chiamato sempre "fidanzato", ché il nome - anche qui - non conta), di cui parla a sprazzi, in lunghi elenchi frettolosi, senza mai adagiarsi. Eppure, in nome della felicità che prova con Nico e i figli del fidanzato, il pensiero di unire le famiglie arriva: «Proviamo se due parti di famiglia fanno una famiglia. Proviamo gli insiemi possibili, il giardino infinito». Ma le difficoltà sono tante: la distanza (il fidanzato abita a Londra), gli sbalzi emotivi (davvero il marito si sta rifacendo anche lui una vita?), la paura di strappare Nico dalla sua realtà. E non prendiamoci in giro: anche la paura di trapiantare le proprie radici, indebolite ma comunque resistenti. Anna, che ogni tanto scappa dalla sua quotidianità e raggiunge il fidanzato, sa bene che «è molto facile amarsi dove non si possiede niente e niente chiede di essere riparato»: la pianta della loro storia reggerà alle intemperie del quotidiano?
Ci sono tante riflessioni, tanta speranza, tanti personaggi che fanno da humus all'intera storia, e le vicende personali si lasciano innestare attorno al ramo principale della narrazione, quello che vuole fiorire di nuovo per Anna, abituata a vedere solo piante verdi. E tutta la vicenda cresce nelle parole che Anna confessa a una chiromante, una strana interlocutrice, che sa spronare Anna a lasciarsi andare, senza piangersi addosso, ma raccontando ciò che sente, puntando sull'istinto.
Ben scritto, a tratti pensoso, a tratti più legato all'azione, Faremo foresta è cosparso di piccole gemme che confermano la stagione creativa propizia di Ilaria Bernardini, già molto amata col suo La fine dell'amore. E alla fine anche chi di noi ha un terrazzo vuoto penserà che sarebbe bello realizzare questo progetto:
Immagino di coltivare il mio terrazzo fino a che tutte le foglie e tutte le piante inghiottiranno ogni cosa, noi, gli altri, il paesaggio, e fino a che la terra non sarò più coltivabile e gestibile. Saremo tutti in una foresta, faremo tutti foresta, ci saranno i pappagalli, le lucertole, i canguri e sarà l'uomo ad aver creato il selvatico.
E forse lasceremo mettere radici al nostro amore, senza paura di questa realtà che fa di tutto per mantenerci precari, come stentati virgulti in vasi di plastica.
GMGhioni