di Umberto Galimberti
Feltrinelli, 2018
pp. 323
€ 16,50 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Vorrei proprio che questo libro venisse letto da chi è convinto che i giovani siano senza voce, amorfi globalizzati che si interessano solo alle scarpe all'ultima moda e alla musica di tendenza. Ho pensato subito questo, leggendo le prime cinquanta pagine di La parola ai giovani, il nuovo libro di Umberto Galimberti, che raccoglie le lettere ricevute per la rubrica di "D" di «Repubblica» e traccia un dialogo tra il professore e i suoi giovani interlocutori. Perché mai parlare di "nichilismo attivo" per queste nuove generazioni? La spiegazione arriva fin dalle prime pagine introduttive:
una percentuale forse non piccola di giovani che sono passati dal "nichilismo passivo" della rassegnazione al "nichilismo attivo" di chi non misconosce e non rimuove l'atmosfera pesante del nichilismo senza scopo e senza perché, ma non si rassegna e si promuove in tutte le direzioni nel tentativo molto determinato di non spegnere i propri sogni. (p. 13)
L'impressione, leggendo le lettere estremamente lucide che arrivano a Galimberti, è quella di giovani che si chiedono spesso "perché?" e non si accontentano di una risposta abbozzata, come vorrebbe chi spesso punta a zittire il dissenso o, anche solo, il senso critico. Gli scriventi non rinunciano a pensare; anzi, facendo ricorso a quelle materie studiate a scuola apparentemente in modo sterile e fondendole alle loro stesse parole, danno prova di estrema maturità e di uno spiccato acume. Tra i contenuti, ciò che li riguarda direttamente e ciò che li tocca attraverso l'informazione: sogni, desideri, incertezza del futuro, scuola, difficoltà nel trovare lavoro, compromessi richiesti dalla società del precariato, terrorismo, possibili conseguenze dell'uso smodato delle tecnologia, amore e "poliamore", fino alle domande esistenziali a cui filosofi hanno cercato nei secoli di fornire una risposta.
Più che rabbia, nelle lettere si coglie spesso spaesamento: che fare, in un paese che non investe sui giovani? Come reagire? C'è anche la paura, certamente, di non riuscire a divenire l'uomo o la donna che si vorrebbe essere, purtroppo senza che sia stato dato il tempo per costruirsi un'alternativa accettabile. Quanti compromessi accettare? E per cosa? La scuola ha una grande responsabilità nella formazione di queste nuove anime, non certo riempiendo loro la testa di nozioni e basta, ma insegnando a pensare, in modo socratico. Galimberti non è certo morbido nei confronti dell'istituzione scolastica e di chi vi lavora, ma inviterei gli insegnanti che leggeranno questo libro (me compresa) a interpretare le critiche e lo scoramento come una voce da ascoltare per cambiare le cose e contribuire a coltivare i sentimenti, perché questi «non sono dati per natura, ma per cultura. [...] E quando non si conoscono i sentimenti, il terribile è già accaduto» (p.172). Possiamo farlo, possiamo far sì che quel Leopardi studiato sulle pagine dell'antologia non resti lì, inerte, ma parli a chi abbiamo davanti... Come possono lottare i giovani, per realizzare i loro sogni, quando questi «non sono illusioni ma progetti, non si lasciano sconfiggere dal sano realismo, perché portano dentro di loro la forza di chi, nonostante tutto, crede che un mondo migliore sia ancora possibile» (p. 49).
Insomma, leggendo La parola ai giovani vorrei che ognuno si abbandonasse a quell'energia che si sprigiona dai giovani interlocutori e alla visione chiara, talvolta crudele, del presente di Galimberti. È da questo dialogo aperto e ben disposto che possiamo apprendere un insegnamento enorme: l'ascolto. Ascoltare davvero i bisogni dei giovani e giovanissimi che abbiamo accanto, leggere le loro parole e attraversarle, per un confronto che non sia autoritario o continuamente distratto. Solo così potremo aiutarli a fare un ulteriore passo avanti: dal nichilismo passivo (oggetto di un libro di Galimberti del 2007) e nichilismo attivo di oggi, fino alla rinascita di un senso morale, quello che loro auspicano e chiedono a gran voce in queste lettere. Senza rinunciare, senza cadere nel disfattismo quotidiano di chi pensa che sia ormai troppo tardi.
GMGhioni
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