di Luca Ricci
La nave di Teseo, 2018
pp. 211
€ 17,00
È una vita che oscilla tra la claustrofobia, la frustrazione e la noia, quella di un uomo borghese di mezza età, imprigionato in un matrimonio a cui non sa più dare senso, con una donna ancora bella ma per cui non riesce a provare il minimo slancio. Lei, Sandra, qualche tentativo, seppur fiacco, lo fa: preferisce ancora "l'ossessione dell'amore" a quella del "disamore" (14). Lui invece, scrittore fallito e privo di scopi, vorrebbe fuggire ma si trova prigioniero di una serie di gabbie concentriche ("scatole contenute in altre scatole", 26): una relazione monogama, la casa, il quartiere, la città, il mondo stesso. Tutto gli appare limite, barriera, cappa opprimente. È in questo clima di sospensione che, in una Roma che si apre all'autunno e inizia a sondarne le possibilità, il narratore si imbatte, in un mercatino rionale, in una fotografia di Jeanne Hébuterne, la bella amante di Amedeo Modigliani. Questo ritrovamento innesca, improvviso e inaspettato, "il desiderio di un terribile amore nuovo" (27), dove terribile non è il desiderio, ma l'amore stesso, ricercato come qualcosa in grado di destabilizzare l'ordinario, di sconvolgere una monotonia sempre più insopportabile.
Quello di Luca Ricci è un romanzo romantico del romanticismo tormentato e vibrante dell’800; si percepisce forte il rapporto biunivoco tra uomo e natura, la percezione che solo gli spiriti eletti possano decifrarne i segreti messaggi:
Quello di Luca Ricci è un romanzo romantico del romanticismo tormentato e vibrante dell’800; si percepisce forte il rapporto biunivoco tra uomo e natura, la percezione che solo gli spiriti eletti possano decifrarne i segreti messaggi:
I parchi e le ville s'apparecchiavano dei colori dell'autunno: quei rossi, quei gialli, quei marroni, quegli arancioni, che sono la vera primavera dei temperamenti inquieti. Era paradossale, eppure per la prima volta dopo tanto tempo mi sentivo in comunione con qualcun altro. [...] Se l'autunno era un culto, il parco era il tempio, la panchina, l'altare, il cappotto, la tonaca, le foglie, l'incenso, il bacio, l'ostia e Jeanne la sacerdotessa. Non era una religione solo mia, quello no, ma non potevano praticarla gli uomini e le donne dal cuore stupido (35-36).
La passione per il ritratto diventa rapidamente ossessione, sentimento totalizzante e, in quanto tale, completamente irrazionale. Il narratore si abbandona alla superstizione, ad una contro-logica per cui anche Jeanne ricambierebbe i suoi sentimenti e manderebbe segnali dall'aldilà. Solo l'amico Alberto Gittani, spirito pragmatico, cerca di metterlo in guardia dall'abbandonarsi alla follia di un amore astratto e irrealizzabile, peraltro neanche troppo originale, come quello di un ragazzino che si perde nel web: "Ti senti molto originale, immagino, eppure sei uguale a queste teste di cazzo alle prese con i loro amori virtuali, fuori dal tempo e dallo spazio" (49). Ma il protagonista è cieco e sordo a ogni monito: riguarda i ritratti di Modigliani, i volti e i corpi allungati che gli ricordano un'unica cosa: "era come se fossero un tapis roulant che diceva [che] certi amori non vogliono finire, ma solo ricominciare daccapo" (48).
Storia di un'ossessione (quasi di una possessione), Gli autunnali è anche il quadro autoptico di un matrimonio che finisce. Non c'è speranza, né desiderio di edulcorare una realtà amara, continuamente ribadita da frasi lapidarie e senza scampo: "da un certo punto in avanti, la vita sociale dei coniugi si fa prossima allo zero. I coniugi restano soli, diventano gli unici due attori (e spettatori) del teatrino matrimoniale che hanno messo in piedi" (57); "ecco cos'erano i coniugi: due persone che, avventatamente, compivano ogni giorno lo stesso sbaglio" (61); quella in cui vivono è una “bara domestica” (113), e così avanti. Ecco perché, incontrando quella che gli appare una reincarnazione vivente di Jeanne (in realtà una cugina di Sandra), l'uomo inizia ad "architettare per filo e per segno il [suo] impeccabile adulterio" (60).
"Il vero mistero di tutto era il tempo" (77) e l'autunno, in quanto stagione di transizione, rappresenta un momento di stasi, un crogiolo di possibilità inespresse, un periodo in cui la nostalgia incontra l'aspettativa. Il tempo dell'autunno è quello in cui il passato può sovrapporsi al presente e Gemma può presentare, nel pensiero distorto del narratore, straordinarie somiglianze con Jeanne: anche lei fidanzata con un pittore dissoluto, anche lei incinta, come la giovane nel momento in cui si era suicidata per il dolore, suggellando ed eternando così una relazione drammatica e totalizzante. L'autunno è anche uno stile di vita, un modo di essere: Gli autunnali è il libro che lo scrittore "pentito" potrebbe scrivere, ma è anche una descrizione dei suoi protagonisti, decadenti, privi di clorofilla (scoloriti, caduchi, transeunti). Le prospettive, per l'esito del romanzo, sin dal titolo non appaiono rosee, perché il lettore sa, come il narratore, che all'autunno segue sempre l'inverno: "Il tempo passa, ed è tutto qui il nostro tormento" (163). Nello scorrere inesorabile della stagione, il tempo si sfrangia e si dilata, insieme alle resistenze del protagonista, che perde sempre più il controllo su sé stesso e rivela dettagli che prima ignoravamo, aiutandoci a costruire un'immagine di lui più complessa e certo ancor meno lusinghiera.
A differenza di tanti miei coetanei, non mi ero ancora rassegnato a entrare nel novero di quegli uomini disposti a vivere una vita sola. Per come la vedevo io, bisognava viverne tre o quattro, informando a malapena se stessi della cosa. Erano sconfinamenti (deragliamenti?) obbligatori, argini fisiologici contro la disperazione (142).
Alla fine di novembre, il fato incombe, preavvertito da un oscuro senso di premonizione, che è solo l'ultimo di una serie di segnali attentamente disseminati nel testo dalla sapienza narrativa dell'autore:
“È quasi dicembre, tra poco il buio s'ingoierà tutto quanto", riprese Gittani, abbassando la voce. "Non fare cazzate." (146).
Al primo piano della narrazione se ne intrecciano molti altri: un sottotesto continuo sulla vita borghese, la sua superficialità e le ossessioni che vi covano sotto, vibranti e accuratamente nascoste (interessanti in tal senso i continui riferimenti ad Eyes Wide Shut, il cui senso rappresenta un vero mistero da risolvere per i due coniugi). E poi l'indagine metaletteraria: in una contemporaneità spesso sordida, o quantomeno disillusa, ha ancora senso scrivere romanzi?, continuano a chiedersi il narratore e l'amico Gittani, trovando risposte per lo più pessimiste.
"Ecco il compito del romanziere, inventare la realtà." Ci rifletterei per qualche istante. "E le nuove generazioni in che romanzi vivranno visto che noi non ne scriviamo più?" "Alle nuove generazioni non interessa la realtà, e forse hanno ragione." (175).
Se la vera realtà è quella contenuta dei romanzi, il mondo diventa pura finzione, palcoscenico in cui recitare una parte in un dramma affollato di fantasmi. Lo scrittore non è più colui che eterna le passioni umane, ma un "autunnale", "il rappresentante di tutto ciò che era aleatorio e transitorio e mortale" (201). E se non gli resta più nessun ideale, nessuna fede, se non la poesia che brucia dentro, non resta che farla divampare nel mondo con un atto eclatante, sovvertendo i piani del reale e del letterario. Condotta con maestria, la storia arriva al suo apice e alla sua conclusione, imprevedibile fino alle ultime pagine, poiché non necessaria, non conseguenza di una serie coerente di cause ed effetti, ma frutto della logica distorta di un'ossessione tutta letteraria.
Carolina Pernigo
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