di Matsumoto Seichō
Adelphi, 2018 (27 gennaio)
Traduzione di Gala Maria Follaco
pp. 192
€ 18,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
«[...] La qualità di un investigatore coincide con la sua ostinazione nel voler risolvere ogni caso, anche quelli che altri vorrebbero archiviare» (p. 137)
Prima di iniziare a leggere Tokyo Express, correte alla fine del libro, guardate la cartina e ripassate dove si trovano Honshū, Hokkaidō e Kyūshū. Poi cancellate la quotidianità a cui siete abituati: cancellate i treni sempre in ritardo; i passeggeri che, con gli occhi fissi sui loro smartphone, non badano ai vicini di carrozza; i controllori che non vi guardano in faccia. Perché la realtà raccontata da Tokyo Express è molto diversa: i treni giapponesi non conoscono ritardi considerevoli e, anzi, vedrete che le indagini si basano sulla collazione e l'analisi attentissima dei tabelloni degli orari (impossibile in Italia, non vi pare?). Aggiungete che i cellulari non esistevano nel 1958, quando Matsumoto Seichō ha scritto il romanzo - il suo noir più apprezzato e decantato. Infine, ricordate che i giapponesi coltivano la precisione e questo spiegherà perché documenti di viaggio, prenotazioni, ma anche semplici passaggi siano facilmente reperibili.
E ora ci siamo. Cosa troverete in Tokyo Express? Innanzitutto due cadaveri: su una spiaggia di Kyūshū, la bellissima Otoki, intrattenitrice in un ristorante di Tokyo, e il giovane funzionario ministeriale Sayama. I due, sdraiati vicino lungo la spiaggia rocciosa battuta dal vento gelido di gennaio, hanno ingerito cianuro. I due ragazzi erano stati visti salire sul treno da un cliente del ristorante, Yasuda, e dalle due intrattenitrici che l'avevano accompagnato in stazione. Un bel caso, vedere Otoki con un uomo che Yasuda conosceva: anche le colleghe della ragazza erano curiose, sapevano che Otoki riceveva telefonate maschili, ma ignoravano l'identità dell'amante. Di sicuro, poi, nessuno avrebbe immaginato che Otoki e Sayama stessero andando a suicidarsi: non c'erano segni di turbamento nell'atteggiamento dei ragazzi sul treno.
Eppure tutte le prove portano a un doppio suicidio passionale; e come tale il caso rischia di essere chiuso in fretta, senza indagini e dopo un esame autoptico superficiale. Però qualcosa insospettisce il vecchio investigatore Torigai Jūtarō, a un passo dal pensionamento, e il suo collega più giovane, Mihara Kiichi. È proprio Mihara a indagare ben oltre ciò che gli spetterebbe: almeno, all'inizio le sue ricerche non sono viste di buon grado, sembrano rispondere a un eccesso di zelo. Poi, i dubbi si rivelano fondati e l'ipotesi di suicidio perde progressivamente di verosimiglianza: occorre proseguire le indagini.
Attraverso gli occhi di Mihara, si vive la sua ricerca ossessiva, al limite della nevrosi, di orari di treni, coincidenze varie, alibi degli altri personaggi. Dopo indagini minuziosissime, anche le prove apparentemente oggettive si sgretolano, così Mihara può smettere di sentirsi «circondato da mura che non riusciva ad abbattere», ma questo accade nelle ultime decine di pagine, dopo viaggi trafelati su e giù per il Giappone, interrogatori con capitreno e addetti estremamente puntigliosi e dalla memoria di ferro (sono passati mesi ormai dal suicidio). I momenti di sconforto sono inevitabili per Mihara: il suo sospettato principale pare avere sempre un alibi, ricostruire e poi controllare le tappe del suo viaggio è cavilloso e dispendioso. Eppure qualcosa porta Mihara a non perdersi d'animo e, come classicamente previsto dal genere, il caso sarà risolto, anche se non esattamente come si potrebbe credere. Il colpo di scena finale c'è e scopriamo tutto lo scioglimento del caso attraverso una lunga lettera che Mihara manda all'investigatore Torigai, che, nonostante il pensionamento, non ha mai smesso di supportare il giovane collega.
Chiamato il Simenon giapponese, Seichō porta al lettore un esempio di paziente perseveranza giapponese, che attraverso dettagli apparentemente irrisori scioglie un gomitolo intricatissimo. All'azione, che si concentra soprattutto nei tanti viaggi su e giù per il Giappone, Seichō preferisce i dialoghi e il fitto, ininterrotto lavorio della mente del suo investigatore. Un'indagine cervellotica che, nel suo dipanarsi lungo sette mesi di ricerche, alterna ora la frustrazione della smentita ora l'incoraggiamento di una nuova prova. Ma non si arriverà mai alla vittoria. Chi ha detto che risolvere un caso sia necessariamente motivo di felicità? Scoprirete alla fine del romanzo il perché.