di Maria Rosaria Valentini
Sellerio, gennaio 2018
pp. 193
€ 16 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Ma come prima non si torna.
Mai.
Ora lo sa.
Così si ingozza dei suoi ieri.
(p. 122)
Quando lo hanno trovato riverso con la faccia affondata in un cumulo di mais, lo hanno dato per spacciato: ictus grave, nessun documento con sé, afasia, difficoltà di movimento. Nel dubbio, lo hanno ricoverato in un ospedale vicino, per poi trasferirlo altrove, in una struttura più adatta alla sua patologia, è stato soprannominato Silos per il luogo del suo ritrovamento e ha cominciato il lungo e impervio percorso per la guarigione. Di quell'Andrea che in una mattina come tante aveva chiesto il permesso di qualche ora per andare a camminare, lui con un panino, una bottiglietta, la ventiquattrore... Di quell'Andrea, cosa è rimasto? Ora Andrea è un paziente un po' "scemo", come sostengono in tanti, ha ripreso pienamente le sue facoltà mentali, ma ha paura di ricominciare a parlare e tornare, sebbene parzialmente, nel mondo di prima. La sua andatura è claudicante e lenta, le energie scarseggiano, la masticazione migliorata ma ugualmente faticosa: chi lo riconoscerebbe, così? E dunque meglio tacere, fingersi ancora avvolto nel suo ottundimento patologico, guardare gli altri e non rispondere. Dentro, però, Andrea ha tanti ricordi che affiorano e possono forse aiutarlo a non impazzire, a non abbrutirsi, perché sente che in ospedale «la sua vita perde la pelle, ogni istante un po'» (p. 180).
Così, tra le difficoltà dell'oggi e le minime soddisfazioni per una ripresa inesorabile, per quanto lenta, Andrea si racconta (e ci racconta) il suo passato, àncora salda costellata di commozione, poesia. Sì, perché l'io narrante è un contemplatore, un uomo che ha sempre amato scegliere il dettaglio rispetto alla grossolanità dell'esistenza. Della sua storia d'amore con Ernestina, ad esempio, non racconta subito il naufragio drammatico, a malapena accennato nelle prime pagine: è meglio stupirsi ancora una volta per la poetica estasi delle prime carezze, da ragazzi, del magico scegliersi e costruire la propria vita insieme.
Anche la famiglia d'origine, la madre Meraviglia e il padre Leandro, assumono contorni dinamici eppure cristallizzati: sono un'icona in movimento della famiglia che resiste, del porto sicuro dove Andrea è tornato dopo la separazione, prima dell'ictus. La figlia, poi, è Preziosa di nome e di fatto: con lei, la contemplazione e l'amore si sono fatti sconfinati, hanno trovato piena realizzazione, nonostante il rapporto sempre più difficile con Ernestina e la fine della loro storia.
È proprio per Preziosa che di tanto in tanto Andrea prova l'impulso fortissimo di fuggire, di compiere una «fuga dalla fuga» che lo costringe in ospedale e tornare fuori. A trattenerlo, il timore battente di essere di peso: se il nostos di Ulisse, complesso e ardimentoso, ha però il lieto fine del riconoscimento e della ripresa della sua vita nel palazzo di Itaca accanto alla famiglia, Andrea non ha una simile prospettiva; i suoi Proci da sconfiggere sono le paure più grandi e la malattia che lo avvince con i tentacoli di un mostro tremendo.
Senza ritrosie, Il tempo di Andrea si spinge oltre i muri dell'ospedale, entra nel cubicolo dove un io narrante che ha tanto da dire ma ha scelto il silenzio recupera la sua autonomia, passo dopo passo. Essere un sopravvissuto e guardare la vita con gli occhi increduli della meraviglia non è facile da narrare, anche perché la vita dell'ospedale è fatta di odori, colori, gusti, visioni e, più in generale, sensazioni spesso abbrutenti. Eppure Andrea mantiene una lettura poetica del suo passato, che cozza ancor più brutalmente con il presente di esigenze corporali, masticazione faticosa e biascicata, sguardi vacui di pazienti ancor più gravi,... E questa poesia all'inizio destabilizza il lettore: è possibile portare uno stile così ricercato in un ospedale? Maria Rosaria Valentini è anche poetessa, e si sente: le metafore rintoccanti, il ricorso a lessemi inattesi, la precisione chirurgica (ad esempio i nomi delle specie di fiori, amati da Andrea), l'accostamento di sostantivi astratti e verbi estremamente concreti e viceversa... Tutto conferma la ricerca di una lingua letteraria e non stereotipata, convincente perlopiù, che solo di tanto in tanto andrebbe diluita e parcellizzata. O forse no: Valentini offre parole a chi le parole sembrava non averle più e le trova per la prima volta dopo tanto tempo. E dunque ne esalta la dolorosa bellezza.
GMGhioni